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Sulla prima guerra mondiale
Quando il bosco andò in guerra |
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Daniele Amilcarella,
Quando il bosco andò in guerra, in
"Microstoria", Anno IV, n. 23, Maggio-Giugno 2002, pp. 12-13. Le foreste dell’Abetone fornirono legname prezioso per l’esercito impegnato nella Prima Guerra Mondiale. Dai boschi dell'Abetone e di Cantagallo, arrivò un notevole contributo alla vittoria italiana che segnò la fine del primo conflitto mondiale. È un capitolo di storia oscuro, che vide protagonisti gli uomini dell'allora Corpo Reale delle Foreste. Dal 1915, 1058 guardie forestali combatterono nelle file del Regio Esercito mentre 1056 operarono nelle retrovie con compiti di polizia militare e d'approvvigionamento del legname per usi bellici. Quest'ultimo compito era fondamentale per l'esistenza di qualsiasi esercito dell'epoca. Il legno era fondamentale per le opere campali necessario a sostenere una lunga guerra di posizione, in particolare per le trincee, i reticolati ed i ricoveri per le truppe. L'esistenza delle vie di comunicazione prossime al fronte, richiedeva legname da opera per ricostruire, con rapidità, i ponti distrutti dall'artiglieria nemica. Oltretutto, la legna da ardere era necessaria per sopravvivere agli inverni di un fronte arroccato fin sulle cime più atte delle Dolomiti. Fu così che il patrimonio boschivo italiano si trovò, suo malgrado, in prima linea. Da uno dei rari documenti dell'epoca, una lettera spedita nel 1917, ad una parrocchia della montagna pistoiese che possedeva "in beneficio" boschi, emergono particolari interessanti: "La Direzione del Genio Militare fa urgente richiesta di piante d'alto fusto quali querce, corro, leccio, faggio, frassino, castagno, abete, pino, pioppo bianco e nero, acacia ed in genere, qualsiasi qualità di legno da costruzione che abbia fusto non minore di metri 3 di lunghezza ed un diametro di almeno 20 centimetri sotto scorza misurata alla metà". Nella lettera si richiede anche "la distanza del fondo boschivo dalla strada carrozzabile o dalla più prossima stazione ferroviaria" precisando che "non occorre la valutazione delle piante in quanto il prezzo verrà stabilito d'ufficio dal Ministero della Guerra ad un tanto p.m.c. (per metro cubo) in tutto il Regno ed in ragione delle diverse specie di piante". Per quel che riguarda le allora Regie Foreste Demaniali pistoiesi, emergono testimonianze solo da ciò che è rimasto sul territorio in quanto l'archivio dell'Azienda Speciale del Demanio Forestale, che si trovava all'Abetone, andò completamente distrutto. Su Cantagallo, per i medesimi motivi, non vi è alcun documento utile. Per fortuna, in entrambe le località, esiste un "sentiero del tedesco" che lega la memoria popolare all'utilizzo dei prigionieri di guerra austriaci come manovalanza forestale. Con la grande guerra, iniziò su vasta scala l'utilizzo dei soldati catturati al fronte come manodopera d'emergenza. Anche gli austriaci utilizzavano in quantità, prigionieri di nazionalità russa per eseguire lavori sul fronte dolomitico, mentre i tedeschi avevano già anticipato l'usanza di deportare gli uomini in patria per utilizzarli nelle fabbriche. La sorte dei prigionieri italiani fu sicuramente la più triste: gli austriaci ne impiegarono centinaia sul fronte russo anticipando un altro doloroso capitolo della storia. Il bisogno di legname e la mancanza di operai forestali (erano stati richiamati tutti al fronte, tranne una categoria di "esonerati"), spinse il Corpo Reale delle Foreste a creare dei campi di Lavoro nell’importantissima foresta abetonese. Un primo nucleo di prigionieri fu ubicato nella Val di Luce, dove erano state costruite delle baracche di legno. Per collegare questa località al centro di Abetone, fu realizzato un tracciato che ancora oggi la gente del posto chiama “il sentiero tedesco”. Da qui gli austriaci si recavano al lavoro nelle abetine del Monte Maiori incontrandosi ogni giorno con gli “esonerati”. In quest’ultima categoria rientravano gli operai forestali che a causa della loro anzianità o dell’insostituibile esperienza, non erano richiamati nell’esercito. Di fatto queste maestranze, per l’importanza della mansioni svolte, furono “militarizzate”. Molti di loro, a testimonianza di questo, provenivano dal Veneto; abitavano anch'essi in baracche di legno adiacenti alla vecchia segheria di Monte Maiori, ma avevano anche il privilegio di poter essere, ospitati presso famiglie locali. I lavori, eseguiti sotto la direzione della Forestale d'allora, avevano criteri moderni. Per il trasporto dei tronchi d'abete fu realizzata una teleferica, la segheria funzionava con la forza di uno dei tanti impetuosi ruscelli che confluivano nel Torrente Lima. Se le acque del ruscello calavano, un motore a scoppio sostituiva l'energia idraulica. Gli operai "militarizzati" lavoravano a fianco dei prigionieri condividendo le fatiche di un lavoro ordinario. Per tagliare le piante d'abete, furono impiegate le seghe a mano, normalmente azionate da tre uomini. Gli assortimenti principali che si ricavavano erano il "tavolame" di vario spessore, il "travame" ed il "correntame" (travi e correnti erano, partico-larmente richiesti dal Genio militare, per la costruzione di ricoveri interrati e di ponti). Il loro cantiere si spostò, in seguito, nella valle del Se-staione dove furono eseguiti tagli nella faggeta sopra Pian di Novello. C'è da dire che, oltre ai tagli d'utilizzazione, essi eseguirono anche lavori di pubblica utilità quali sistemazioni idraulico-forestali (muri a secco, briglie di contenimento) e strade comunali. E' il caso della "via costruita dai tedeschi" che, da Castello di Cantagallo, sale fino al boscoso crinale che divide la valle del Bisenzio da quella della Limentra Orientale. Una viabilità importante per l'epoca, segnata tutt'ora sulle mappe come "strada comunale"; adesso, è utilizzata, solo da rari boscaioli e numerosi cercatori di funghi. Per molti anni, questa strada sterrata e le sue derivazioni, furono l'unico collegamento carrabile con le frazioni più lontane della montagna pratese. Da qui passò il legname diretto al fronte, ed ancora oggi i muri costruiti con la tecnica "a secco" resistono al tempo ed ai moderni trattori forestali. Non sappiamo molte cose in più sull'utilizzo dei boschi citati. Sull'Abetone emerge un dato interessante: nel 1928 la "statistica della foresta di Boscolungo" descriveva 2.160 ettari di demanio composti da 700 ettari di fustaie d'abete e 750 fustaie di faggio (il rimanente territorio era composto da faggio ceduo, pascoli e zone rocciose). Dieci anni dopo la fine della guerra, i boschi erano in condizioni di normale gestione; si può quindi concludere che, anche nel momento critico, le utilizzazioni boschive eseguite sotto la direzione del Corpo Reale delle Foreste furono sempre lungimiranti. |