Chiesa e Shoah
Hitler ordinò "bruciare il Vaticano"
Le rivelazioni di Giulio Andreotti
«Dopo l'8 settembre 1943 Adolf Hitler dette l'ordine alle Ss di mettere a
ferro e a fuoco il Vaticano e di deportare Pio XII». Un Papa che fece tutto quello che
poteva contro il nazismo, coprì i congiurati contro Hitler, si mosse per salvare più
ebrei gli fu possibile. Come mai allora in tanti lo accusano di essere stato debole contro
la furia nazista? «Perché è stato forte nei confronti del comunismo». Giulio Andreotti
riscrive la storia sulla base dei processi di beatificazione. E in questo suo Revisionismo
di Dio eccolo giungere a Papa Pacelli. Il secondo pontefice di cui sbandiera gli atti del
processo di beatificazione in corso dentro i palazzi vaticani per contestare le tesi di
decine di storici laici. Successe l'anno scorso con Pio IX, tramutato mentre stavano
eleggendolo beato da Pontefice dell'Antirisorgimento, del Sillabo e di Porta Pia nel
paladino di un'unità italiana fondata sui valori popolari e cristiani. Quest'anno è la
volta di Pio XII. La cornice del revisionismo andreottiano è sempre la stessa:
l'integrismo cattolico del Meeting di Comunione e Liberazione. Per la sua nuova crociata
il senatore a vita ha scelto la presentazione del libro di Andrea Tornielli Pio XII.
Il Papa degli ebrei, pubblicato da Piemme. Al fianco del giovane autore e
dell'anziano politico un giudice presentato come al di sopra di ogni sospetto: il rabbino
di New York, David Dalin. Ed è il religioso ebreo a innalzare per primo un inno a Papa
Pacelli, «un gentile giusto». «E' un grande amico degli ebrei e merita di essere
proclamato Giusto tra le Nazioni. Ha salvato molti miei confratelli, più di Schindler...
Almeno 800 mila secondo alcune statistiche. Ed è bene anche che i leader della comunità
ebraica internazionale si ricordino il grande bene fatto dal Papa». Altroché Il Papa di
Hitler di cui ha scritto John Cornwell. Altroché Il Vicario di Rolf Hochhuth di cui nel
'63 il Vaticano chiese e ottenne la censura teatrale e da cui proprio ora Costa Gravas sta
realizzando un film. Altroché decine di saggi e decenni di accuse. «Non solo una
sciocchezza, ma un falso storico», si indigna Andreotti. «Pio XII ebbe un atteggiamento
molto fermo nei confronti dei comunisti e questo gli scatenò contro, da parte degli
stessi comunisti e dei loro simpatizzanti, compresi molti intellettuali, un'ostilità poi
presa al balzo anche da altri ambienti». I ciellini nella grande sala impazziscono di
entusiasmo. «Parlo in base a documenti» proclama, con felpata durezza, Andreotti. Ed
eccolo mostrare ancora una volta la sua straordinaria frequentazione dei Palazzi
Pontifici, eccolo citare la documentazione raccolta in più di trent'anni dal postulatore
della causa di beatificazione, il gesuita tedesco Peter Gumpel. Appare il resoconto
stenografico del generale tedesco Wolff, capo delle Ss in Italia: un testo da cui
dipenderà se Papa Pacelli sarà fatto o no beato. L'ufficiale nazista racconta che Hitler
gli diede l'ordine di «distruggere il Vaticano» e poi di arrestare il Pontefice e
deportarlo all'estero. Probabilimente nel piccolo Liechtenstein, granducato di neutralità
& affari. Wolff rivela ancora Andreotti si recò in San Pietro per avvisare
personalmente Pio XII del pericolo. Il Pontefice gli accordò «un'udienza
riservatissima». L'ordine di Hitler non fu eseguito per «merito proprio del generale
Wolff, insiste Andreotti il quale nella sua deposizione al processo di beatificazione si
espresse in termini lusinghieri sulla figura del Papa». Non è finita. «Il Papa prese
contatti con gli alleati a nome dei congiurati contro Hitler, che chiedeva garanzie per
una resa non incondizionata». Ma dagli stessi alleati non venivano richieste al Vaticano
di pronunciarsi sulla guerra? «La Chiesa non può farlo», risponde Andreotti. «Io del
resto il Papa lo conoscevo bene perché andavo in udienza privata da lui: se gli
chiedevate se è meglio la peste o il colera, avrebbe risposto che erano alla pari ed
aveva ragione. Poi quando, dopo la vittoria, disse che in Europa non avrebbero contato gli
Stati Uniti o l'Inghilterra, ma Stalin la cosa venne interpretata malevolmente». Pacelli
non poteva scomunicare Hitler? Andreotti sospira alla domanda. «Glielo hanno rinfacciato
molte volte. Ma questo non avrebbe fatto altro che aumentare la persecuzione nei confronti
dei cattolici che in Germania erano fra i più reattivi contro Hitler». Ma la
persecuzione non valeva l'Olocausto di un popolo? «Il Papa ha fatto tutto il possibile
per aiutare gli ebrei», insiste il senatore, parla di antichi vescovi di Cracovia e
Monaco, di prudenze e coraggi, poi di nuovo sospira. «Hitler non toccò mai un vescovo,
cosa che invece fece Stalin». Andreotti impugna la spada dell'attacco. «Non dobbiamo
cadere nella trappola di giocare in difesa, dobbiamo invece rimarcare con forza i grandi
meriti di Pio XII. Lo hanno bollato come un pavido, invece non c'è suo atto che non sia
in difesa delle libertà e dei perseguitati». No, nessun cedimento. La comunità ebraica
internazionale e le autorità israeliane hanno fatto pressione sulla Curia romana
affinché venga sospesa la causa di beatificazione di Pio XII fino a quando non sarà
fatta luce sui presunti silenzi del Pontefice. Ma accanto ad Andreotti, il rabbino Dalin
proclama: «Mai nessun Papa è stato tanto ringraziato dagli ebrei. Subito dopo la seconda
guerra mondiale e negli anni immediatamente successivi, centinaia di attestati di stima
per Pio XII arrivarono dalle massime autorità di Israele, da Golda Meyr al rabbino capo
di Gerusalemme, Isaac Herzog. Dal segretario del Congresso mondiale ebraico, che donò al
Pontefice 20 mila dollari in segno di gratitudine, fino al rabbino di Roma Elio
Toaff».
(la Repubblica, 23 agosto 2001)