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Sugli indiani

Riflessione metastorica sugli Indiani

Lettera 1 (stralci)

Con il mio progetto ben fisso in mente, armato, equipaggiato e fornito del necessario, partii nell'anno 1832 per avventurarmi in quell'immensa area selvaggia, priva di sentieri, che comunemente viene chiamata «il grande FarWest» del continente nordamericano. Partii con la gioia nel cuore, spinto dall'entusiastica speranza, che era convinzione, che avrei saputo affrontare e superare tutti gli imprevisti e le privazioni di una vita dedicata alla riproduzione con lo scritto e con l'immagine del modo di vivere, dei costumi e del carattere di un'interessante razza di uomini che sta rapidamente scomparendo dalla faccia della Terra. Volevo andare a tendere la mano a una nazione in agonia, all'interno della quale non vi sono né storici né biografi che ne tramandino fedelmente il vero aspetto e la vera storia , in tal modo salvando da rapido oblìo ciò che al contrario deve essere conservato per il bene dei posteri e deve essere tramandato come monumento, bello e doveroso, alla memoria di una nobile razza.
(omissis)
In verità, fino ad ora non ho visitato tutte le tribù, ma mi sono spinto molto avanti nell'impresa, e con un successo assai maggiore e più completo di quanto mi aspettassi.
Ho visitato quarantotto tribù diverse, la maggior parte delle quali parlano lingue differenti, per un totale di quarantamila individui
(omissis)
Questo per quanto riguarda me e i miei lavori. Ed è tutto quanto per il momento voglio dire.
Sugli Indiani ho molte più cose da dire e non chiederò ulteriormente scusa per aver chiesto l'attenzione dei lettori su quanto riferirò a proposito di questa gente, del loro carattere e delle loro usanze.
Gli Indiani (come io li chiamerò), i selvaggi o gli uomini rossi della foresta e della prateria del Nord America, sono attualmente oggetto di grande interesse da parte del mondo civilizzato, che li ritiene argomento di una certa importanza, e in quest'epoca lo sono ancora di più per via del loro rapido declino fra le nazioni civili della Terra. Si tratta di una nazione numerosa, le cui origini sono al di là delle possibilità investigative dell'uomo, e la loro storia primitiva è andata perduta mentre la loro vita, in quanto nazione, è quasi al termine. I tre quarti del territorio occupato dagli Indiani sono caduti in mano all'uomo civilizzato nel breve arco di duecentocinquanta anni, mentre nel contempo dodici milioni di cadaveri sono andati ad ingrassare la terra. Questa è una nazione che è caduta vittima del whiskey, del vaiolo e delle baionette e di cui è rimasta solo una parte sparuta, che vivrà ancora per poco, nell'ansia (che è certezza) di fare la stessa fine.
Lo scrittore che volesse raccogliere l'intera storia di questo popolo , con le sue sfortune e le sue disgrazie, dovrebbe disporre di molto più spazio di quanto ne abbia io in questa epitome. E dovrebbe incominciare (come io sto facendo) con coloro che sono vivi ; oppure dovrebbe adattarsi a rimanere a lungo nel preambolo del suo lavoro, fino a quando gli attuali superstiti della razza fossero scomparsi, quando cioè la loro vita e le loro usanze (come è per le cose delle epoche ormai trascorse) saranno diventate materia di dubbio e di incredulità agli occhi del mondo per il quale stava preparando il suo libro. Inoltre, questo storico, per rendere loro giustizia dovrebbe correggere molte teorie e molte opinioni che, per ignoranza o per malvagità, sono andate in giro per il mondo a lettere indelebili; dovrebbe radunare e sistemare un sacco di materiale malamente raccolto e dovrebbe rendere omaggio a quella gente che non ebbe i mezzi per raccoglierlo da sé, e che, per ragioni di forza maggiore, lo ha dovuto affidare all'onestà e alla correttezza dei suoi stessi nemici.
Una tale storia dovrebbe anche contenere un rapporto fedele su come gli Indiani sono stati trattati e sulle ragioni che ne hanno causato la rapida rovina; come pure una chiara e sistematica previsione sul come e sul quando si estingueranno, una previsione basata sul rilevamento delle cause del fenomeno e sul confronto tra il declino attuale e quello degli anni passati.
Forse una tale fatica da Ercole mi sarà riservata in futuro, o forse non lo sarà. Per ora proseguo con questi volumi, vivi e pieni di fatti che riguardano gli Indiani e i loro costumi, come fosse una sorta di introduzione famigliare e spontanea che riguarda loro e il loro modo di essere, e io spero che il mio scritto sarà in grado di soddisfare sia il lettore che cerca informazioni e fatti storici, sia quello che legge per diletto.
Il mondo per lo più sa che gli Indiani del Nord America sono colore del rame, hanno occhi e capelli neri, e così via; sa che non sono stati civilizzati e che quindi non sono battezzati, ma che nonostante ciò sono esseri umani, con sembianze, pensieri, raziocinio e sentimenti simili ai nostri. Ma pochi sanno come vivono, come si vestono, come adorano il loro dio, che cosa fanno, quali sono i loro usi, la loro religione, i loro divertimenti e tutto quanto, e come li praticano nelle zone non ancora raggiunte dalla civiltà, non ancora invase dai bianchi. Dire queste cose è lo scopo principale del presente lavoro.

