Cesare Pavese
LA LUNA E I FALO'
1950
Il tema politico della guerra e delle lacerazioni del conflitto civile, le problematiche private come l'amicizia e la sensualità, s'intrecciano col tema della memoria e con quello della campagna intesa come mondo naturale, intriso di sangue e violenza, ma anche espressione di eterna vitalità.
Il racconto venne scritto nel periodo dell' immediato dopoguerra, quando gli echi della lotta partigiana erano ancora ben vivi nell'intero paese e soprattutto nei luoghi, come le Langhe, che ne erano stati teatro.
Finita la guerra il protagonista ( di cui si dice solo il soprannome di ragazzino, Anguilla) torna quarantenne nella sua terra, le Langhe, abbandonate vent'anni prima per cercare fortuna in America. Molte cose sono cambiate, ma i luoghi (il paese, la collina, le cascine, le vigne, il fiume Belbo) sembrano gli stessi e inducono così a tornare con la memoria all'infanzia. Bastardo, egli era stato allevato con la "mesata" (il sussidio mensile) che l'ospedale di Alba passava per i trovatelli adottati e sfruttati nei campi dalle famiglie contadine nella cascina di Gaminella. Ora lì abita un'altra famiglia di "dannati", quella di Valino, il vecchio mezzadro, incarognito dalla fatica e dalla povertà. Anguilla fa amicizia con suo figlio, Cinto, un ragazzino sciancato e solitario; e ritrova Nuto, falegname e "memoria storica" del luogo, con il quale rievoca le storie e i personaggi della comune adolescenza. Ma Nuto ha partecipato alla guerra partigiana, ha vissuto il dramma della guerra civile, l'odio, i processi sommari, le esecuzioni, gli occultamenti dei cadaveri; e non ne parla volentieri. Qui si intrecciano le storie: la giovane figlia del padrone della Mora, la più bella e affascinante delle tre sorelle che animavano con la loro spensierata vitalità la vita della cascina, aveva collaborato con i repubblichini e i nazisti, infiltrandosi come spia tra i partigiani; scoperta, era stata fucilata e il suo corpo bruciato sulla collina. Ma un altro rogo scoppia: è Valino che, impazzito, stermina la famiglia e dà fuoco alla cascina e quindi s'impicca. Solo Cinto riesce, fortunosamente, a salvarsi e Anguilla lo affida a Nuto prima di ripartire.
Il romanzo è ambientato nelle Langhe, nella valle del Belbo, che rappresenta un mondo arcaico, collegato al resto del mondo dallo stradone e dalla ferrovia, che portano il protagonista lontano dalle sue radici, a Genova e in America.
Il personaggio principale è Anguilla, un
trovatello, cresciuto bracciante in una fattoria delle Langhe, che emigra in
America dove trova lavoro e fortuna: uomo esperto che ha conosciuto il mondo,
sente il desiderio di ritrovare gli antichi rapporti con la terra. I desideri
che muovono Anguilla a ritornare nel proprio paese e riappropriarsi della
propria identità rimangono inesauditi: il passato è irrecuperabile, la macchia
di noccioli è stata tagliata, la gente che viveva alla Mora è stata dispersa,
le figlie di sor Matteo sono scomparse.
Un personaggio che è l'opposto di
Anguilla è Nuto. Quest'ultimo è rimasto attaccato alla terra, mostra fede
nell'antico rituale dei falò che feconderebbero la terra risvegliandone gli
umori; al razionalismo scettico di Anguilla,
contrappone un razionalismo diverso, che dà valore alle tradizioni
popolari, radicate profondamente nella storia di un popolo, e le integra con la
fede politica.
Cinto, invece, è l'alter ego di
Anguilla, poiché vive nella stessa casa in cui è vissuto il protagonista; anche
se non è un trovatello è ugualmente un emarginato in quanto fa parte di una famiglia
irregolare, ha un padre violento ed è zoppo. Non è mai uscito dalla valle e
Anguilla riconosce in lui se stesso e vorrebbe spingerlo a percorrere la sua
stessa strada.
Le forme e i procedimenti narrativi
"La luna e i falò" è un
racconto autobiografico che si snoda attraverso i due piani paralleli del
presente (il ritorno al paese di Anguilla diventato uomo) e del passato
(l'infanzia e l'adolescenza di Anguilla, da lui ricordate),due piani che si
incontrano nell'indagine che il protagonista conduce intorno ai fatti che si
sono verificati dopo la sua partenza. Il passato a sua volta non è ricostruito
linearmente, ma emerge per frammenti, seguendo il filo della memoria e delle
associazioni di idee.
Sul piano espressivo Pavese rifiuta le
costruzioni elaborate e complesse e quindi sceglie di utilizzare forme vicine
all'elementarità del discorso parlato, con cadenze dialettali, spezzature del
periodo, uso della paratassi, con un andamento scarno ed essenziale. Ma
l'effetto di concretezza realistica che ne deriva è controbilanciato dall'uso
di significati simbolici che esprimono gli stati d'animo e le riflessioni del
narratore per mezzo di suggestioni emotive.