INDICE
1.
UNA POESIA PER
COMINCIARE
2.
VECCHIONI E
PESSOA
3.
CHI SCRIVE
LETTERE D'AMORE E' RIDICOLO?
4. ANALIZZIAMO
LETTERE D'AMORE
5. ANTOLOGIA
AMOROSA
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ANTOLOGIA AMOROSA
Carlo Bini ad
Adele De Witt
L'amore
senza una fede profonda fra le due parti non può esistere.
Io l'aveva questa fede; ora è distrutta; e da chi? Quando io
presi ad amarti, forse mi abbandonai troppo alla mia naturale
caldezza, forse diedi troppo ascolto all'infinito bisogno
d'amore che mi affannava.
Io non notai in te certi segni, certi indizi d'anima e di
temperamento che, meglio osservati, mi avrebbero persuaso a
lasciare scorrere questa occasione, e cosí non dar luogo a tanti
disgusti, a tante amarezze, a tante delusioni. Non badai a
nulla, o se pur vi badai, non tenni a calcolo rigoroso quanto mi
cadeva sott'occhio.
Una forza irresistibile mi trasportava ad ingannarmi, ed era
cosí soave, cosí lusinghiero l'inganno! Le mie labbra assetate
bevvero l'onda avidamente, senza guardare se era amara o dolce,
salubre o mortifera. Mea culpa, mea culpa.
Eppure io t'amavo con tanto amore con tanto entusiasmo, con
tanta religione! Eppure io aveva fatto di te una cosa, sí bella,
sí gentile e ideale! La mia fantasia percorse come ape a
succhiare i fiori piú eletti della bellezza che la mano di Dio
profuse sull'universo, e formò una creatura coll'ali d'angiolo
vestita dei piú ricchi colori del firmamento, coronata di
stelle, armoniosa delle armonie che suonano in Cielo. Bella e
cara creazione, che alla perfetta natura dei celesti univa
quanto ha di simpatico, di buono, di grande la natura mortale!
Bella, perfetta e cara creatura, anello intermedio fra il Cielo
e la terra, tipo d'un angiolo nuovo che Dio deve aver rimirato
con compiacenza, e accolto nell'eterna sua mente per riprodurlo
in un mondo migliore! E questa creatura era la mia Adele! In lei
la mia fantasia non aveva lasciato della donna terrestre che la
grazia, il pudore, la pietà, l'amore. Dov'è adesso questa Adele
divina? Un soffio nemico ha disperso il sogno d'oro, il
voluttuoso fantasma della mia fantasia.
Quante illusioni perdute, quanto vuoto, quanta solitudine! Ma la
mia fantasia aveva lavorato troppo, e non aveva lavorato sul
vero. Mea culpa, mea culpa.
Cosí è, Adele, tu non hai saputo o voluto comprendermi. lo ti ho
svolto in un largo quadro le linee piú sottili, il bene e il
male, ti ho fatto confessioni che non si fanno se non a Dio, ho
cercato sempre di convincerti che, in certi punti essenziali,
differisco dalla folla degli uomini. Nulla è bastato. Tu hai
voluto ridurre per forza l'amor nostro alle proporzioni
meschine, volgari, dell'amore ordinario. Piú che le gioie intime
e pure d'una sincera passione, ti è piaciuto il bagliore del
trionfo; hai voluto esporre all'aria aperta un sentimento
modesto, geloso, che ama l'ombra, che vive del segreto, cui la
vanità è morte. Hai voluto fare di me un cicisbeo, uno schiavo
galante. Mi hai strascinato mio malgrado a dimostrazioni di
pubblicità che io odio immensamente, mi hai voluto vedere in
luoghi nei quali la mia presenza manifestava a tutti
sfrontatamente lo scopo che mi moveva. E tutto questo ho fatto,
e l'avrei perdonato, dimenticato, quando tu mi avessi dato un
compenso di amore schietto verace, allorché la fortuna ci
permetteva un abboccamento da solo a solo.
Ma come ti ho trovata in questi crudeli colloqui? Meglio era se
il caso non ce ne avesse mai conceduto nessuno. Almeno allora il
desiderio, l'immaginazione avrebbero avuto una prospettiva
lontana, una speranza, un alimento. Ora non ci è piú nulla. Il
sipario è calato, e il dramma è finito tra il lagrimevole e il
buffone! Quanto tesoro d'amore hanno disperso i nostri incontri!
Io veniva commosso, anelante, infiammato, e trovava in te la
repulsa scolpita dal capo alle piante. Tu respingevi l'amore
come un veleno. La natura taceva in te; tutto il tuo fare era
una tattica premeditata, un contegno lambiccato, stravolto, una
macchina di fuochi d'artifizio. I tuoi moti erano di chi fugge,
non di chi aspetta o di chi viene incontro; ; il tuo occhio
asciutto, senza linguaggio di tenerezza, di desiderio,
impietriva l'anima. Nessuno slancio, nessuna espansione, nessun
abbandono, nessuno di quei dolci segni, di quelle care parole di
passione che rinnovano l'esistenza, che cancellano un lungo
secolo di dolore sofferto. Nessuna fiducia in un uomo che ti
assicurava solennemente il contrario di quanto credevi. Terrori
frivoli, curiosi, insultanti - un continuo pensare a te, a te
sola, una mentita alle tue lettere, alle tue promesse, perché
quando io ti scrissi risentitamente quello che ora ti scrivo
pacificamente, rispondevi, umiliata e contrita, cosí: Se sono
stata debole posso ancora riparare il mio fallo; sii dunque
generoso; scòrdati il passato, ed io ritorno a te piú
innamorata, io a te tutta mi abbandono, io non ho piú scrupoli,
non conosco piú nulla, io mi do a te con tutta l'anima.
E dopo che avvenne? Le tue lettere, o donna, pronunziavano una
cosa e il tuo cuore ne pensava un'altra. Tu mentivi a me, a te
stessa, ai piú santi giuramenti; tu mi ingannavi
vergognosamente, le tue parole erano una frode tessuta per
tenermi a bada.
Io ti scrivo pacatamente, a sangue freddo, a sangue gelato, se
vuoi.
Non temere, l'anima mia non ha più impeti, non più furori non
più delirio. Essa è fredda, immobile, insensibile come il
pavimento che tu calpesti.
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