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la
pagina delle recensioni dei lettori
Pubblichiamo in
questa pagina le recensioni di libri che i lettori ci inviano
attraverso l'apposito form |
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John Marsden,
Ho così tanto da dirti
2007,
Mondadori junior, 2007, Milano, pp.152, costo 8 Euro
Recensione di
Barbara Mancini
Il
libro di John Marsden è basato su una storia vera: è un diario che
scrive Marina, una ragazza di 14 anni, dal volto segnato a causa di
un incidente con un acido avvenuto per colpa del padre. Da quel
momento ha smesso di parlare con chiunque: allora era stata mandata
in ospedale, ma anche li non c'era stato nulla da fare. Decidono
quindi di farle frequentare un college, la Warrington Boarding
School, sperando che almeno qui riacquisti la parola. Ma anche lì il
suo silenzio continua. Il suo insegnante di inglese, Mr Lindell, dà
alla sua classe un diario sul quale annotare tutto ciò che accade
all'interno dell'istituto: quello che succede in classe, ma anche
quello che accade con le compagne. Insomma, un diario sul quale
scrivere proprio tutto. Inizialmente la timidissima Marina è
riluttante a scrivere, raccontare ed esprimere tutte le sue vicende,
le sue emozioni, le sue paure all'interno del diario: teme che i
suoi professori, ma specialmente le compagne di stanza, alcune
amiche alcune nemiche, possano leggerlo. Ma alla fine si convince e
comincia a raccontare tutto quello che succede, tutti i suoi piccoli
progressi e le sue grandi “sconfitte”, presenta così il suo mondo,
un mondo diverso dal comune, un mondo dove è molto difficile vivere
e andare d'accordo con le compagne di stanza, alcune ostili nei suoi
confronti. Durante la sua permanenza all'interno della scuola, si
mantiene in contatto con la madre tramite lettera. Lei, separata dal
padre ha intrecciato una relazione con un nuovo fidanzato, che non
fa altro che dirle che deve assolutamente dimenticarsi del padre.
Marina però non vuole, desidera tanto rivederlo e il grandissimo
amore che prova nei suoi confronti la porta a dimenticare tutto
l'accaduto. Fortunatamente alla fine, l'amore ha la meglio e Marina
rivede il padre, ma, cosa più importante, gli parla: dopo moltissimi
anni apre la bocca e parla, dicendo quelle parole che daranno poi il
titolo al libro: “Papà...ho così tanto da dirti...”
E' un libro
veramente fantastico: l'autore sottolinea in modo molto profondo
il bellissimo rapporto tra la ragazzina ed il suo papà. L'amore
domina, facendo riavvicinare i due e facendo dimenticare il
passato ad entrambi. Il linguaggio usato è semplice e i passaggi
del libro che preferisco sono quelli in cui Marina comincia ad
avere i primi rapporti con le compagne: alcune cominciano a
mostrarsi gentili nei suoi confronti, nonostante lei non
risponda a nessuna loro proposta o segnale di amicizia,
limitandosi soltanto a mostrarsi fredda e incurante. Ma in
realtà, tutte le reazioni che vorrebbe avere con quelle ragazze,
le racconta al suo diario, al suo unico, vero amico. Ed è
proprio grazie a questa sua “valvola di sfogo”, che Marina
riuscirà, in un secondo momento, ad avere punti di contatto con
quelle ragazze. Consiglio la lettura di questo libro a tutte le
persone che credono che l'amore può fare qualsiasi cosa e che
con l'aiuto di amiche si possono risolvere anche grandissimi
problemi. |
Deborah Ellis, La
trilogia del Burqa, 2005, ed. Rizzoli, Milano, pp.510, costo 15 Euro
Recensione di
Marta Martinelli
Nel
libro è narrata la vita di due ragazzine, Parvana e Shanzia, che
vivono in Afghanistan e sono coinvolte nella guerra dei talebani,
che hanno invaso il loro paese seminando panico e terrore. Ognuna di
loro affronterà varie prove e situazioni per ritrovare la loro
famiglia e la felicità. E’ un libro molto bello e commovente. Ha
suscitato in me tristezza, dolore, compassione, odio e stupore,
sentimenti vari e disparati, perché sono stata costretta a calarmi
nella quotidianità della guerra. Mi ha fatto capire che vivere è
un’opportunità unica e bisogna preservarla sempre, nel bene e nel
male.
Parvana e Shanzia, infatti, nonostante le bombe, i maltrattamenti e
la morte non perdono la speranza, vanno avanti anche se con qualche
paura.
L’amicizia delle due ragazze supera il problema della guerra,
infatti costoro si cambiano lettere e ripensano in ogni istante alla
loro promessa di “ ritrovarsi a Parigi una volta scappate
dall’Afghanistan”.
Leggere questo libro vuol dire capire e vivere fino in fondo la
guerra; cosa significa vedere ogni giorno molte case crollare,
abbandonare parenti e vederli morire, non avere certezze, libertà di
pensiero…
E’ normale che due ragazzine debbano “vivere” in questo modo? Che
non possano uscire di casa? No, io credo proprio di no. Nella nostra
vita ci sono cose che diamo per scontate: un pasto, un saluto, un
libro, un paio di Jeans, ascoltare un programma radiofonico…ma non
sospettiamo che potremmo esserne privati da un momento all’altro.
Sono stata molto colpita da come l’autrice ha descritto la
situazione e la devastazione che hanno colpito l’Afghanistan. Mi
hanno colpito particolarmente due frasi: “In tutta Kabul c’erano
edifici distrutti dalle bombe. I quartieri si erano trasformati da
case ed uffici in mattoni polverosi. Kabul era stata una bella
città, un tempo, con marciapiedi, semafori che cambiavano colore, le
passeggiate serali verso i ristiranti, i cinema, era difficile
immaginarla diversa. Faceva amale ascoltare i racconti della vecchia
Kabul, quella di prima dei bombardamenti”.
“ Lei non voleva pensare a tutto quello che le bombe avevano
spazzato via, compresa la salute del padre e la loro bella casa. La
faceva arrabbiare, e dal momento che non poteva fare nulla della sua
rabbia, la rendeva triste”. In queste righe sono descritte la
distruzione della città e si parla della nostalgia e tristezza che
provano i cittadini per le occasioni perdute.
Parvana è dolce, sensibile e molto forte, perché accetta tutto
quello che le accade.
Io personalmente mi rispecchio in Shanzia, che è ribelle, permalosa,
impulsiva e sognatrice.
Il lessico è semplice ed i pensieri sono molto profondi ed intensi.
Scopo dell’autrice è far riflettere su quello che sta accedendo
nella nostra epoca e far conoscere una realtà di cui non immaginiamo
l’esistenza.
Oltre a questo lo scopo è lanciare un messaggio di speranza a tutte
quelle persone che conoscono e vivono queste esperienze a non
mollare, ad andare avanti.
