Ormai
tutte le foglie erano cadute, il sole si era velato e la neve pian
piano aveva imbiancato la vallata.
La
cicala, che si era goduta la vita cantando per tutta l'estate, non
si trovò più un granello nella credenza, né un moscerino.
Soffiava un vento gelido.
Stremata
dalla fame e intirizzita dal freddo, la poveretta scese dal suo
albero spoglio e si trascinò fino alla casetta della ricca
vicina, la formica, che aveva il granaio traboccante di bei semi
dorati, ammucchiati a uno a uno con solerzia, durante l'estate.
La
cicala si fece animo e bussò: toc! toc! toc!
Chi
bussa? Chi é? - chiese la formica .
-
Sono io, Comare Formica - rispose la cicala tutta
piagnucolosa.
La
formica aprì appena spiraglio:
-
Che aria fredda! Che vuoi?- disse rabbrividendo.
-
Vengo a chiederti di prestarmi qualche chicco, un briciolo di
verme... se non mi aiuterai morirò di fame... Prima d'agosto ti
pagherò, parola mia! -.
Ma
la formica, che aveva il difetto di prestar malvolentieri:
-
Cosa hai fatto durante la bella stagione? - domandò.
-
Ho cantato . . .-
-
Hai cantato? Ebbene, ora balla! - e le sbatté in faccia
l'uscio.
(J.
de La Fontaine)
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