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Sulla prima guerra mondiale

Lettere "clandestine" di un giornalista

L'enciclica di Benedetto XV

18 agosto 1917 (ore 6)
"... L'enciclica del papa in un momento così delicato è un disastro, né più né meno. Da qualche parte si è gridato "viva Benedetto XV". Capello e il Duca (d'Aosta, entrambi generali al fronte) avevano preso la deliberazione di non lasciar passare i giornali recanti la nota. Senonché con simile provvedimento si correva il rischio di andare incontro a qualche incidente grosso. Si figuri che fra le truppe si era sparsa la notizia che i giornali non arrivavano perché nel paese erano scoppiate rivolte. (...)
Qui i giornali sono spariti in un batter d'occhio. Ieri ero sulla linea dell'Isonzo, davanti a Tolmino. Nonostante ancora non si conoscesse il testo ufficiale del documento diplomatico, non si parlava di altro! E questo proprio nel corso della più grande battaglia del nostro fronte!
Insomma: la cattiva azione papalina è funesta allo spirito dei combattenti. Speriamo che i comandi riescano a paralizzarla con il pronto intervento dei loro propagandisti.
Si dice anche che la censura politica abbia fatto male a permettere i titoli su tutte le pagine e i commenti troppo lunghi. Bisognava spegnere il malefico focolaio! Ma ormai quel che è stato è stato. E fra poco vedremo quanto veleno la parola del papa ha versato nel cuore dei soldati! "

Al fronte di parla di Lenin e di Trotzky

(senza data)
"Nelle mie lettere precedenti le ho accennato alcuni episodi poco confortanti. Vi sono delle brigate sulla cui aggressività si può contare sicuramente; ve ne sono altre invece che non nascondono la loro stanchezza. Passando per gli accampamenti si riodono quelle famose canzonette di scherno per la guerra a cui non davamo importanza prima di Caporetto, ma cge, purtroppo, hanno influito grandemente nella maturazione della crisi. I casi di indisciplina vengono repressi senza pietà. Quello purtroppo che non si reprime è lo scetticismo il quale prende sempre più, non pure i soldati, ma gli ufficiali; onde in certe mense si odono discorsi anarchici. Il massimalismo russo "piace". Lenin e Trotzky sono considerati come i precursori di una rivoluzione generale europea! Han voglia i socialisti a protestare che la loro azione non è disfattista. Stando qui si vedono molto chiaramente i rapporti che esistono fra le loro difese del massimalismo e il morale delle truppe combattenti. Ho avuto occasione di parlare con un ufficiale, preposto alla censura delle corrispondenze dei soldati, il quale mi ha detto: "Siamo tornati come nel settembre dell'anno scorso". La reazione morale, determinatasi sotto lostimolo degli avvenimenti luttuosi, ha esaurito il suo corso. Io non so se esistano complotti o intese fra i nuclei disfattisti che fioriscono all'interno del Paese e il fronte; so che le scoperte poliziesche non sono affatto necessarie per dimostrare l'influenza malefica dell'atteggiamento del neutralismo sulla resitenza e lo spirito di sacrificio dei soldati e presso ogni comando d'armata si organizzano degli uffici di propaganda cui il generale Diaz non lesina mezzi (...)
Il nemico conosce con molta precisione l'umore delle nostrwe truppe in linea; perciò intensifica la sua propaganda pacifista con trovate addirittura americane. Stiamo affondando in un mare di cartellini stampati che piovono a decine di migliaia ogno giorno sulle retrovie. Io e i miei colleghi abbiamo parlato di ciò nei nostri articoli e dispacci per incitare il governo a organizzare la contropropaganda (...)

stato d'animo dei combattenti

"(17 marzo 1918)
Il Governo ha fatto il dover suo smentendo con una comunicazione ufficiosa le voci di pace, che anche qui circolavano con una insistenza molto perniciosa. D'altro canto non si spiega come la censura lasci passare di frequente certe notizie che fra le righe e nei pezzi soppressi lasciano credere che ci accostiamo a grandi passi alla fine. I soldati hanno, purtroppo, un'abilità tutta speciale nell'interpretare a seconda dei loro desideri certe chiacchiere che non dovrebbero essere messe in circolazione per nessuna ragione.
Le ho scritto varie volte per informarla obiettivamente dello stato d'animo dei combattenti. Non c'è di che essere ottimisti. Sui treni miltiari è tornata la cattiva abitudine di fare chiasso e di gridare "abbasso la guerra". La fanteria ragiona, su per giù, a questo modo: "dopo il disastro di Caporetto il sogno di Trento e Trieste non può essere più realizzato; l'Austria ci ritornerà certamente i territori invasi; e allora per chi e per che cosa si combatte?". La cosa più dolorosa è che tale regionamento forma la base della propaganda nemica fra le nostre trincee e retrovie: con questo in più, che all'ingenua domanda dei soldati "per chi e per che cosa si combatte" detta propaganda risponde: "per gli interessi della Francia e dell'Inghilterra!". I manifestini piovono a decine di migliaia al giorno; e sono letti. Le armate fanno infiniti sforzi per impedire il metodico avvelenamento degli animi. Ma io ho l'impressione che non si faccia abbastanza dall'altra parte. La vera contropropaganda dovrebbe svolgersi fra i soldati austriaci."