Consiglio a tutti la lettura di questo libro perché ci fa capire ciò
che vivono le persone innocenti coinvolte nella guerra . |
Tahar Ben Jelloun, Il
razzismo spiegato a mia figlia, 1998, Bompiani, pp.62, costo
5,11 Euro
Recensione di
Giovanni Gandossi
La
lotta contro il razzismo comincia con un lavoro sul linguaggio.
Purtroppo la società odierna è condizionata dai luoghi comuni e noi
dobbiamo fare qualcosa per demolire questa barriera linguistica che
si pone fra noi e gli speranzosi immigrati.. Il razzismo, secondo
me, è uno tra i problemi più importanti di oggi. T. B. Jelloun dice
che “il razzista è uno che, con il pretesto di non avere lo stesso
colore della pelle, né la stessa lingua, né la stessa cultura, crede
di essere superiore rispetto a coloro che sono diversi “. La causa
al razzismo è anche di quelle persone che educano il propri figli
all’intolleranza ed alla discriminazione. Poi questi figli
trasmetteranno ai propri figli le medesime idee e, via via, questa
“malattia” del pensiero si diffonderà tra la gente con una mente
debole o incapace di affermare le proprie idee. Ciò comporta la
discriminazione tra i popoli, che è causa di ingiustizie, come lo fu
il genocidio degli ebrei, la strage degli armeni da parte dei turchi
e, in alcuni casi, di guerre ( le Crociate, la guerra dei Trent’anni,
etc…).
Queste idee razziste impediranno inoltre alle popolazioni di
mescolarsi e di dare vita ad una società cosmopolita, nella quale
ognuno ha i suoi diritti e non viene discriminato per il colore
della pelle. Questo, un giorno, potrebbe succedere se si superasse
il muro del razzismo.
Secondo me, molti sarebbero i modi per sconfiggere il razzismo.
Innanzitutto si potrebbe educare fin dalla giovane età ogni persona,
in modo da convertire anche coloro che, invece, sostengono le idee
del padre razzista. Un altro modo sarebbe eliminare alcune parole
equivoche dal nostro vocabolario, e alcune idee preconcette. Infine
il modo, secondo me, migliore per superare il razzismo è viaggiare.
Non tutti possono farlo, ma coloro che ne hanno la possibilità la
devono cogliere al volo.
Viaggiando si allargano le idee, i nostri orizzonti e si possono
studiare e capire le altre culture differenti da quella occidentale.
Solo apportando queste piccole e grandi modifiche alla nostra vita
quotidiana possiamo renderci conto che siamo tutti cittadini di
questo mondo, con pari diritti e possibilità. Quando avremo capito
ciò, realizzeremo il grande obiettivo che le più importanti
religioni si sono prefissate. Tutti saranno uguali davanti alla
legge come davanti a Dio.
Recensione di
Luca Presti
Il razzismo spiegato a mia
figlia è una breve dialogo tra Ben Jelloun e sua figlia. In
questo libro lo scrittore ci fa capire con parole semplici e
chiare l’ingiustizia del razzismo.
Egli vuole cancellare dalle nostre giovani menti i pregiudizi e
le paure che ci portano al razzismo. In alcune pagine l’autore
propone esempi concreti e storici per spiegarci l’ingiustizia
del razzismo. Egli si rivolge alla scienza e alla ragione per
annullare i pregiudizi. Infatti, grazie alla scienza afferma che
non si può parlare di razze umane perché esiste solo una specie
umana, che non può essere articolata in razze sulla base del
colore della pelle.
Lo scrittore parla di etnie che si differenziano per aspetti
fisici come il colore della pelle, la storia e la religione.
Questi elementi insieme creano le diverse nazionalità. Lo
scrittore invita ad apprezzare tutte le differenze che ci
arricchiscono.
Ci insegna che l’ignoranza e la paura provocano il rifiuto. Lo
scrittore, ancora, ci invita al rispetto, alla tolleranza, al
dialogo; solo con questi valori le nuove generazioni possono
sconfiggere il razzismo.
Questo libro mi è piaciuto perché contiene valori in cui credo:
gli uomini devono essere rispettati in qualsiasi situazione si
trovino, ricchi, poveri, bianchi o neri. Ho trovato molto
interessante l’approfondimento scientifico perché ho capito che
le teorie razziste sono basate sull’ignoranza e non hanno alcun
fondamento.
Recensione di
Barbara Mancini
“Il razzismo è nell’uomo, è meglio
saperlo ed imparare a respingerlo”, con questa frase T.B.Jelloun
intende che ogni persona può essere razzista e deve essere
consapevole di poterlo essere.
Il razzismo, dice l’autore, è una sorta di paura, una paura nei
confronti di una persona che è diversa. Tutti possono avere
paura, è una cosa naturale: paura del confronto, paura di
interagire, paura di relazionarsi con gli altri in quanto
diversi nel modo di pensare, diversi nelle proprie origini,
diversi nella cultura.
La paura è comprensibile, ma una persona matura e intelligente
deve saperla superare, soprattutto la paura non deve
trasformarsi in cattiveria o addirittura odio.
Perché è proprio questo che genera il razzismo. Spesso una
persona diventa razzista in quanto è debole di carattere, non
riesce ad “annientare” la paura e la trasforma in odio.
Purtroppo di questi tempi le persone che compiono questa
“trasformazione” sono davvero tante. Spesso il razzista vuole
semplicemente non avere alcun contatto con una persona di
diversa cultura, provenienza e religione, ma la domanda è una
sola: perché? Perché il razzista è così ostile nei confronti di
una persona diversa? La risposta logica è ancora una sola: ha
paura. Ma proviamo a ribaltare la situazione: anche lo
straniero, in questo caso immigrato, può essere razzista. Può
avere, cioè, paura di un mondo nuovo, di nuove persone che
spesso possono essere nuovi “nemici”. Anche in questo caso se è
una persona matura supera le sue paure. In caso contrario,
“scatta” l’odio, con conseguente razzismo. A questo punto,
secondo me, l’unico modo per superare l’avversione è “venirsi in
contro”: entrambi hanno paura della diversità? Deve essere
proprio la loro paura ad avvicinarli ancora di più. E’ così che
dev’essere la società ideale. Una società dove, se l’unico
fattore comune è la paura, bisogna saperla sfruttare come mezzo
per unirsi. Ma nella società ideale non deve nemmeno esistere la
paura. Tutti dovrebbero essere in grado di dire:”Quella persona
è diversa da me? Nessun problema! Posso scoprire cose nuove!”
