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Sulla prima guerra mondiale

La strana storia del generale M.

La jettatura è un influsso molto temuto dagli italiani, e durante la guerra perfino un generale d’armata, Ettore Mambretti, fu perseguitato da questo diffuso pregiudizio.

«una persona tutt’altro che antipatica — scrisse di lui il Gatti — ma in tutto l’esercito, quando si parla di lui, si fanno gli scongiuri. Tutte le azioni alle quali ha preso parte sono andate male. Ora questo non conterà per le menti superiori: ma per il giovinetto ufficiale, ma per il soldato, conta e molto»(175)
La vicenda del Mambretti è narrata dal gen. Cadorna nelle lettere scritte ai familiari tra il giugno e il luglio 1917. Il 10 giugno, infatti, la VI armata italiana, sorto il comando del Mambretti, aveva dato inizio alla battaglia dell’Ortigara. Alcune infauste circostanze, come la mancanza di visibilità e la pioggia, avevano contribuito a far sì che quella battaglia cominciasse per gli italiani con un gravissimo insuccesso. I comandi avevano deciso di ritentare.
«Il tempo — scrisse Cadorna il 17 giugno — è bello e caldo. Domani M. ritenta l’operazione. Speriamo che egli riesca anche a sfatare la deplorevole leggenda di jettarore che gli hanno fatto. E’ una stupidaggine, ma in Italia compromette la reputazione e il prestigio. Figurati che, quando saltò prematuramente quella mina alla vigilia della fallita operazione, attribuirono la cosa alla sua jettatura!»(176)

Tre giorni più tardi Cadorna dovette comunicare alla moglie che l’operazione si era risolta in un fiasco, anche se gli alpini erano riusciti a conquistare la cima dell’Ortigara (177) Il 25 giugno, con un attacco di sorpresa, gli austriaci riuscirono a riprendersi anche quella cima.

«La jettatura — scrisse Cadorna che cominciava a crederci —ha voluto esercitarsi fino all’estremo. Gli Austriaci, dopo una gran preparazione di artiglieria, hanno assalito e ci hanno preso l’Ortigara, malgrado una difesa strenua. [... .] Ieri l’ho telegrafato a Lello [il figlio Raffaele] e dice anche lui di non più ricominciare perché, quando i soldati vedono M. fanno gli scongiuri. In Italia purtroppo questo pregiudizio costituisce una grande forza contraria»(178)

Nel 1896 il Mambretti aveva preso parte, come capitano, all’infausta battaglia di Adua; nel 1913 era andato in Libia e, quasi appena giunto, aveva diretto lo sfortunato combattimento di Sidi Garbaa. Nel 1916 aveva conquistato grandi meriti durante la seconda e fortunata fase della battaglia degli altipiani, ma ora ai precedenti insuccessi si aggiungeva anche l’Ortigara(179):

«La fama di M. cresce tutti i giorni — scrisse Cadorna il 13 luglio — ed ormai non può comparire in alcun luogo senza che soldati ed anche comandanti facciano i più energici scongiuri. Ne sono seccatissimo perché se gli affido una operazione offensiva non
può riuscire perché tutti sono persuasi che non riesce. E capirai che non posso cambiare un comandante solo perché ha questa fama. Certo si è, per chi ci crede, le ha avute tutte: il mal tempo, scoppio della mina il giorno prima, che uccise quasi tutti gli ufficiali di due battaglioni che dovevano andare all’assalto, pare tiri corti della nostra artiglieria ecc. Pare che si era già fatto quella fama in Africa, dove aveva voluto andare lui invece di seguire la sua sorte»(180).

Due giorni più tardi il Mambretti fu destituito:

«Ed ora vi devo dare una notizia ben dolorosa, cioè devo liquidare M. dal comando. Dall’inchiesta che ho fatto sull’ultima offensiva, che fu un vero fiasco malgrado la grande abbondanza di mezzi, emergono delle responsabilità anche sue. Egli ha perduto la fiducia delle truppe anche per quella sua maledetta iettatura»(181).
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173 Cfr. A. GEMELLI, Il nostro soldato cit., p. 153.
174 Cfr. A. SoFFIcI, Kobilek, in Opere cit., p. 144, e G. BINI CIMA, La mia guerra, Milano 1932, pp. 88.89.
175 A. GATTI, Dal diario di guerra inedito (maggio-dicembre 1917), a cura di A. Monticone, Bologna 1964, pp. 117 e 130.
176 L. CADORNA, Lettere famigliari cit., p. 206.
177 Ibid.
178 Ibid., p. 207.
179 Cfr. F. S. M., Il generale Ettore Mambretti, in «La Lettura», novembre 1916, pp. 1006-08.
180 L. CADORNA, Lettere famigliari cit., p. 209.
181 ibidem

[Notare come Cadorna non ne farà mai il nome per intero, limitandosi a scriverne l’iniziale puntata. ndr]
da Piero Melograni, Storia politica della grande guerra, ed Universale Laterza, Bari 1977, vol primo

Altra fonte sul generale:

"(15 giugno 1917)
Mambretti resterà al suo posto. Ciò mi ha fatto piacere perché gli uomini i quali non hanno potuto avere successo nella recente battaglia sono di quelli che, con ogni probabilità, sapreanno riprendersi e far bene al più presto."
(29 giugno 1917)
Mambretti è ancora al suo posto; però si vocifera di crisi non lontane negli alti comandi degli altipiani."
(luglio 1917)
Nessun provvedimento è stato preso e sarà preso contro il Mambretti i lquale, pur avendo capito che l'Ortigara era una semplice posizione di passaggio e bisognava o andare avanti, o tornare indietro, dopo l'occupazione non ha saputo decidersi. Si è tenuto al pregiudizio che il terreno conquistato non si deve mai cedere."
(23 luglio 1917)
Il generale Mambretti ha lasciato quattro giorni fa il comando della VI armata per andare ad assumere il posto di Lequio (messo definivamente a riposo) nell'armata di Varese. I malign idicono che così avremo ... anche una guerra contro la Svizzera. Pare impossibile, ma il povero Mambretti è in gran parte vittima della fama di jettatore che gli han fatto intorno!
Ecco come sono andate le cose. Era rimasto inspiegabile perché, durante il primo tentativo fatto sugli altipiani, dopo la preparazione dell'artiglieria, le fanterie non si fossero mosse all'attacco. Un'inchiesta ha assodato presso a poco questo: che i comandanti in sottordine avevano interpretato l'irrompere improvviso del temporale come un segno indiscutibile dell'avversa sorte che perseguita il Mambretti, in ogni suo atto. Così dal pregiudizio della jettatura si è determinato una specie di fenometo psicologico collettivo d'improvvisa sfiducia nel condottiero. L'attacco mancò, tant'è vero che in tutta la giornata non si ebbero più di 2000 uomini fuori di combattimento, mentre la massa di sfondamento era composta di oltre 300000 uomini!"

R. ALESSI, Dall'Isonzo al Piave, Milano 1966