Ecco alcuni stralci della Lettera 9, pp. 89-91:

Attraversando le immense terre del classico Ovest, la mente illuminata trabocca di ammirazione. Ma per arrivare in questo paese è necessario abbandonare le luci e lo scintillìo della civilizzazione, si devono attraversare gradi diversi di civiltà, per toccare il livello più basso lungo la Frontiera, dove si trova la più miserevole indigenza e lo squallore della selvatichezza, dove lo spirito della libertà e dell’indipendenza di chi vive nella natura è stato annientato dalla contaminazione dei vizi e della dissipazione introdotti dalla parte più immorale della società civile.
(omissis)
Dai tempi dei primi insediamenti sulla costa atlantica, la marea montante della Frontiera si è abbattuta sugli Indiani, e come il fuoco della prateria che distrugge tutto là dove passa, li ha annientati e seppelliti, condannandoli all’oblìo, risparmiandone solo i nomi. Ma è solo a quel gruppo ormai corrotto che l’espressione “selvaggio povero, nudo e debosciato” può essere riferita. Infatti le numerose tribù che ho visitato e che ancora non sono state corrotte dai vizi della civiltà vestono bene e vivono in piena sintonia con la vita e con il meglio che essa dà.
(omissis)
È una ben triste verità constatare che di tutte le tribù che abitavano gli Stati Uniti nessuna ha cercato rifugio all’Ovest e che quindi non sono qui, ma sono state spazzate via dal fuoco che è passato su di loro, e sono sprofondate sottoterra e di loro sono rimasti solo i nomi.
Le peculiarità di questi Indiani dell'Ovest, come pure tradizioni relative ai luoghi d'origine, provano al di là di ogni dubbio che è da gran tempo che si trovano nei territori che occupano attualmente, e d'altra parte differiscono dalle nazioni che una volta occupavano la costa atlantica e che (secondo un'opinione errata ma ampiamente diffusa) sarebbero venute nell'Ovest.
E per questa gente inoffensiva e non ancora toccata di vizi della civiltà che voglio dichiarare al mondo che è giunto il momento, per l'onore del nostro Paese e di ogni suo cittadino oltre che per l'interesse dell'umanità, che il nostro Governo si muova per salvare i superstiti di quella piaga che si sta spandendo anche da queste parti. Abbiamo depredato abbastanza questa terra e là dove abitano gli Indiani non ci son alberi per l'uso dell'uomo civilizzato, ma c'è ancora quanto basta per una vita felice a contatto con la natura e spero eh il Governo non si lascerà convincere a proseguire la distruzione di questo popolo felice.
A volte il mio cuore ha pianto per loro, mentre osservavo i loro divertimenti innocenti e nello stesso tempo vedevo avanzare rapida l'inesorabile tragedia, senza la presenza protettiva del Governo, l'unico che possa evitare la distruzione di questa gente.
(omissis)
Ho osservato il passo intrepido, il portamento orgoglioso e pieno di dignità del figlio della Natura, libero e senza timori, che non conosce la cupidigia, troppo grande per piegarsi a uha legge o a un potere che non siano quelli di Dio. Poiché questa gente indipendente è tutta proprietaria della sua terra, sono tutti quanti ricchi e nessun confronto dettato dall’invidia mette in dubbio questo stato di cose.

George Catlin (1796-1872): popolo dei pellerossa: usi, costumi, vita nella prateria degli Indiani d’America (Bompiani Overlook, Milano 2000, pp. 620).
Il libro è molto interessante dal punto di vista antropologico in quanto il suo autore vaga di tribù in tribù con l’intento di immortalarne tradizioni e persone.
Ma l’autore, nato nel 1796, morì nel 1872, poco prima dell'invenzione del filo spinato (1874). La sua opera può essere quindi considerata un documento delle condizioni degli indiani "ante quem".

Nella "Lettera 1", G. Catlin racconta la sua scelta di vita: fare il ritrattista degli Indiani, vagando da una tribù all’altra per documentare le loro diverse culture. Riporto della prima lettera alcuni stralci, l’ultimo dei quali costituisce una riflessione del Catlin che vorrei definire “metastorica”.