Nella società ideale le persone devono essere abbastanza mature
da capire che il contatto con una persona diversa è un bene, si
possono scoprire cose nuove sulle diverse popolazioni, sulle
diverse religioni, si possono assaggiare nuovi cibi. Ma la cosa
più bella è anche che si possono trovare nuovi amici con cui ci
si può confrontare, nuovi amici che ci possono insegnare cose
nuove e ci possono mostrare una faccenda da un punto diverso dal
nostro. Purtroppo adesso la società ideale non esiste, ma
bisogna “lottare con se stessi”, impegnandoci per fare in modo
che magari, in un futuro non tanto prossimo, questo sogno di
società ideale possa diventare realtà. |
Joanne Kathleen Rowling,
Harry Potter e il prigioniero di Azkaban,
Salani, Milano 2000, pp.366, costo 18,50 Euro
Recensione di
Alessia Di Gesù
E’
la terza serie di una saga spettacolare piena di colpi di scena e
della grande amicizia e discordia che si crea tra i ragazzi. In
questo libro Harry scopre l’infanzia di suo padre, che era simile
alla sua situazione nella scuola. Harry scopre che suo padre era
simile a lui perché si era sacrificato (infrangendo le regole)
insieme ad i suoi amici per non far sentire a disagio un proprio
amico; e scoprì che Silente è sempre stato un grand uomo ed ha
sempre percepito i sentimenti di tutti e si è sempre sacrificato per
gli altri per farli sentire al proprio agio. Una volta, quando Lupin
era studente lo ha accettato anche se era un Animagus, anzi gli ha
anche costruito un posto sicuro dove si poteva tranquillamente
trasformare senza far del male a nessuno, e tuttora lo stava
difendendo convincendo gli altri professori che era una persona
affidabile anche se era un Animagus. E che grazie al professor Piton
sarebbe riuscito a controllarsi. E’ bello da leggere perché in parte
è costituito dalla magia, ma si proietta anche nella realtà
descrivendo l’amicizia, il dolore, le antipatie, le ostilità, gli
ostacoli della vita ecc. Quest’anno Harry si lega particolarmente al
professor Lupin il nuovo insegnante di difesa contro le arti
oscure,(che era anche amico di suo padre); ma l’amicizie più forte è
quella che lega Harry, Ron ed Hermione i quali affrontano qualsiasi
difficoltà aiutandosi a vicenda; anche se nella loro individualità
sono persone molto diverse: Harry è un grande mago, Ron non è una
cima nella magia e nemmeno nello studio, mentre Hermione è l’opposto
di Ron perché lei adora studiare, sin al punto che quest’anno
volendo frequentare più materie contemporaneamente, si fa dare dalla
professoressa McGranitt un gira tempo in modo da riuscire a studiare
tutto. La loro amicizia è molto forte anche se quest’anno ad
ostacolarla sarà un semplice topo(quello di Ron Crosta) ed un gatto
(quello di Hermione Grattastinchi). Il dolore più forte era quello
che provava Hermione, perché era stata esclusa da Ron e da Harry a
causa di questi animali; ed anche quello di Harry scoprendo che
Sirius Black l’assassino della storia, era un amico dei suoi
genitori, il quale li aveva venduti al Signore Oscuro. Le antipatie
sono sempre quelle con Malfoy e la sua band, che in questo libro
saranno più accentuate a causa della condanna a morte di Fierobecco(l’ippogrifo
di Hagrid)che Malfoy gli aveva assegnato per una piccola ferita
infertagli. L’ostilità più forte rimane sempre contro il professor
Piton, ma che quest’anno saranno anche dedicate all’inizio a Sirius
Black, ed infine a Peter Minus. Buona lettura! |
Stephenie Meyer, Twilight (crepuscolo), Fazi editori,
Roma, 2007, pp.412, costo 9.90 Euro
Recensione di
Chiara Cristinelli
Il
romanzo parla di una storia d’amore tra due “ragazzi”; metto ragazzi
tra le virgolette perché la ragazza Isabella o Bella, è umana,
invece il ragazzo è un vampiro, e si chiama Edward.
La storia si sviluppa a Fonks e, in alcuni capitoli, a Phoenix nel
2005, cioè recentemente.
Questa storia d’amore inizia con un amicizia un po’ troppo stretta
e, perciò, si trasforma in un amore complicato.
La storia si sviluppa in modo molto veloce in quanto ci sono molte
scene in un solo capitolo, tanto che Bella è sempre in pericolo.
Ma dopo un amicizia affiatata Edward decide di svelarle che lui è un
vampiro.
E da li parte tutta la storia che seguirà poi in altri tre capitolo.
Altri personaggi sono, il padre di bella: Charlie; il padre di
Edward, Carlise e la sua famiglia I Cullen e Jacob, un vecchio amico
di Bella licantropo (lupo mannaro) con suo padre Bill, anch’esso
licantropo e vecchio amico del padre di Bella.
In questo libro vi sono molti episodi e, secondo me sono tutti
significativi, ma uno in particolare, centrale nello sviluppo della
storia,è cioè quando Edward (il vampiro) dice a Bella che è di fatto
un vampiro.
La ragazza inizia a interrogarlo, ricoprendogli una sorta di “terzo
grado” ogni giorno, e lui risponde con tutta sincerità anche se non
dovrebbe; il giorno dopo infatti la famiglia di lui è divisa tra
quelli che sono favorevoli a essere dalla sua parte, cioè che
concordano che un’umana sappia il loro segreto, e chi non è
favorevole.
Un altro episodio che mi ha colpito è quando Edward porta Bella a
casa sua dove i componenti sono tutti vampiri e lei è preoccupata
non perché sono vampiri, ma perché vuole piacere alla sua famiglia.
I personaggi principali sono Isabella Swan ed Edward Cullen.
Isabella è una ragazza timida ed impacciata, ha un colorito pallido
ed odia la pioggia, ma il posto in cui abita non la rallegra affatto
perché è uno dei più piovosi in America.
Edward è proprio il contrario di lei, perché essendo un vampiro è
bello ed aggraziato, e affascinante e silenzioso, e può leggere nei
pensieri di tutta la gente tranne, non si sa il perché, quelli di
Bella.
Con Bella, Edward è molto dolce e sincero, ma quando un ragazzo le
si avvicina prova una gelosia molto forte per essa.
Lo stile del libro è semplice e scorrevole, i
periodi facili e non troppo lunghi, pieni di dettagli
che interessano il lettore perché danno spessore di ritratto dei
personaggi ed arricchiscono lo sviluppo della storia, ritmo veloce e
descrizioni dei personaggi ricchi ma le mette man mano si procede
nella storia.
Il libro è scritto in prima persona cioè si vede tutto dagli occhi
e dalle opinioni di Bella ed è una serie composta da quattro libri:
Twilight, New Moon, Eclipse, e Breaking.
L’autrice si vuole far leggere una storia per i giovani, ma
soprattutto per le lettrici perché parla di un amore e di un
principe azzurro proprio speciale.
Infatti chi legge questo libro viene attratto dalle descrizioni
degli occhi, degli sguardi di Edward che si innamora subito del
personaggio.
Personalmente penso che sia un bellissimo libro e lo consiglio ad
una fascia giovanile e femminile, in quando, come ho già detto,
l’autrice vuole farci vedere il mondo delle ragazze.
Io mi sono immedesimata nel personaggio femminile in quando abbiamo
molti aspetti in comune, tranne la storia di amore con un ragazzo
affascinante.