propaganda nemica per la pace e la fraternizzazione

(ancora senza data, ma, come quella relativa alle notizie sulla rivoluzione russa, sono collocate tra due lettere dell'inizio del 1918 - gennaio/febbraio)
"Il nemico, intanto, fa una campagna attivissima di propaganda "per la pace e la fraternizzazione", sia in trincea, sia con gli aeroplani i quali lanciano diecine di migliaia di manifestini al giorno. Fino a poco tempo fa detta propaganda si svolgeva con argomenti generici (l'imperialismo inglese, la superiorità militare austro-tedesca, ecc.); adesso, invece, si trovano dei manifestini redatti in stile bolscevico; sono i soldati austriaci che si rivolgono direttamente ai nostri e dicono: "Noi siamo stanchi della guerra al pari di voi; seguiamo l'esempio del fronte russo; ribellatevi ai vostri ufficiali; passate di qua e abbracciamoci come fratelli; è giunto il momento in cui i popoli debbono ribellarsi a chi li ha portati al macello per i propri interessi ecc. ecc.".
Purtroppo questa propaganda "fa presa". E io sono dolente di doverle dire che ben pochi sono quei reparti i quali si mostrano increduli. Molti ufficiali mi hanno detto che la nostra situazione morale è tutt'altro che confortante; so di reparti che hanno ripresa l'abitudine di sparare fucilate quando sono in marcia o presso gli abitati. Per fortuna tirano in aria come semplice manifestazione di protesta. La reazione morale derivata dal disastro di Caporetto ha completamente esaurito il suo corso. Siamo come prima. Le brigate mancano di omogeneità e gli ufficiali parlano come sovversivi, contro tutto e tutti!
Credo di compiere il mio dovere parlandole schietto. Fra qualche giorno visiterò il fronte delle Giudicarie, che non conosco; poi le comunicherò le mie impressioni. La prego di usare con discrezione quanto le dico per evitare il pericolo di diventare involontariamente seminatori di sfiducia!"

un processo per alto tradimento

"(23 luglio 1917)
Filipponi (corrispondente de "il Secolo" da Udine) sta seguendo attentamente un processo per lato tradimento che si svolge a Pradamano, piccola località della retrovia friulana. Siccome l'ordine del governo è di non parlarne, ho consigliato Filipponi di mandare a Lei i resoconti perché possa farsi un'idea dell'episodio.
Gli imputati sono soldati, ufficiali e segretari del Lavoro, i quali diffondevano le idee di Kienthal e di Zimmerwald, pare con l'approvazione indiretta de "L'Avanti!". Trattasi di una vera e propria cospirazione. Quegli sciagurati tengono un contegno demagogico anche davanti al tribunale di guerra: e fan discorsi altisonanti osando le più pazze esaltazioni ideologiche contro la guerra nazionale. Il nome del Serrati è già venuto fuori varie volte. Purtroppo non si hanno né documenti, né testimonianze verbali che provino isuoi incitamenti alla propaganda pacifista.
Io non so se l'on. Orlando faccia bene o male a proibire che si parli di questo processo. Ciò avrebbe un'importanza molto limitata, quando nel paese si prendessero dei provvedimenti forti. Invece i giornali han portato la notizia che la direzione del PSU è solidale con Lenin. Come dire che i militari socialisti, e ce n'è molti, per essere buoni socialisti debbono organizzare la sedizione!
Ora è venuto il momento in cui sarebbe un delitto chiudere gli occhi per non voler vedere. Il processo di Pradamano mette in evidenza che nel Paese c'è chi incita i soldati a cose infami e comunica con essi, aiutandoli ad organizzarsi in segrete conventicole. La polizia militare ha scoperto un complotto: ma chi potrebbe giurare che non ne esistano altri? Pensi che i rapporti fra l'interno e il fronte avvengono attraverso gli chauffeurs e i soldati dei depositi che fanno la spola sui treni militari.
Eppoi chi dice che, ad esempio, le sollevazioni avvenute qua e là, con morti, feriti e fucilati, non siano il frutto della propaganda socialista che viene su dal Paese? Sta bene che dette sollevazioni, esaminate a mente fredda, si scoprono determinate da ragioni immediate o causali, come sarebbero: richieste di più lunghi turni di riposo, esasperazione contro la disciplina di questo o di quel comandante, ecc. Resta in ogni modo il fatto che la propaganda della sedizione esiste e che i complementi i quali arrivano dai depositi sono sempre i più impeciati. Dunque il veleno è indietro. E se l'on. Orlando non vuole accorgersene commette un grave errore."

