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La Stampa - 05 - 12 - 2004 |
ISRAELIANI
E PALESTINESI HANNO SCRITTO INSIEME UN CARTOON inviata a GENZANO
REDUCI da una battaglia, ecco quello che sembrano, la kefiah arrotolata
in fronte, la faccia da sfida, i colori della Palestina negata impressi
ovunque, così marcano la loro esistenza. Gli altri invece no, neppure
una kippa a sottolineare la differenza. Non ne hanno bisogno. Studenti
israeliani e studenti palestinesi, otto e otto, insieme per pensare,
disegnare, scrivere e dirigere un cartone animato: «Pace for Peace»,
il «ritmo per la pace», realizzato in Italia e premiato all’ultima
mostra di Venezia. Una settimana di convivenza per i ragazzi di Raanana
(Israele) e di Qalqilia (Autorità Palestinese), due paesi vicinissimi
ma che si guardano divisi da un muro con cinta spinato. Una settimana e
basta. Poi, gli incontri sono stati vietati, solo corrispondenza. Si
sono rivisti ieri, a Genzano di Roma, in occasione dei «Castelli
Animati», il festival internazionale dell’animazione. Non è stato
facile, ma i sedici ragazzi sono riusciti a ottenere un piccolo
miracolo, non odiarsi per un po’. Marciano fieri dei loro simboli gli
studenti palestinesi, «È giusto, è un segno di identità. La loro è
stata negata per troppo tempo, sono giovani, cresceranno». Chi parla
non è un arabo, ma il sindaco israeliano di Raanana Zeev Bielski che
accompagna i suoi, gemellato a Mas’rouf Zahran, mayor di Qalqilia. Il
primo sicuro, spiritoso, a suo agio tra i castelli romani che ospitano
l’incontro; l’altro riservato e attento, sorriso timido e
cordialissimo, sembrano il manifesto delle differenti culture che li
hanno forgiati. I ragazzi ora parlano di gioia e di incontro felice.
Hanno superato differenze insuperabili, si sono annusati per tanto, a
distanza, guardinghi. Poi hanno parlato delle cose quotidiane, quanto
costa da te un paio di jeans, come vai a scuola, quel professore lo
strozzerei. I palestinesi non hanno portato una ragazza, gli israeliani
sono misti. Con loro c’è Yaara, parla pure l’italiano, è carina,
sveglia, intelligentissima, giura il suo sindaco. E c’è da crederci,
il figlio ne è stato follemente innamorato. A Roma Yaara ha conosciuto
Lewaa, bello come il sole, disinvolto, parla un inglese fluente. Tra
loro è scoppiato l’amore. Un’indagine accurata in casa israeliana
suggerisce che lui sì, l’ha corteggiata e lei no, non ha corrisposto.
Guardandoli seduti vicini, gli unici a non pranzare con i rispettivi
equipaggi, sembrano coinvolti e quella degli altri, pare
un’interpretazione dettata dall’invidia. Lui dice «Shukran» e lei
«Toda Raba», ringraziano per il fatto d’aver potuto condividere
questa esperienza, di essersi conosciuti. Yaara: «Ci mandiamo e-mail,
sms, è una meravigliosa sorpresa quando arriva una telefonata. Non
possiamo trovarci nelle nostre città. Questa è la seconda volta che ci
vediamo, prima per fare il film, ora in occasione del festival. È stato
difficile metterci d’accordo, problemi di lingua, di opinioni, non può
immaginare quanto, soprattutto in fase di sceneggiatura. Ma questo ci ha
dimostrato che se si vuole si può». E Lewaa insiste: «Il muro che
divide le nostre città è caduto nel mio cuore, ho rimosso molte idee
preconcette. Ora la mia comunità sa che cosa voglio io e che cosa
vogliono gli altri». Si fa avanti Nathan, Israele. «Ai miei amici a
casa ho raccontato che ho incontrato persone stupende e che non me ne è
importato niente da dove venivano e di quale religione erano. È stato
bello guardarci negli occhi e scoprire che l’altro era come noi».
Sabir, Palestina: «Bisogna andare verso il domani ognuno con la propria
identità. Se questo cartone fosse stato fatto da franco-tedeschi non
saremmo qui. Usiamo l’attenzione per parlare di pace». Michela Tamburrino |