Del protagonista maschile si può solo fare un paragone per far
capire alle persone come viene rappresentato:lui è più coraggioso di
Harry Potter (il maghetto della Rowing) e più affascinante di Step
(di Federico Moccia).
Vorrei aggiungere che è un libro fantastico, romantico, avventuroso
e anche pauroso in alcuni punti e lo consiglio a delle lettrici che
amano le storie intricate, piene di mistero e romantiche come me. |
John Lekich, Il club dei
perdenti, 2007, Ed. Mondatori ragazzi, Milano, pp.275, costo 7 Euro
Recensione di
Sara Alebardi
Questo
libro parla delle condizioni dei “perdenti”, la cui vita scolastica
è piena di pericoli e tormenti: chi sfila loro denaro, chi li assale
a tradimento, chi li rinchiude nell’armadietto…
Alex Sherwood, l’antieroe protagonista, sa benissimo di chi è opera
tutto ciò, di Jerry e dei “suoi ragazzi”. Alex è un ragazzo
invalido, che si muove con l’aiuto di stampelle. E’ proprio per
questo che Jerry lo risparmia dei suoi atti di bullismo; ma è sempre
per questo che l’unico desiderio di Alex è quello di vivere come uno
studente normale, in mezzo ad altri studenti normali, senza acme,
apparecchi od altri risibili difetti.
Ma il destino riserva altri progetti per Alex: col tempo tutti i
“perdenti” lo seguono e lo considerano il loro protettore, grazie al
fatto che Jerry non lo fa oggetto di prepotenze, tranne a volta
deriderlo.
Alex li aiuta, presta loro denaro,… Nasce così il club dei perdenti,
di cui lui sarà il presidente, e dove si metteranno in comune tra i
suoi membri avventure e disavventure.
Ad un certo punto della storia la situazione si farà difficile anche
per Alex, perché dovrà mettere alla prova la libertà d’esistenza del
club dei perdenti, accettando una sfida con Jerry. Chi avrà la
meglio tra Jerry ed Alex? Chi aiuterà Alex nella sua impresa?
Questa è la trama di un libro avvincente, che parla di fatti reali
attraverso episodi divertenti ma significativi. Da questa storia
emergono i valori della collaborazione e l’importanza di avere amici
che ti sostengono a non arrendersi. L’autore “esagera” nel creare
una situazione al limite dell’eccesso, allo scopo di mostrare a cosa
può portare il bullismo, e mostra coma alla fine sia proprio
l’unione a fare la forza, per respingerlo.
Il linguaggio usato è semplice e facilmente fruibile, con il ricorso
al linguaggio giovanile; i periodi non sono complessi e la storia
segue un buon ritmo: non scorre velocemente, ma si sofferma su
particolari determinanti.
Questo libro mi è piaciuto perché parla della realtà del bullismo,
degli atti di prepotenza verso i più “deboli”, e l’autore trova
soluzioni divertenti per combatterla. |
Patrick Suskind,
Storia del signor Sommer,
1999,
Salani editore,Bergamo,
pp.131, costo 6,71 Euro
Recensione di
Bracchi Tennis
Il
libro ”Storia del signore Sommer” è un libro che viene raccontato
non dal signore Sommer, cosa che si potrebbe pensare dal titolo, ma
da un ragazzino che narra la sua vita dall’età in cui era alto poco
più di un metro e portava il ventotto di scarpe fino a quando ebbe
compiuto diciassette anni, con un’ altezza di un metro e settanta,
un peso di quarantanove chili e con il quarantuno di scarpe. Questo
ragazzino ci racconta che esso era in grado di volare, ma di volare
veramente, l’unica cosa che però lo preoccupava era poi dove
atterrare, in un prato? Sul tetto di una casa? Oppure su di un
albero? Possiamo quindi dire che l’atterraggio non era il suo forte,
ma parliamo di alberi. Passava intere ore sugli alberi, e si
arrampicava con una splendida agilità. Da là sopra esso osservava il
paesaggio circostante, studiava i vocaboli inglesi, latini, le leggi
fisiche, le formule matematiche, faceva i compiti e spiava
continuamente le lunghe interminabili, inspiegabili passeggiate del
signor Sommer, il suo vicino di casa. Ma perché Sommer camminava
sempre? La risposta è stata data dal padre del ragazzino il quale
diceva “Il signor Sommer sofre di claustrofobia, cioè la malattia in
cui non si può stare al chiuso in casa”. Intanto il tempo passava e
per la gente Sommer era diventato parte del paesaggio, non ci si
faceva più caso; e anche per il nostro protagonista esso appariva
una cosa naturale, data per scontata, incontrarlo per strada. Il
libro si conclude con un drammatico finale ”il suicidio di Sommer”,
chi sa perché l’avrà fatto? Forse per la morte di sua moglie? Forse
perché era stato dimenticato ed inserito nel paesaggio come un
normale cespuglio dove non si fa caso che c’è? Forse perché soffriva
troppo di claustrofobia? Forse perché l’ Europa era diventata troppo
piccola per lo spazio esigente alle sue lunghe marce? Forse Sommer è
la metafora dell’ uomo in generale, che non vuole arrendersi alle
banalità della propria vita, che cerca di sfuggire alla morte? Ma
invano! Forse perché…………………
Questo libro è facile da leggere, ha un lessico medio-facile e
l’intenzione comunicativa che l’autore si prefigge è di mostrarci le
cose viste dagli occhi di un bambino, quindi in modo diverso da come
le vedono gli adulti. Inoltre consiglio ”personalmente” la lettura
di questo libro perché è molto bello sia dal punto di vista dell’
impaginazione con i simpatici disegni, sia per il contenuto che ci
fa trovare dentro di noi le paure, le simpatie e i divertimenti
della gioventù! |
Jerry
Spinelli, Stargirl, 2004, Ed.Mondadori Ragazzi, pp.170, costo
7,80 Euro
Recensione di
Maria Grazia Shkurti
La
protagonista di questo romanzo, una ragazza di nome Stargirl, è
molto strana: si veste in modo stravagante, se ne va in giro con
un topo in tasca, un Ukulele a tracolla (uno strumento musicale
a quattro corde, di origine awayano, che significa alla lettera
“pulce saltellante” per la velocità con cui viene suonato),
piange ai funerali degli sconosciuti e sa a memoria i compleanni
dell’intera cittadinanza.
Quando, un giorno, comincia a frequentare una nuova scuola, dove
tutti i ragazzi si vestono allo stesso modo e fanno le stesse
cose, la sua apparizione suscita molto scalpore e all’inizio
viene emarginata. Viene ritenuta da tutti come un’aliena,
un’infiltrata o un’imbrogliona, che agisce solo per attirare
l’attenzione.
Ma non è così.
Stargirl è veramente quello che sembra, non finge affatto e non
ha paura di mostrare quello che è. Dovrebbe, per questo, essere
un esempio, perché lei non teme le opinioni degli altri.
Piano, piano comincia però a divenire popolare nella scuola, e
ad essere ammirata per la sua allegria, la sua disponibilità ad
aiutare chiunque, finché un ragazzo si innamora di lei,
nonostante le sue “stranezze”.
