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La Stampa - 05 - 12 - 2004

DE GUSTIBUS DISPUTANDUM EST

IL DIRITTO AL GUSTO ENTRA NELL’ETICA DEGLI OSPEDALI

UN paio d’anni fa scrissi un articolo, quasi fosse una recensione gastronomica, sulla cucina di un ospedale che mi ebbe tra i suoi pazienti. Lodai il cuoco e alcune sue preparazioni, perché nella loro semplicità rivelavano una qualità, una cura e un’attenzione maggiori rispetto alla media: cosa che, credetemi, un malato non può che apprezzare, quasi fosse una benedizione. Non è soltanto un luogo comune, infatti, che la cucina nella maggioranza dei nosocomi lasci molto a desiderare e aggiunga ancor più tristezza dove già ce n’è molta. La riflessione sulla qualità dei pasti negli ospedali va fatta eccome: non è soltanto una questione di rispetto e civiltà, ma in questi casi il buon mangiare, uno stile di servizio decente e sorridente, l’utilizzo di materie prime locali e fresche, possono rivelarsi anche un buon sostegno terapeutico. Segnalo pertanto con piacere l’avvio di un progetto – ufficialmente iniziato due giorni fa, venerdì – che vede la collaborazione di Regione Piemonte, Slow Food e l’Ospedale San Giovanni Battista antica sede di Torino, ed è stato studiato per migliorare l’alimentazione nell’ospedale in questione, storico punto di riferimento per la cultura oncologica piemontese. Spero che sia il primo di una lunga serie: il progetto prevede l’adesione a una «Carta dei diritti al piacere, alla convivialità e alla qualità dell’alimentazione del malato», da realizzarsi attraverso un programma sperimentale per la somministrazione di vitto di qualità agli ammalati e per l’educazione permanente al cibo e al gusto sia per i pazienti, ma anche per i loro parenti più vicini e per gli stessi operatori ospedalieri. Si è iniziato venerdì con un laboratorio del gusto dedicato al cioccolato e alla pasticceria e così si proseguirà, con altri laboratori che affronteranno tutte le categorie merceologiche alimentari. In più ci saranno attività ludico-ricreative, come la proiezione di film abbinati al tema delle lezioni-degustazioni. Intanto si predispongono corsi di formazione per il personale, sia quello di cucina, ma anche quello che i pasti li serve: migliorare la qualità del cibo, utilizzare le produzioni agricole del territorio, fare in modo che l’organizzazione e il servizio dei pasti siano più professionali, ma anche rispondenti a certi criteri di convivialità. Guardate che non è questione di fare chissà che: sono pronto a dimostrare, conti alla mano, che un rifornimento di materie prime di stagione e di territorio, o la preparazione di un personale di cucina qualificato non incidono poi tanto sui bilanci di strutture così grandi. Sono anche convinto che in questo modo si possa risparmiare un po’ in medicine. Quindi auspico che molti in Italia seguano l’esempio dell’Ospedale San Giovanni Battista di Torino. Da parte nostra siamo pronti a metterci tutto l’impegno e l’esperienza che possiamo portare in dote. Inoltre, invito tutti i soggetti che possono stimolare la nascita e il moltiplicarsi di queste iniziative a darsi da fare. Ad esempio le associazioni contadine potrebbero dare un grosso contributo: connettere con la produzione, fornire materie prime eccellenti, educare, comunicare. Spero che questo avvenga anche in altre strutture, come ad esempio le case di riposo: ma avete idea di come si migliorerebbe la qualità della vita degli anziani che vi risiedono? Perché non devono avere diritto al piacere di un’alimentazione buona, gratificante, anche in grado di fornire qualche piccolo stimolo culturale, l’approfondimento della materia gastronomica? In fondo si parla di benessere, di poche risorse e di tanta buona volontà. Cosa di cui, a dispetto delle critiche che gli piovono addosso di continuo, sono sicuro siano ben dotati molti addetti delle strutture di cui stiamo parlando. Personale che si dà con abnegazione e sacrificio e non disdegna certo, se gli si forniscono strumenti e possibilità, di partecipare al miglioramento del servizio nel posto in cui lavora. 

Carlo Petrini

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