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La Stampa - 09 - 12 - 2004

L’UNICO SEGNALE POSITIVO
Dal Vietnam al Perù
La battaglia si può ancora vincere Trentuno nazioni hanno ridotto del 25 per cento il numero dei poveri cronici «La comunità internazionale dovrebbe investire di più in questi territori»

ROMA

La guerra contro la fame nel mondo sarà anche lunga ma ci sono una trentina di paesi in via di sviluppo che una battaglia l'hanno già vinta: negli anni Novanta hanno ridotto la percentuale degli affamati cronici di almeno il 25 per cento. È l’unico segnale di speranza presente all'interno di un quadro globale piuttosto scoraggiante che la Fao ha inteso lanciare ieri presentando il Rapporto 2004 sulla situazione mondiale dell'insicurezza alimentare. Contro il nemico fame «possiamo fare di meglio e di più»: impariamo la lezione da questi trenta paesi che hanno dato prova che un progresso rapido è possibile e costituiscono un esempio del modo in cui può essere raggiunto», ha sottolineato Hartwig de Haen, vicedirettore generale del dipartimento economico e sociale della Fao, nella conferenza stampa di presentazione di questo rapporto giunto ormai alla sua sesta edizione. Angola, Benin, Brasile, Ciad, Cile, Cina, Repubblica del Congo, Costa Rica, Cuba, Ecuador, Emirati Arabi Uniti, Gabon, Ghana, Giamaica, Guinea, Guyana, Haiti, Indonesia, Kuwait, Lesotho, Malawi, Mauritania, Mozambico, Myanmar, Namibia, Nigeria, Perù, Siria, Thailandia, Uruguay e Vietnam. Ecco l’elenco completo dei trentuno Paesi virtuosi.
A ben vedere, si tratta di Paesi che rappresentano quasi la metà della popolazione del mondo in via di sviluppo, che con il loro successo dimostrano che l'obiettivo fissato dieci anni fa dal Vertice Mondiale dell'Alimentazione di dimezzare il numero degli affamati entro il 2015 «è ancora possibile».
Hartwig de Haen, ha ricordato che probabilmente «la comunità internazionale non ha colto in pieno il grande passo avanti nell’economia che potrebbero ottenere effettuando investimenti per ridurre i problemi di sottoalimentazione. Molto si sa ora su come intervenire per limitar eil problema ed è il momento di puntare a quest’obiettivo. E’ solo un problema di volontà politica e priorità». A tal fine, la comunità internazionale viene sollecitata dalla Fao ad adottare un duplice approccio. «È ampiamente provato - è scritto nel Rapporto - che un progresso rapido possa essere ottenuto attuando una duplice strategia, che combatta sia le cause che le conseguenze della povertà e della fame estreme. Il primo approccio comprende interventi che aumentino le disponibilità di cibo ed i redditi dei poveri incrementando le loro attività produttive. Il secondo approccio mette in evidenza programmi mirati che diano alle famiglie più bisognose l'accesso immediato e diretto all'alimentazione». Ai Paesi intenzionati a realizzare gli impegni assunti nella lotta alla fame la Fao raccomanda pertanto l«'adozione di programmi su larga scala che promuovano, anzitutto, l'agricoltura e lo sviluppo rurale, da cui la maggioranza dei poveri e degli affamati dipende per la propria sussistenza». «Sarebbe necessario inoltre - si rileva nel Rapporto - dare priorità ad azioni che abbiano un impatto immediato sulla sicurezza alimentare di milioni di persone in stato di vulnerabilità». Un impatto molto positivo hanno i supermercati e gli ipermercati nel miglioramento delle condizioni di vita dei piccoli agricoltori - ricorda la Fao. Questo nuovo fenomeno commerciale apre possibilità di sviluppo che possono essere ben utilizzate dai Paesi che stanno tentando di valorizzare le aree rurali e la Fao raccomanda ai governi di adottare «politiche e programmi mirati pe raiutare i piccoli agricoltori a cogliere le opportunità offerte da questi nuovi e dinamici mercati».
La situazione resta particolarmente critica nella zona dell’Africa sub-sahariana dove, pur se in un quadro ancora caratterizzato da una situazione molto seria, si sono registrati alcuni progressi che lasciano intravedere per la prima volta dopo oltre dieci anni alcuni segnali di speranza. La soglia degli affamati cronici in questi Paesi, in media, è infatti scesa «dal 36 per cento dove aveva gravitato fin dal 1990-92 al 33 per cento».

f. ama.

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