Un episodio significativo del libro è certamente la scena dove
Stargirl, derisa da tutti, non se ne cura e ribadisce di non
voler cambiare la sua natura per divenire come gli altri. In un
altro episodio interessante, più avanti, una notte Stargirl va
insieme a Leo, il ragazzo di cui si era innamorata, nel deserto
e qui gli mostra un luogo appartato dove lei va abitualmente a
“meditare” ed a pensare. Gli racconta che qui, a volte, si sente
infelice per la sua diversità, ma è pur consapevole che non
bisogna perdersi d’animo e continuare ad esprimere liberamente
la propria personalità.
Al giorno d’oggi è molto difficile trovare adolescenti come
Stargirl, perché ormai tutti tendono ad “adeguarsi” per non
essere diversi, allo scopo di essere accettati. Tutti hanno
paura di esprimersi veramente e di far uscire la propria
personalità, per paura di essere scherniti e rifiutati.
L’autore vuole comunicare un messaggio molto importante, che
tutti dovrebbero seguire. Quello di essere sempre se stessi e di
non aver paura del giudizio degli altri. Io consiglierei questa
lettura a tutti perché insegna come al giorno d’oggi essere
diversi sia effettivamente un problema. |
Nuccia Resegotti, Il
libro degli incantesimi, 2007, ed. La Scuola, Pagine: 174,
Prezzo: euro 10,00
Recensione di
Davide Anastasi
Il
romanzo narra la vicenda del ritrovamento di un libro da parte
di due ragazzi, Stefano e Chiara. Non si tratta di un libro
qualsiasi, infatti esso include tutte le magie e chi lo possiede
può cercarvi la formula per ben tirarsene da situazioni
spiacevoli. I due ragazzi rintracciano questo libro in
biblioteca quasi per caso, scambiandolo per un romanzo di
agevole lettura. Il loro scopo iniziale era, infatti, quello di
prendere a prestito un testo striminzito e poco impegnativo.
Scopriranno invece di avere tra le mani uno scritto
straordinario, capace di cambiare la trama a loro piacimento.
Nel corso della storia, così, il potere del libro verrà usato
per azioni di bene, oltre che per evitare ai due protagonisti
gli intenti aggressivi di due bulletti della scuola, denominati
i “2 F”…
Ho trovato significativo il fatto che in una storia di magia sia
finita una storia, ben più verosimile, di bullismo. Infatti si
tratta di una realtà ben presente, che si può incontrare anche,
ad esempio, partecipando ad una gita scolastica. Altre occasioni
di riflessione il libro non ne offre, perché i due ragazzi
tentano poi di sfruttare il potere magico del libro per
soddisfare le proprie comodità.
Stefano è un ragazzo comune, anche se preso di mira dai due
bulli della scuola. Ha un carattere riservato e non ha tanti
amici, nella storia. In effetti la sua unica amica è Chiara, e
con lei si stabilirà un legame speciale.
Il testo è scorrevole alla lettura, anche perché scritto a
caratteri grandi e dotato di un vocabolario dei termini
difficili.
L’intenzione dell’autore? Forse cercare d’interessare i ragazzi
ad un tema, il bullismo, che può capitare di coinvolgerli in
prima persona.
Lo consiglio, dunque, specialmente a chi, come me, non ama
particolarmente la lettura. |
Bianca Pitzorno,
Speciale Violante, ovvero l’orfana di Merignac, Ed.
Mondatori Ragazzi, 1989 Milano, 190 pp. 9,60 euro
Recensione di
Elisa Massussi
E’
arrivata l’estate e finalmente Barbara, Vittoria e Valentina
possono ritrovarsi a Dorgo, un paesino di montagna dove quasi
tutta la popolazione di Alaria trascorre le vacanze.
Questo “appuntamento” è un’occasione per le tre inseparabili di
scambiarsi confidenze su problemi di famiglia, sui primi amori…
Con grande stupore questa volta, però, la vacanza estiva
riserverà una sorpresa: arriva in paese una troup televisiva per
girare una telenovela destinata ad una larga diffusione:
L’Orfana di Merignac, la cui protagonista ( Violante, nel
film) sarà una famosissima ed affascinante quindicenne,
Scintilla Fux.
Gli occhi di tutto il paese sono puntati su di lei; tutti, dai
ragazzini alle vecchiette di Dorgo, appassionate telespettatrici
del genere, desiderano conoscere di persona la star.
Barbara, Vittoria e Valentina, per tornare alle nostre eroine,
riusciranno ad allacciare un rapporto di confidenza con lei, ma
ne rimarranno deluse: Scintilla si rivela essere solo una
ragazza arrogante e piena di sé; porterà via a loro divertimento
e persino l’attenzione di un ragazzo!
Le tre fanciulle, pur essendo molto carine, non possono
competere in bellezza con l’aura che accompagna l’attrice.
Valentina, la più avvenente delle tre, ha occhi dal taglio
orientale, sul volto si notano graziose spruzzatine di
lentiggini e le sue gambe sono lunghe e slanciate; per questo
apare agli occhi dei ragazzi come la più grande ( valore
aggiunto!).
Vittoria e Barbara si contendono la palma per il secondo posto:
Vittoria, piccola e minuta, pare un elfo; ha occhi scuri,
capelli neri e lisci, la pelle ambrata e labbra gonfie,
infantili (?).
Barbara, in realtà non sembra avere niente di speciale con i
suoi capelli castani ondulati ed il naso dritto e severo; in
lei però risalta la bellezza interiore; è creativa, sensibile,
generosa…
Le tre ragazze riusciranno nel corso della storia, a togliersi
di torno quell’opportunista; sono infatti ragazzine
intelligenti, simpatiche, spiritose, leali tra loro. Li unisce
un legame profondo, tanto che, come li chiamava il padre di
Valentina, formano una “monade trilobata”, inattaccabile da
qualsiasi parte.
L’autrice si propone certamente l’obiettivo, tra gli altri, di
demolire il mito dei personaggi famosi, facendoci capire che
l’immagine che ci siamo costruiti di loro molte volte non
corrisponde alla realtà.
Il linguaggio utilizzato è semplice e scorrevole, con largo
spazio destinato alle descrizioni.
Lo consiglio a ragazzine in cerca di letture piacevoli ed
incentrate sulla realtà adolescenziale; e con esso consiglio
anche la lettura della sua continuazione, Principessa
Laurentina. |
Louisa
May Alcott, Piccole donne, prima ed.1868, Ed.
Battello a vapore, collana I Classici, pp.288, Casale
Monferrato (AL) 2003
Recensione di
Chiara Cristinelli
Il romanzo “Piccole
donne” di L:M:Alcott narra la vicenda di quattro sorelle, della
loro vita vissuta accanto alla madre ma lontano dal padre
partito per la guerra.
La famiglia abita nel nord
America, in una casetta accogliente.