ancora sugli imboscati

(25 ottobre 1916)
Questa mattina il colonnello Bencivenga, segretario di Cadorna, mi ha mandato a chiamare per meco congratularsi dell'ultima corrispondenza di guerra apparsa sul "Secolo".
(...) Il Bencivenga mi ha anche detto: "Il comando vorrebbe continuare l'azione sul Carso tutto l'inverno, ma siamo senza uomini e forse dovremo fare delle soste un po' lunghe".
"Come, senza uomini" ho obiettato.
"Purtroppo ci sono delle forme di imboscamento che non si riesce a debellare" ha ripreso il Bencivenga. "Intere categorie che hanno ottenuto l'esonero (come ferrovieri, postelegrafonici, impiegati dello Stato, maestranze dei cantieri, ecc.) assorbono una quantità tale di uomini da rendere difficile il flusso verso le trincee. Dai tempi di Salandra, che ostacolava le richieste, ad oggi si sono fatti grandi passi. Ma nonostante ciò, e per quanto possa sembrare inverosimile, noi manchiamo di uomini. E gli uomini ci sono: basti dire che se ne possono contare fino a centomila presso ogni corpo d'armata territoriale!"
Ed ha concluso: " Sarebbe opera buona fare qualche cosa per questo importante argomento. Si direbbe che sino ad oggi quasi solo i contadini abbiano fatto la guerra.

Decimazioni a Santa Maria la Longa

(giugno 1917)
Ieri passando per una strada traversa con la macchina mi sono trovato casualmente nella zona di Santa Maria la Longa. Questa nostra divisa di corrispondenti di guerra che nessuno capisce, malgrado il bracciale grigioverde con l'aquila dello S.M. (-immagino Stato Maggiore-) sorprende e irrita. Santa Maria la Longa è la famigerata località delle decimazioni. (...) Siamo stati salutati da fischi, improperi, lanci di sporcizie. Mi sono trovato persino un elmetto nella macchina.
Le decimazioni sono la sorte più sciagurata che possa colpire un reparto. L'idea che un innocente e magari un valoroso debba andare alla fucilazione e pagare per un colpevole è una cosa che mi turba profondamente. Questo provvedimento disciplinare è atroce. Per me è inaccettabile da qualunque punto di vista. C'è in tutti gli eserciti. In quello francese dieci volte più che nel nostro. Nivelle ne ha fatto un uso enorme. E Pétain più di lui. Vorrei che dopo le fucilazioni di Santa Maria la Longa nel nostro Esercito non ce ne fossero più. L'umano ha dei limiti che non possono essere valicati senza che la giustizia cessi di essere giustizia e si trasformi in delitto.
Questo non è il punto di vista di Cadorna. Egli ha davanti a sé le cifre che parlano di rese di uomini a decine di migliaia con i loro ufficiali senza aver sparato un colpo di fucile. Nel cuore della Sicilia i disertori, che ammonterebbero a più di 20.000, si sono trincerati. Se andassimo a stanarli probabilmente si batterebbero. Ecco il tremendo paradosso di questa guerra che spesso sembra sfuggire alle redini del Comando Supremo mentre il Governo continua a non capire.

l'opera patriottica dei Vescovi di Vicenza e Treviso

(11 maggio 1918)
(...) Ho parlato con moltissimi ufficiali dei reparti di linea in questi giorni. Tutti mi hanno detto che la situazione morale delle truppe, specie della fanteria, è eccellente. La propaganda, che viene fatta con giudizio, dà risultati ottimi. Il clero veneto ha mutato linea di condotta sotto l'influenza dei Vescovi di Treviso e di Vicenza i quali parlano con fierezza alle popolazioni civili e impongono atteggiamenti patriottici ai sacerdoti che stanno a contatto con le truppe. Insomma: credo di non illudermi affermando che lo stato d'animo del fronte è buono sotto ogni aspetto. Ben è vero che non si combatte. Ma io ricordo che certe soste sull'Isonzo erano peggiori dei periodi di combattimento. Le statistiche della giustizia militare sono, per questo riguardo, l'indice migliore.

