La donna nella società del malessere
Francesca S. racconta.
Siamo cinque figli, io la maggiore: poi vengono Gesuina, Pasquale, Domenico,
Antinio. La mia infanzia non si distinque da quella di altre ragazze di Orgosolo.
Specialmente d' inverno, quando l' erba è poca e la neve copre i pascoli,
l' uomo deve scendere in pianura, vive separato dalla famiglia, e i figli
stanno anche un mese senza vederlo. Così capitava anche a me, le volte
che il babbo era trattenuto dal lavoro in paesi distanti e faceva una scappata
ogni tanto per venirci a trovare: io sempre L'aspettavo e il giorno del suo
arrivo era un giorno di festa.
In questi lunghi periodi d' assenza del pastore, è la nonna a prendersi
tutti i pesi sulle spalle. Diventa un po' il capofamiglia, i figli dipendono
esclusivamente da lei, e ci vuole energia, dove seguirli e formarseli da
sola e in più occore che sappia sbrigarsela in campagna: va all' orto,
innafia, pensa lei a ogni necessità, la raccolta delle olive, preparare
i pascoli estivi. Mia madre ha la quinta elementare, un grado di istruizione
abbastanza alto per la sua generazione; lei ha la prontezza di capire il
movimento della vita, le esigenze nuove di noi giovani. Allevandoci non s'è
mai lasciata sfuggire di mano le redini, capace di tenerle alla tensione
giusta, nè eccessivamente rigide, nè troppo allenate, e in
equilibrio.
Debbo alla mamma, oltre che al babbo, un' educazione severa e insieme la
liberazione da un costume secondo il quale il posto della donna deve essere
esclusivamente in casa, ai fornelli.