le
corazze Il
generale si rivolse poi al colonnello: -
Adesso, mettiamo in azione le corazze
« Farina ». Io guardai l'orologio: erano le otto passate. Una
corvée portò in trincea diciotto corazze « Farina ». Io le vedevo
per la prima volta. Queste differivano dalla corazza del mio maggiore,
la quale, a scaglie di pesce, leggera, copriva solo il torso e l'addome.
Le corazze « Farina » erano armature spesse, in due o tre
pezzi, che cingevano il collo, gli omeri, e coprivano il corpo quasi
fino alle ginocchia. Non dovevano pesare meno di cinquanta chili. Ad
ogni corazza corrispondeva un elmo, anch'esso a grande spessore. Il
generale era ritto, di fronte alle corazze. Dopo la fuggevole
soddisfazione che gli avevano dato i primi colpi di cannone, s'era
ricomposto, immobile. Ora parlava scientifico: -
Queste sono le famose corazze « Farina », - ci spiegava il generale, -
che solo pochi conoscono. Sono specialmente celebri perché consentono,
in pieno giorno, azioni di una audacia estrema. Peccato che siano cosí
poche! In tutto il corpo d'armata non ve ne sono che diciotto. E sono
nostre! Nostre! Io
ero, nella trincea, a fianco del capitano Bravini. Al mio fianco, ma
distante qualche metro, v'era un gruppo di soldati. Il generale parlava
con tono di voce normale. Anche i soldati lo sentivano. Un soldato,
commentò a bassa voce: -
Io preferirei una borraccia di buon cognac. -
A noi soli, - continuava il generale, - è stato concesso il privilegio
di averle. Il nemico può avere fucili, mitragliatrici, cannoni: con le
corazze « Farina » si passa dappertutto. -
Dappertutto, per modo di dire, - osservò il colonnello, che, in quel
giorno, era in vena d'eroismo. Il
terribile generale non reagí e guardò il colonnello come se avesse
posto un'obbiezione di carattere tecnico. Il colonnello, per
temperamento, era lento e passivo ma, una volta tanto, si permetteva
delle stravaganze che, per altri, non sarebbero state lecite. Egli aveva
una statura da gigante ed una grossa fortuna di famiglia: due qualità
che s'imponevano. -
Io ho conosciuto le corazze « Farina », - spiegò il colonnello, - e
non ne ho conservato un buon ricordo. Ma forse queste sono migliori. -
Certo, certo, queste sono migliori, - riprese il generale. - Con queste
si passa dovunque. Gli austriaci... Il
generale abbassò la voce, sospettoso, e dette un'occhiata alle trincee
nemiche, per accertarsi che non fosse sentito. -
Gli austriaci hanno fatto delle spese enormi per carpirci il segreto. Ma
non ci sono riusciti. Il capitano del genio che è stato fucilato a
Bologna, pare fosse venduto al nemico per queste corazze. Ma è stato
fucilato a tempo. Signor colonnello, vuole aver la compiacenza di
disporre che esca il reparto dei guastatori? Il
reparto dei guastatori era stato preparato dal giorno prima e attendeva
d'essere impiegato. Erano volontari del reparto zappatori, comandati da
un sergente, anch'egli volontario. In pochi minuti, furono in trincea,
ciascuno con un paio di pinze. Essi indossarono le corazze in nostra
presenza. Lo stesso generale si avvicinò a loro ed aiutò ad allacciare
qualche fibbia. -
Sembrano guerrieri medioevali, - osservò il generale. Noi rimanemmo
silenziosi. I volontari non sorridevano. Essi facevano in fretta ed
apparivano decisi. Gli altri soldati, dalla trincea, li guardavano, con
diffidenza. Io
seguivo con ansia quanto avveniva. E pensavo alla corazza del maggiore a
Monte Fior. Certamente, queste erano molto piú solide e potevano
offrire una piú forte protezione. Ma che avrebbero infine concluso
questi guastatori, anche se avessero potuto superare i reticolati ed
arrivare alle trincee? Accanto
al cannone, praticammo un'altra breccia, nella trincea. Il sergente
volontario salutò il generale. Questi rispose solenne, dritto
sull'attenti, la mano rigidamente tesa all'elmetto. Il sergente uscí
per primo; seguirono gli altri, lenti per il carico d'acciaio, sicuri di
sé, ma curvi fino a terra, perché l'elmetto copriva la testa, le
tempie e la nuca, ma non la faccia. Il generale rimase sull'attenti
finché non uscí l'ultimo volontario, e disse al colonnello, grave: -
I romani vinsero per le corazze. Una
mitragliatrice austriaca, da destra, tirò d'infilata. Immediatamente,
un'altra, a sinistra, aprí il fuoco. Io guardai i soldati, in trincea.
I loro volti si deformarono in una contrazione di dolore. Essi capivano
di che si trattava. Gli austriaci attendevano al varco. I guastatori
erano sotto il tiro incrociato di due mitragliatrici. -
Avanti! - gridò il sergente ai guastatori. Uno
dopo l'altro, i guastatori corazzati caddero tutti. Nessuno arrivò ai
reticolati nemici. -
Avan... - ripeteva la voce del sergente rimasto ferito di fronte ai
reticolati. Il
generale taceva. I soldati del battaglione si guardavano terrorizzati.
Che cosa, ora, sarebbe avvenuto di loro? Il colonnello si avvicinò al
generale e chiese -
Alle 9, dobbiamo attaccare
egualmente? Il
capitano Bravini mi prese per il braccio e mi disse: - Adesso tocca a
noi! Staccò
la borraccia e credo che la bevette tutta. |