La storia prende avvio in inverno, quando le protagoniste Meg,
Jo, Beth , Amy e la signora March, la madre, sono riunite
intorno al caminetto della propria casa.
In un secondo momento entrerà in scena un ragazzo, Laory, e il
suo nonno, il signor Lourence.
La storia racconta delle vicende che uniscono i giovani
protagonisti in una vita comune, fatta di litigi, vacanze,
malattie e tutto quanto riempie le giornate degli anni della
crescita.
Meg, o Margaret, era la sorella maggiore, dell’età di sedici
anni. Era una bella ragazza, dal carattere serio e responsabile.
Jo, o Josephine, aveva invece quindici anni ed era una ragazza
dai modi meno gentili, un po’ “maschiaccio”, come lascia
desumere il suo soprannome; sebbene non molto carina ed
impacciata in certe situazioni tipicamente femminili, era
divertente e decisa; spesso iraconda, era l’anima festosa della
casa.
Beth, o Elisabeth, era una ragazzina di tredici anni; riservata
e dotata di una voce timida, il suo volto mostrava spesso
un’espressione serena, tranquilla, chiusa in un suo mondo.
Infine Amy, la più piccola.
Le due sorelle maggiori presero sotto le loro “cure” le due
sorelle più piccole, così da creare due coppie affiatate:Meg-Amy;
Jo-Beth.
Sono molti gli aspetti del libro che si potrebbero prendere in
considerazione per un commento. Intanto la figura del padre, che
nel romanzo, prima in guerra, poi all’ospedale, è un personaggio
sempre presente nei pensieri delle figlie. La malattia del padre
e di Beth segna, ad un certo punto della storia familiare,
momenti drammatici.
Di certo la sorella che maggiormente evolve nella storia è Jo
perché, con l’aiuto della madre, riesce a controllare il suo
carattere esuberante ed irascibile.
Questa storia parla anche delle donne, infatti rivolge il suo
sguardo ad una società soprattutto femminile, raccontando dei
problemi di ragazze, problemi economici, o legati agli affetti
femminili, sempre da una prospettiva tutta femminile.
Questo lascia desumere che in America l’emancipazione femminile
fosse molto avanzata nell’Ottocento. Potrebbe rispecchiare i
tempi che in Italia furono gli anni 1914-1918, quando in una
società in guerra, a casa la vita lavorativa continuava col solo
sostegno di mogli e figlie.
Il romanzo parla anche dell’amicizia e della solidarietà nei
rapporti col vicinato.
Consiglio la lettura di questo romanzo, al giorno d’oggi
abbastanza disertato dal gusto imperante tra i giovani per il
genere fantastico. Credo invece che questi racconti siano una
buona partenza per capire la nostra storia, le situazioni che si
potevano vivere in quelle situazioni familiari, che non abbiamo
conosciuto. |
George
Orwell, La fattoria degli animali, prima ed.1944,
Mondadori, Milano 2001
Recensione di
Stefano Bonetti
Il
romanzo si apre con la descrizione della fattoria del signor
Jones e degli animali che, in seguito a maltrattamenti, vennero
a conoscenza del sogno di riscatto del Vecchio Maggiore, un
anziano maiale. Una notte gli animali si riunirono ed il vecchio
raccontò loro il suo sogno di essere libero ed indipendente
dall'uomo. Incitò per questo gli animali a ribellarsi al
fattore. Morto, pochi giorni dopo, il vecchio Maggiore, il suo
sogno rimase vivo grazie all’iniziativa di due maiali, Napoleon
e Palla di Neve. I due, infatti, guidarono la rivolta che fece
seguito di lì a poco al digiuno causato dagli uomini di Jones,
troppo ubriachi per ricordarsi di nutrire il bestiame della
fattoria.
Inferociti, gli animali si ribellarono al loro padrone con le
armi ed il giorno successivo venne scritta sul muro la legge
alla quale si sarebbe dovuta attenere tutta la fattoria
ribellatasi; ne venne cambiato il nome, da “fattoria padronale”
a “fattoria degli animali”, e grazie all’enorme sforzo
collaborativo, tutti resero più efficiente la lavorazione della
terra, prospera e rigogliosa la vita nella fattoria.
Quando Palla di Neve volle estendere la rivolta anche
all’esterno, allargandola a tutta l’Inghilterra, si creò il
primo conflitto interno con Napoleon, il quale, da come ci
lascia capire l’autore, voleva governare da solo.
Nel frattempo assistiamo anche al tentativo fallimentare di
Jones, alleatosi con le fattorie vicine, di entrare armato nella
fattoria degli animali per ripristinare l’ordine preesistente.
Nel frattempo continuarono i malumori alla dirigenza della
fattoria: questa volta il conflitto tra Napoleon e Palla di Neve
avvenne quando quest’ultimo convinse tutti gli animali a
costruire un mulino a vento per la produzione di energia
elettrica; poiché Napoleon riteneva che il mulino fosse inutile,
si ricorse alla votazione che diede torto a Napoleon. Costuì
reagì con un colpo di mano: richiamò i cani ammaestrati, fece
fuggire il rivale e assunse il controllo della fattoria.
Da questo momento in poi la situazione cominciò a precipitare,
al punto tale che gli animali, dopo varie vicissitudini, si
ritrovarono a vivere in condizioni peggiori rispetto a quelle
precedenti alla rivoluzione… mentre gli animali stessi, fra
l’altro, andavano assumendo veri atteggiamenti umani.
L’autore vuole farci riflettere sull’idea impossibile
(utopistica) di stato libero, dove ogni cittadino dovrebbe avere
uguali diritti; è una sogno impossibile da realizzare poiché,
come si può notare nella storia della fattoria, ci sarà sempre
qualcuno ( qui è il caso di alcuni maiali ) che vorrà
approfittare delle persone più deboli e meno istruite.
I personaggi della vicenda offrono un campionario completo
della società reale:
Gli uomini, dal punto di vista degli animali, rappresentano
gli oppressori, i nemici da cui liberarsi.
I maiali sono definiti gli animali intelligenti. Essi sin
dall’inizio prendono il comando della fattoria ma poi,
gradatamente, instaurano la dittatura e riducono gli altri
animali ad un tenore di vita peggiore di quello in cui si
trovavano prima della rivoluzione.
I cani, spietati e feroci, prestano fedele servizio ai
maiali, affogando nel sangue ogni minima ribellione.
Rappresentano i mercenari, la soldataglia senza scrupoli che si
macchia le mani di sangue.
I cavalli e l’asino svolgono i lavori pesanti che nessun
altro maiale è in grado di fare. Rappresentano il volgo
umile, vessato da chi comanda.
Le pecore, chiassose e stupide, non fanno altro che impedire
ogni dibattito con i maiali a proposito delle loro decisioni.
Ben rappresentano il popolo che non usa il proprio strumento di
giudizio, ma si lascia ciecamente guidare. |
Ernest
Hemingway Il vecchio e il mare, Ed. Mondatori,
Milano 1952
Recensione di
Vittorio
Di Donato
Il
racconto di Hemingway parla di un vecchio, il cui nome era
Santiago, che viveva in una piccola casupola vicino al mare.
