1945
- IL DECRETO SUL VOTO
Il
decreto legislativo luogotenenziale, governo Bonomi, è del 30 gennaio 1945,
mentre Italia del nord era ancora occupata ed era ancora momento di
Resistenza. Il decreto
legislativo è molto semplice, solo tre articoli. Il primo estende il diritto
di voto alle donne, il secondo ordina la compilazione di liste elettorali
femminili distinte da quelle maschili, il terzo esclude le prostitute che
esercitavano “il meretricio al di fuori di luoghi autorizzati”.
Quest’articolo è abrogato nel 1947.
Nel decreto non è prevista l’eleggibilità delle donne, che sarà sancita
nel marzo 1946, pochi giorni prima delle tornate delle elezioni comunali.
Il decreto del 30 gennaio 1945 passa senza grossi problemi, non sollecita
nessuna discussione politica.
Nessuno si alza a dire “Io
sono contrario” come era successo per tutto l’800 ed i primi del ‘900.
D’altronde, nel 1945, questo non era più possibile: quasi tutto il mondo
ormai, negli anni trenta- quaranta aveva concesso il voto alle donne. (
L’Italia precede tra i paesi europei solo la Svizzera, dove le donne
voteranno dal 1971).
La generale mancanza di discussione sul decreto è dovuta anche alla mancanza
dell’assemblea parlamentare, alla guerra ancora in corso e al problema, in
quel momento molto più lacerante, delle epurazioni dei funzionari civili e
militari.
Il voto arriva così senza neppure un eco delle battaglie femministe o dei
dibattiti parlamentari che avevano periodicamente e infruttuosamente
contrassegnato i decenni dell’età liberale.
Il voto è sostanzialmente elargito.
Il fascismo inoltre ha cancellato la memoria storica delle rivendicazioni
femministe dell’800 e del primo 900.
Analizziamo alcune motivazioni politiche che portarono al decreto.
De Gasperi, Togliatti, Pio XII avvertono l’enorme importanza del voto alle
donne e capiscono il mutamento radicale che esso comporta, che non solo lo
raddoppia, (le donne sono il 53% dell’elettorato, 15 milioni di voti) ma ne
diventa un elemento chiave.
De Gasperi, Togliatti procedono in stretto contatto nel cammino che porta
dalla decisione all’emanazione del decreto fino a prendere insieme
l’iniziativa finale.
I due grandi partiti di massa mirano a radicarsi nella nuova democrazia
mettendo a frutto l’eredità fascista della organizzazione del consenso e le
capillari reti associative dell’azione cattolica.
Sia il P.C.I. sia la D.C. devono scontrarsi con l’ostilità e la diffidenza
che il voto alle donne suscita, per motivi diversi, nella loro base.
Nel P.C.I. sono subito presenti i timori per il possibile esito elettorale.
Il pensiero dominante era questo: ”la D.C.ha più influenza di noi tra le
donne e questa influenza per noi può essere veramente un danno.”
Alcune giovani comuniste sono contrarie al voto alle donne per timore
dell’influenza su di loro della chiesa.
Le perplessità democristiane sul voto alle donne, nonostante la certezza di
trarne grandi vantaggi elettorali, sono dovute al timore di incrinare l’unità
della famiglia.
Attraverso i suoi discorsi, Pio XII chiede alle donne cristiane di ottenere,
attraverso la responsabilità del primo voto, la riconquista del primato
cattolico in politica.
Di fronte agli interventi del Papa non potevano crescere a sinistra e timori
per i risultati elettorali del voto femminile.
Nelle file socialiste si incontrano alcune resistenze.
Per Nenni ed alcuni altri esponenti non vi era dubbio che il voto femminile
costituisse un fatto nuovo ma in una certa misura costituisce un fatto
pericoloso.
Per i partiti nella cui tradizione il diritto di voto era soprattutto
strumento di libertà individuale il P.L.I e il P.R.I ed il Partito d’azione
si mostrano più indifferenti o diffidenti verso il voto alle donne, per il
timore che il vantaggio andasse ai partiti di massa.
Nella stampa si rimprovera alle donne che quella decisione non sia stata
“invocata da un serio, consapevole
movimento femminista” a differenza della lotta memorabile delle suffragette
inglesi.
Le donne italiane il voto “se lo sono visto appioppare senza aver fatto
nulla o poco per ottenerlo”.
Si ribadisce l’assoluta impreparazione delle masse femminili.
Il vero dibattito sul voto alle donne avviene prima delle elezioni
amministrative del 1946.
Le rarissime voci, che stabiliscono un nesso tra il voto e una trasformazione
della vita individuale delle donne, (riforma sessuale, miglioramento del
costume amoroso e famigliare, necessità di dare alle donne almeno un decimo
dei posti nei consigli comunali e in ogni genere di consigli, da quelli di
fabbrica a quelli di partito) sono considerati degli eccentrici, dei
provocatori da uomini e donne. Nel chiuso della cabina elettorale il voto
danneggia i comunisti, ma essi ne rivendicano tutto il valore strategico
positivo.
Tra il 1946 e il 1948 indubbiamente il voto delle donne decide gli equilibri
della Repubblica, tanto che sociologi statistici affermano che senza le donne
il Fronte Popolare avrebbe vinto.
Interpretazione allora contestata ma che corrisponde al vero.
Lo spostamento del voto delle donne è in un periodo più recente, verso gli
anni ‘70.
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