propaganda

"(senza data)
(...) Io e gli altri miei colleghi abbiamo parlato di ciò ( - la propaganda austriaca - ) nei nostri articoli e dispacci per incitare il governo a organizzare la contropropaganda. Non conosciamo i provvedimenti presi o allo studio. Quello che qui ognuno sa essere utile, a Roma non viene fatto oggetto neppure di esame. (...) Veda lei almeno di persuadere il sottosegretario per la propaganda a costituire una specie di comitato redazionale al fronte per la compilazione di comunicati incitanti i militari e le popolazioni slave della Duplice Monarchia alla rivolta ... I giornali jugoslavi e boemi che i soldati non possono leggere contengono un materiale preziosissimo per screditare la dinastia degli Asburgo e la politica tedesco-magiara. Si può benissimo essere dell'opinione del "Giornale d'Italia circa l'assetto dell'impero-arlecchino e "lavorare" la trincea nemica. Il nostro Comando è disposto ad agire, ma trattandosi d'iniziativa che ha qualche riflesso politico, aspetta che il governo si muova. E' mai possibile che ancora non si comprenda che come è necessario contrapporre cannone a cannone, fucile a fucile, bisogna contrapporre cartellino a cartellino ( - si riferisce ai volantini nemici diffusi dall'aviazione austriaca sulle trincee e retrovie - ), propaganda a propaganda?"


Tratte dal libro di R. Alessi, Dall'Isonzo al Piave, Mondadori 1966. E' indubbiamente datato, ma trattandosi di una fonte, questo non vuol dire nulla. Il sottotitolo è "Lettere clandestine di un corrispondente di guerra".
Si tratta - e cito dalla presentazione - di "un libro formato da lettere clandestine che un giornalista italiano riuscì a far pervenire al proprio direttore eludendo la censura militare. Infatti per non dare esca ai disfattisti, l'Ufficio Stampa dell'Esercito, nei mesi più disastrosi della guerra, forniva solo notizie tranquillanti. Quel che accadeva realmente al fronte, quel che accadeva tra le quinte dell'Alto Comando - invidie intrighi, errori - veniva accuratamente filtrato o censurato. I giornalisti erano costretti a trasmettere solo "versioni ufficiali" ... "
Già questo colpisce: se già allora le cose funzionavano così - un secolo fa, quando certi mezzi neppure esistevano - figuriamoci come vanno ora le cose, e chissà come ci vengono filtrate, lucidate, rigirate e spiattellate le notizie - su guerre, ma non solo, nell'era nei mass media ... 

La posizione da cui il giornalista considera i fatti non è certo oggettiva o disincantata (direi: tutt'altro genere delle lettere dei soldati, della loro crudezza e concretezza terribile): Alessi scrive per un giornale chiaramente schierato a favore della guerra, e si dimostra chiaramente allineato con le posizioni del suo giornale - questo emerge tra le righe, ma in qualche passo anche in modo dichiarato. "Il "Secolo" (il giornale per cui scrive) era divenuto agli occhi di tutti il giornale di Leonida Bissolati, il leader democratico maggiormente impegnato nel volere la vittoria delle armi italiane e il pieno successo della causa che l'Intesa rappresentava idealmente di fronte agli Imperi Centrali".

Mi ha colpito in modo particolare il modo in cui il giornalista giudica l'impatto di due notizie giunte al fronte nonostante l'opera di censura che vigeva: l'enciclica di Benedetto XV e le notizie dalla Russia relative alla rivoluzione. Spietato è il suo giudizio rispetto alla ricaduta di tali notizie per il "morale" delle truppe.

Mi sembrano davvero particolari queste lettere: da un lato sfuggono alla censura e trasmettono un pensiero non edulcorato; nello stesso tempo l'autore è un convinto sostenitore della necessità della stessa censura quale strumento per il controllo della massa dei soldati e dell'annullamento delle loro "ingenue" (ma pensa un po'!) domande sul senso della guerra ("per chi e per che cosa si combatte").
L'autore è del resto un sostenitore convinto della necessità di tale guerra e presenta una visione indubbiamente "aristocratica" di essa. D'altra parte, le scarne notizie biografiche su di lui che il testo riporta affermano che fu "volontario nella Grande Guerra", dunque non solo reporter, ma anche - prima di essere chiamato a far parte del nucleo dei giornalisti presso il Comando Supremo, combattente.