L’ambientazione geografica della storia è un villaggio
dell’isola di Cuba e l’Oceano aperto; per questo spesso viene
citata la Corrente del Golfo. L’ambientazione storica non è
invece ben definita, probabilmente contemporanea all’autore. La
vicenda che viene raccontata dura una settimana.
Di Santiago si sapeva poco, solo che era stato un marinaio; ora
dedicava la sua vita alla pesca. Con i capelli ancora folti
nonostante l’età, lo si vedeva sempre tra gli scogli, o in mare.
In paese lo si vedeva, invece, di rado e giusto per il tempo
necessario a rifornirsi dei pochi alimenti necessari alla sua
sopravvivenza.
Nessuno era dunque interessato alla sua compagnia ed il vecchio
sembrava non rammaricarsene. Solo un ragazzino di dodici anni
aveva preso l’abitudine di tenergli compagnia.
Un giorno però, dopo che da tempo nessuno aveva più visto il
vecchio, la gente del luogo ne aveva chiesto notizia al
ragazzo, suo unico ”amico”, che li aveva informati del fatto che
Santiago era tornato a viaggiare per mare. Lo scopo di questo
viaggio era la cattura di un pesce, che inseguiva ormai da 84
giorni; così, anche quella mattina era partito. Giunto ben
presto al largo, un pesce di grosse dimensioni abboccò alla sua
esca, ma il vecchio non riuscì facilmente a domarlo nella dura
lotta per la sopravvivenza che si aprì tra i due, e che spinse
l’imbarcazione troppo al largo. Il vecchio ammirava nel suo
rivale il coraggio e la determinazione che investiva nella
lotta. Il tempo, i giorni, nel frattempo passavano e la
resistenza di entrambi cominciava a vacillare, quando un giorno
Santiago sferrò l’attacco definitivo al pesce, portandolo alla
morte. Il vecchio, esausto, doveva ora tornare alla baia, anche
se ormai era molto distante. Lungo il ritorno, però, fu
attaccato più volte da pescecani attratti dal sangue del pesce.
Ad ogni attacco la sua preda veniva defalcata ( morsa e
dilaniata dai pesci), ne venivano staccati dei pezzi.. Santiago
dapprima la difese con tutte le proprie forze ed il proprio
ingegno (perizia) di pescatore, poi, deluso, abbandonò la difesa
e si concentrò sul ritorno.
Il giorno seguente la baia era piena di turisti (curiosi) che
circondavano la barca, ormai distrutta, con accanto la carcassa
di un pesce enorme.
In una capanna non molto distante, invece, il povero pescatore
“dormiva ancora bocconi”, ed il ragazzo gli sedeva accanto e lo
guardava.
“Il vecchio e il mare” è una storia che, secondo me, nonostante
si basi su un’unica vicenda, coinvolge il lettore in modo
appassionante. Così, ad esempio, nella sfida crudele tra il
vecchio ed il pesce, fondata sulla lealtà e sul rispetto.
Ma chi è il suo protagonista? Ci viene descritto come un uomo
magro, con il volto segnato dalla vecchiaia, le mani rovinate
dai segni lasciati dalla lenza e dal cancro della pelle. E’ un
uomo che non si dà per vinto perché scoraggiato dalla
solitudine. Un uomo abituato da una vita dura e piena di
sacrifici. Di lui sappiamo che, nonostante la sua vita
“emarginata” dalla società, nutriva una grande ammirazione per
un idolo sportivo, una star del baseball americano, Gio di
Maggio; da cui traeva quel modello di coraggio e tenacia che
caratterizzava il proprio agire.
Gran parte del racconto è incentrato anche sull’antagonista, il
pesce. Viene descritto come enorme, cinto da strisce viola,
calmo nei movimenti, tanto che al vecchio comunicava una certa
nobiltà d’animo; nella sua mole era magnifico, possente e
maestoso agli occhi di Santiago. Ed a lui sembrava che,
nonostante la situazione, il pesce avesse instaurato un rapporto
di sfida leale e coraggiosa.
L’intenzione dell’autore è proporre una riflessione sui valori
che dovrebbero guidare le battaglie che ingaggia l’uomo nella
propria vita e, forse, proprio con la sua sfida estrema, la
morte.
Sul piano della linguaggio l’autore adotta uno stile
semplice e comprensibile. Hemingway sa immedesimare il lettore
nelle situazioni descritte, rendendo in tal modo il racconto
vivo e attraente. |
Pierdomenico Boccalario,
Alessandro Gatti, Paura a Gravenstein Castle,
Ed.Mondadori Ragazzi, Milano
2006
Recensione di Cristina Zatti
Il
romanzo narra di come tredici ragazzi di giovane età portarono a
termine una missione per adempiere ad una promessa, fatta in
segno di amicizia ad una persona il cui nome conoscerete in
seguito.
I 13 ragazzi, fondatori del Candy Circle, si trovavano un bel
giorno in viaggio d’affari, per svolgere una tournee, quando
l’agenzia di viaggi ingaggiata da Gimbo, il più pauroso e
paffutello del gruppo, con una passione sfrenata per il cibo,
sbagliò indirizzo portandoli in un castello apparentemente
abbandonato. Trovandolo chiuso e bastionato, i ragazzi
riuscirono verso sera ad irrompere nell’edificio, violando così
la quiete e la riservatezza (privacy) della persona che vi
abitava, la quale azionò, allarmata, i suoi dispositivi di
sicurezza.. Il gruppo, pur venendo a conoscenza che la casa non
era abbandonata, non volle lasciare la residenza perché fuori
dalle mura una terribile tempesta si era nel frattempo abbattuta
sul castello.
Prese forma, dunque, una battaglia. Il proprietario del castello
scagliò, senza successo, ogni sorta di congegno elettronico che
aveva costruito; infine, stanco che “i mocciosi” ficcanasassero
tra i suoi oggetti personali, intervenne personalmente per
cacciarli via.
I ragazzi, dal canto loro, vedendo nella persona del
proprietario un uomo alto e magro, di complessione esile e
carnagione biancastra, pensarono dapprima che fosse uno zombie,
ma accettarono alla fine di ascoltare la vera storia dell’uomo,
Gerald Bostock. Questi raccontò, con fare scocciato, come fosse
solo un povero uomo, tradito da un amico, che si era dovuto
rifugiare in un castello diroccato a costo di essere abbandonato
dalla moglie e dalla figlia.
I ragazzi, stupefatti ed a ammutoliti davanti a questa terribile
storia, decisero di intervenire segretamente in suo aiuto, dato
che l’uomo non l’avrebbe mai permesso.
Svolta la tournee, si misero subito sulle tracce di Joe Treuchau,
il falso amico di Gerald. Cosa ne era divenuto di costui?
Sappiate solo che fu grazie alle sofisticate invenzioni
tecnologiche di “zio Tweedy”, ed all’abile gioco di squadra del
Candy Circe, che riuscirono a fargli confessare le sue truffe e
malefatte!
