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Sulla prima guerra mondiale
La
vita di trincea su fronte dell'Isonzo nel '17 |
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La vita di
trincea aveva creato una nuova mentalità fra i combattenti. Quella
routine giornaliera, quell' abitudine alla morte come evento più
frequente della peste nera in Roma al tempo dell' imperatore Commodo, e
quindi accettato come un rischio quasi normale dell' esistenza, faceva, sì,
apprezzare come beni eccelsi i piaceri più normali, una buona dormita in
un letto, un pasto caldo e ben servito, un abito decente; ma, a differenza
di quanto accadeva negli attacchi sanguinosi, non raggiungeva il limite
dell' insopportabilità. Ed aveva anche affratellato gli uomini, i soldati
di provenienza contadina, con i giovani ufficiali inferiori, figli della
modesta borghesia delle città. Il pericolo non aveva acuito l' egoismo
personale, aveva anzi sviluppato un cameratismo affettuoso, che impediva
di cercare la salvezza propria a scapito della vita degli altri. Le
trincee, compatibilmente con la natura del terreno, erano state portate
quanto più possibile vicino a quelle dell' avversario: talora la distanza
reciproca non superava qualche decina di metri. Ciò del resto era pratica
universale. Reti di filo spinato costituivano la prima difesa contro l'
improvvisa irruzione del nemico. Agganciate a paletti infissi nel terreno,
esse potevano essere distese, salvo nei giorni nebbiosi, soltanto di
notte. Quando poi le rincee erano troppo vicine per permettere qualsiasi
lavoro allo scoperto, i reticolati venivano gettati alla rinfusa al di là
della trincea, andandosi ad aggrovigliare e a confondere con quelli del
nemico, per formare una massa inestricabile e difficile da superare. Per
aprire in essi dei varchi, dopo le cesoie di infame memoria e i tubi di
gelatina esplosiva - i soli strumenti disponibili nel 1915 - venivano
largamente usate le bombarde, vere artiglierie da trincea, in grado di
lanciare a breve distanza e con scarsa precisione enormi bidoni di
esplosivo. Quando uno di questi barili scoppiava, erano di solito stragi
paurose; ma appunto per mitigare i danni. le trincee non erano costruite
rettilinee, ma ad angolo o a labirinto. Non era infrequente che esse, di
solito conquistate agli Austriaci e quindi articolate su schemi già da
questi predisposti, si saldassero addirittura col loro sistema. E non era
neppure raro il caso di soldati, che sbandati finissero in mano dei
soldati asburgici - o viceversa. Chi avesse spazzato con sguardo radente la zona di battaglia, a stento avrebbe notato segni di vita. Questa si svolgeva in modo cauto e silenzioso entro la pelle superficiale della crosta terrestre. Qui le talpe umane mangiavano, bevevano, dormivano e morivano. Camminamenti trasversali, che partivano dalle terze linee, incrociavano le seconde e le prime, per arrivare alle trincee degli avamposti, infelici, che avevano il compito - a chi toccava toccava - di subire il primo assalto di sorpresa e spesso di mettere in allarme i difensori con le loro grida di moribondi. Lungo questi camminamenti, defilati fin dove possibile al tiro nemico, ma per forza di cose scoperti in taluni punti, che diventavano dei trabocchetti obbligatori, in cui si giocava a rimpiattino con la morte, si svolgeva l' intenso traffico di rifornimento verso i reparti più avanzati. Dinnanzi al reticolato e alla trincea, verso il nemico, si stendeva la "terra di nessuno", popolatissima dai morti di entrambe le parti. Lì i feriti, che non potevano più rialzarsi, urlavano il loro dolore inumano fino al dissanguamento o fino a che la cancrena li infettava completamente e ne strozzava i rantoli. Da: http://www.centroricerchearcheo.org/gran...ra_item0100.htm |