Riso amaro,
1949, Giuseppe De
Santis
Soggetto: Gianni Puccini, Carlo Lizzani, Giuseppe De
Santis; sceneggiatura: Gianni
Puccini, Ivo Perilli, Carlo Musso, Carlo Lizzani, Giuseppe De Santis, Corrado
Alvaro; fotografia: Otello Martelli; scenografia: Carlo Egidi; costumi:
Anna Gobbi; musiche: Armando Trovajoli, Goffredo Petrassi; montaggio:
Gabriele Varriale; interpreti: Silvana Mangano (Silvana Melega), Vittorio
Gassman (Walter Granata),Carlo Mazzarella (Mascheroni), Maria
Capuzzo (Argentina), Lia Corelli (Amelia), Doris Dowling (Francesca).Mariano Englen (Capomonda),
Maria Grazia Francia (Gabriella),
Mariemma Bardi (Gianna), Attilio Dottesio, Antonio Nediani (Nanni),
Nico Pepe (Beppe), Ermanno Randi (Paolo), Ceccho Rissone (Aristide),
Dedi Ristori (Anna), Adriana Sivieri (Celeste), Raf Vallone (Marco
Galli), Isabella Zennaro (Giuliana), Manlio Mannozzi, Anna Maestri (Irene);
produzione: Dino De Larentis per LUX Film; durata: 100’
Temi
Il film propone il ritratto storico di
una civiltà contadina che si evolve, mostrando il passaggio a una primitiva
civiltà di massa. Il desiderio effimero di possesso di beni e di liquidi sono
il motore conduttore di questo processo di massificazione.
Trama
Francesca, giovane cameriera d’albergo,
istigata dal suo amante, Walter, criminale senza scrupoli, ruba la collana di
un cliente. Fuggono entrambi e Francesca si mescola alle mondine, che partono
in treno. La situazione però è destinata a precipitare. Nel dormitorio delle
mondine, Francesca viene derubata della collana per mano di una compagna,
Silvana. Sul luogo del lavoro giunge Walter, il quale avendo appreso che
Silvana è in possesso della collana, la coinvolge nei suoi loschi affari.
Silvana diviene amante di Walter, mentre un tenente in licenza fa la corte a
Francesca, ormai pentita del male fatto fino ad allora. Walter, avendo scoperto
che la collana derubata è falsa, decide di rifarsi tentando di rubare il riso
accumulato nei magazzini come premio finale per le mondine. Mentre le ragazze
festeggiano la fine della stagione di lavoro, Walter convince Silvana ad
allagare le risaie per distrarre l’attenzione dei festanti. Ma ha fatto i conti
senza Francesca e il tenente, che essendosi accorti di tutto, colgono i ladri
sul fatto. Nella sparatoria che segue Walter viene ucciso. Silvana, disperata,
s’uccide.
Il film è ambientato nella pianura
vercellese e lungo le rive del Po.
Protagonisti sono Silvana Mangano, nel
ruolo di Silvana Melega; Vittorio Gassman nel ruolo di Walter Granata, uomo
senza scrupoli. Nel cast troviamo Doris Dolwling nel ruolo di Francesca e Raf
Vallone nel roulo del tenente Marco.
Sia gli interni che gli esterni sono
girati nelle risaie vercellesi. Tra le inquadrature prevalgono i primi piani
(per lo più volti a sottolineare i momenti di riflessione dei personaggi).
Sebbene fabula e intreccio nel complesso coincidano, sono presenti ellissi, per
accelerare il ritmo della storia, e
rallentamenti in preparazione delle svolte narrative.
Riso amaro è un’interessante fonte storica per
capire il periodo precedente il “miracolo economico”.
La grande fatica fisica domina le giornate
dei lavoratori, per lo più impiegati stagionalmente nei lavori agricoli, mentre
una grande porzione della popolazione è disoccupata. I comportamenti sono
codificati dalla tradizione, ma cominciano a risentire del mito americano, che in quegli anni si
stava diffondendo influenzando comportamenti, linguaggi, ed abbigliamenti come
si vede nella figura di Walter. Nonostante tutto ciò, tra gli interessi
prioritari c’è sempre la famiglia e il suo mantenimento. I salari, per lo più stabili,
non permettono un trend di vita
soddisfacentemente alto, tale da consentire la fruizione dei servizi terziari,
riservati ad una stretta élite. Il livello culturale generale è basso, la
cultura è ridotta alle pillole di saggezza popolare (ad es.”le armi rovinano
l’arte”) e proverbi tradizionali costituiscono il bagaglio dei protagonisti.
Sul piano della morale sociale si registra un grande senso di solidarietà tra le mondine; scoppiano proprio a tal riguardo sommosse a difesa del lavoro e dei propri diritti, in quanto la Camera del lavoro e le figure di protezione a percentuale non bastano ad assicurare la tutela necessaria.
Il titolo del film offre dunque
un’indicazione precisa dello spirito che ha portato alla sua realizzazione. De
Santis ha voluto raccontare “le parole” del lavoro nei campi, lavoro duro fatto
di fatica e sacrificio, ma anche di lealtà e amore per le tradizioni. I canti
delle mondine rappresentano la lotta per la conquista delle otto ore, un modo
di comunicare, un mezzo per alleviare la fatica. Forme di diffusione culturale
come il grammofono, “ La Stampa” e riviste come “Grand Hotel”, o le
trasmissioni radiofoniche di Radio Torino, favoriscono l’unificazione
linguistica, ricca di sfumature dialettali piemontesi e venete; alimentano
inoltre il fervente desiderio di una nuova vita oltre i confini nazionali;
anche se molti si accontentano di unirsi alle “carovane” di lavoratori
stagionali da una regione all’altra, attraverso mezzi di trasporto meccanici
(treni, camion, carri armati).
Gli interessi della famiglia sono ancora
primari. Le donne portano al lavoro con sé i bambini, vivendo in anguste
camerate militari ormai abbandonate; queste sono inoltre espressione del
consumismo moderno: indossano indumenti lavorati con materie sintetiche (es.: i
collant), si trastullano con strumenti di svago come il grammofono, inseguono
più dell’altro sesso il sogno di una vita migliore, in molti casi accanto a
uomini dal fascino continentale (es. l’amore di Francesca per il fascinoso
Walter ). I bassi salari costringono all’uso dei beni fino al loro logoramento,
ma ciò non impedisce, in alcuni casi eccezionali per il loro verificarsi, il
consumo di beni superflui come “gomme americane” e sigarette; raramente si
frequentano sale da ballo, durante la
stagione lavorativa, come veniamo a sapere dal sergente Marco; al contrario
numerosi sono coloro che preferiscono le tradizionali feste di paese.
Questo è un film che ricapitola la
cultura e la storia dei lavoratori che lottano per la conquista dei diritti
sindacali. Dedicato alle mondine vercellesi, che rappresentano per la loro
semplicità e i loro sacrificio un esempio di coraggio e di caparbietà, che
nelle nostre società moderne è andato in molti casi sfumando sempre di più.