EGITTO
E GIORDANIA INVIERANNO I LORO AMBASCIATORI A TEL AVIV
Israele e
Palestina
TEL AVIV
Dopo quattro anni e mezzo di sangue, il primo ministro israeliano
Ariel Sharon e il presidente palestinese Abu Mazen hanno proclamato ieri
a Sharm el-Sheikh (Egitto) la fine di ogni atto di violenza reciproca e
auspicato «l’inizio di una nuova era». Almeno da un punto di vista
simbolico, è la fine dell’intifada. «Nel mio incontro col presidente
palestinese - ha detto Sharon - abbiamo stabilito che i palestinesi
cesseranno ovunque tutti gli atti di violenza contro gli israeliani.
Israele da parte sua cesserà le proprie attività contro i palestinesi».
Per Sharon era la prima visita in Egitto in 24 anni, e la prima da
quando è premier nel 2001. Il suo invito in un Paese dove è stato a
lungo considerato «persona non grata» era ieri un evento in sé, esaltato
da una lunga e cordiale conversazione privata con il presidente Hosni
Mubarak al termine della quale l’Egitto ha annunciato che un suo
ambasciatore tornerà a Tel Aviv. E lo stesso ha annunciato re Abdallah
di Giordania. Abu Mazen ha molto insistito sulle necessità che «la
lingua del negoziato sostituisca quella dei cannoni». La calma raggiunta
nei Territori, il graduale ripristino della legalità nelle zone
palestinesi e il ritiro israeliano da Gaza devono fornire da base per la
celere ed efficiente realizzazione del Tracciato di pace elaborato dal
Quartetto, ha aggiunto il Raiss assicurando che i palestinesi «terranno
fede agli impegni». Abu Mazen e Mubarak hanno inoltre detto ai loro
partner israeliani che il modo migliore per favorire le trattative
israelo-palestinesi è quello di riattivare tutti i «tracciati» di
negoziato, associando anche Libano e Siria. In questo modo, hanno
sottinteso, dovrebbero diminuire le pressioni di quei Paesi sui gruppi
oltranzisti palestinesi che minacciano la prosecuzione della lotta
armata. Sharon ha preferito scegliere una impostazione più cauta e
circospetta. «Dobbiamo annunciare - ha detto - che la violenza non
vincerà, che la violenza non potrà uccidere la speranza, dobbiamo agire
assieme, in maniera determinata, smantellare le infrastrutture
terroristiche per costruire la pace». Due approcci, dunque, molto
diversi in cui sono anticipati i futuri dissensi. Eppure anche gli
accordi non sono di poco conto. Israele inizia già nei prossimi giorni
la liberazione di 900 detenuti palestinesi e si accinge a consegnare ai
servizi di sicurezza palestinesi il controllo di cinque città
cisgiordane. Una decisione non facile perché i servizi di sicurezza
israeliani avvertono che almeno 50 attentati sono in fase avanzata di
realizzazione e adesso per Israele sarà molto più difficile impedirli.
Ancora ieri un allarme è giunto da Nablus (Cisgiordania) e l’esercito
israeliano è stato costretto a chiudere ermeticamente tutti i posti di
blocco della zona. Oltre gli accordi formali (alcuni dei quali
riguardano la istituzione di commissioni congiunte) i partecipanti al
vertice hanno cercato di creare un’atmosfera distesa. Sharon ha colto
l’occasione per invitare a Gerusalemme sia Mubarak (che non si è mai
recato in Israele da quando è stato eletto presidente) sia re Abdallah.
Con Abu Mazen, Sharon ha dato fondo al proprio charme e dopo aver
constatato che avevano «ancora tante cose» da dirsi, lo ha invitato a
sorpresa nel proprio Ranch dei Sicomori, nel Neghev settentrionale, a
pochi chilometri dalla striscia di Gaza. È una fattoria dove Sharon ama
mostrarsi anfitrione e agricoltore: la quiete dei campi e il gregge
delle sue pecore creano un’atmosfera bucolica e distesa. Abu Mazen ha
accettato e ricambiato l’invito: «E perché non viene lei a trovarmi a
Ramallah?» Sharon ha risposto con sorriso. Nella delegazione palestinese
qualcuno ha mormorato: «Speriamo che non venga con un carrarmato». Ma
era una battuta, e anche da questo si capisce che il ricordo di Yasser
Arafat asserragliato nella Muqata, appartiene già a un passato molto
remoto. In questa fase sia Abu Mazen sia Sharon devono superare
importati resistenze interne. Il primo deve convincere i gruppi armati
della intifada a deporre le armi. E nelle elezioni municipali a Gaza,
Abu Mazen ha constatato che al-Fatah, il suo movimento, mostra segni di
debolezze nei confronti di Hamas. Sharon, da parte sua, sa che la
politica di ritiro da Gaza (cosa che include lo sgombero di ottomila
coloni) incontra forti resistenze nella destra nazionalista e anche nel
suo stesso partito, il Likud. Ancora ieri a Tel Aviv sono apparse
scritte minacciose: «Sharon, traditore, farai la fine di Rabin», il
premier laburista che dieci anni fa fu assassinato da uno zelota di
estrema destra. Al tempo setsso sia Abu Mazen sia Sharon hanno ieri
chiarito che l’occasione storica che adesso si presenta è di tale
importanza che sarebbe tragico lasciarsela scappare. «Il 2005 sarà un
anno decisivo» ha previsto Sharon. «Ai vicini palestinesi voglio dire
che abbiamo una intenzione sincera di rispettare il vostro diritto a
vivere nella indipendenza e nella dignità», ha detto Sharon. «Noi in
Israele abbiamo dovuto dolorosamente risvegliarci dai nostri sogni e
siamo adesso decisi a superare gli ostacoli per sfruttare questa nuova
opportunita». Adesso anche voi dovete abbandonare i sogni non
realistici, e accettare un compromesso». «Agli israeliani - ha
proseguito Sharon - dico che dovremo adottare misure difficili e
controverse. L’obiettivo è ormai a portata di mano: la sicurezza, la
tranquillità, la pace».
Aldo Baquis
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