L’autore con questo libro ci vuole far capire che anche se una
persona si comporta in modo “malvagio”, non significa
necessariamente che sia tale. Può accadere, infatti, che la tal
persona si trovi costretta dalle circostanze a compiere un tale
gesto, che si trovi in un momento difficile. E’ il caso di
Gerald Bostoch, che entra in scena addirittura con le sembianze
di uno “zombie”, ma che in fondo al suo cuore era una persona
dolce. Non bisogna giudicare, quindi, dalle apparenze.
La vera cattiveria invece crea solitudine: Joe non aveva amici,
a parte i suoi aiutanti che Voltaire chiamerebbe certo non
amici ma “complici”. A lui restava il denaro che, come ben
sappiamo, non fa la felicità.
Nel romanzo si può riflettere inoltre su come l’unione faccia la
forza. I Ragazzi del Candy compiono avventure, tra cui errori,
ma si aiutano a vicenda, anche senza preferirsi l’un l’altro. E
se è proprio vero che i veri muscoli sono quelli del cervello,
l’affiatamento dei ragazzi permette loro di sconfiggere Joe, un
adulto di cinque taglie più grande di loro.
Consiglio di leggere questo libro perché è dinamico, divertente
ed i fatti riportati al suo interno potrebbero accadere anche al
giorno d’oggi. Questa storia a me è piaciuta, aggiungo in
conclusione, perché non trovo paragoni con altre narrazioni; nel
suo genere non è una delle solite storie, è unica. |
Robert Stine,
Tragico Halloween, Mondadori, Milano 2003, 152 pagine
Recensione di
Alessio Antonietti
Questo libro parla di quattro
ragazzi che hanno un insegnante con un figlio nella stessa
scuola.
L’insegnante, che si chiama Moon, il giorno 31 ottobre ha
invitato a casa sua i quattro ragazzi .
I giovani ignorano l’invito, ma i rispettivi genitori li
obbligano ad andare ; durante il viaggio immaginano delle scuse
per allontanarsi dalla casa del loro ospite anticipatamente e
durante il tragitto vedono alcuni animali morti ma non ci fanno
caso .
Una volta giunti alla casa , entrano e trovano ad attenderli il
sig. Moon , la moglie Angela ed il figlio . Il sig. Moon per
questa festa ha deciso di assumere l’identità di un cacciatore
di lupi mannari che deve scoprire quale dei quattro ragazzi
fosse un lupo mannaro .
Per scoprirlo fa eseguire dei test e fa bere ai ragazzi un
veleno contro i lupi mannari che in realtà è composto da salsa
di pomodoro, budino al cioccolato ed uva passa: però due dei
ragazzi, Tristan e Rosa si sentono male, e così tutti gli altri
pensano che loro siano dei veri lupi mannari .
Il signor Moon spiega però che il veleno non è un vero veleno, e
così tutti si rilassano ma, arrivata mezzanotte, Tristan e Rosa
si trasformano veramente in due lupi mannari e aggrediscono il
resto della comitiva che fa appena in tempo a telefonare al
pronto intervento .
La mattina successiva la Polizia trova la casa vuota perché i
lupi mannari hanno sbranato tutto il gruppo .
A mio parere questo libro è bello perchè i fenomeni
soprannaturali sono un argomento che gradisco molto e perché
prende spunto da fatti che alcune persone studiano ritenendoli
veri .
DESCRIZIONE DEL SIGNOR MOON
è un signore magro, alto con i capelli castani e gli occhi
rotondi e dello stesso colore dei capelli, egli inoltre è un
topo di biblioteca . |
Robert
Louis Stevenson, L'isola del tesoro, Mondadori,
Milano 2002, 247 pagine
Recensione di
Chiara Cristinelli
Il
libro “L’isola del tesoro” è stata scritta nella seconda metà
dell’1800 dallo scrittore Robert Louis Stevenson e parla della
ricerca del tesoro del famigerato capitano Flint.L’avventura ha
inizio con l’arrivo in una locanda di un bucaniere alla ricerca
di un posto dove nascondersi da dei pirati.Alla sua morte il
ragazzo Jim Hawkins e sua madre salgono nella sua camera per
prendere la parte di soldi che li dovevano. Il ragazzo prese
degli oggetti personali tra cui un pezzo di carta. Sapendo che
l’uomo era un bucaniere, Jim, con altri uomini, andò dal dottor
Livesey e dal cavaliere Trelawney per mostrargli la busta
dell’uomo; aperta la busta si scoprì che il contenuto era una
mappa del tesoro.Il cavaliere decise di finanziare il viaggio
per trovare l’isola e di conseguenza il tesoro.
Dopo mesi di navigazione e di turni strazianti, Jim si
addormenta nel barile di mele sul ponte; svegliatosi sente delle
voci che parlano di un ammutinamento. Sono le voci del cuoco
Long John Silver e di altri. Jim appena possibile va dal
capitano Smollet, dal dottor Liversey, dal cavaliere Trelawney
per informarli della futura ribellione. Questi avvistata l’isola
si stabiliscono nel fortino con munizioni, armi e alimenti vari;
dopo alcuni giorni gli ammutinati assaltano il fortino. Il
conflitto dura parecchie ore ma, per i pirati, ha un cattivo
esito;infatti molti di loro sono stati uccisi. Dopo altri giorni
d’attesa Jim, stufo di star li va a liberare la nave dalle
grinfia dei ribelli. Per riuscire in questa impresa il ragazzo
dovrà uccidere infatti ammazzerà il bucaniere Isdrael Hands che
era a guardia del vascello. Messa al sicuro ritorna al fortino
dove, sfortunatamente trova non i suoi amici ma i pirati con i
loro viveri e i loro moschetti. Il “capitano” Silver li spiega
che i suoi amici li hanno lasciato pure la mappa.
Dopo alcune giornate i delinquenti vanno alla ricerca del
tesoro. Arrivati al punto fatidico dove si dovrebbe trovare
l’oro, trovano una buca scavata da un pover uomo di nome Ben
Gunn dovuto restare su quell’isola per ben due anni. Lui prese
tempo indietro il tesoro e lo nascose nella sua tana .Ritornando
ai pirati si ritrovarono un’imboscata dai buoni; infatti Long
John Silver era d’accordo con loro. Sistemati i pirati
sull’isola e il denaro sulla nave intrapresero il loro
ricchissimo viaggio di ritorno.
I PERSONAGGI
Jim Hawkins è il personaggio che è evoluto di più perché solo
all’inizio aveva paura di parlare con il bucaniere che era
“ospitato” nella locanda del padre ma con il viaggio è riuscito
perfino ad uccidere. In questo progresso il ragazzo è riuscito a
sconfiggere le sue paure.
Long John Silver è un personaggio un po’ ambiguo: davanti ai
suoi uomini è fermo invece parlando con il dottore della forca
si vede in volto la sua paura. Poi si scopre che ha un punto
debole: Jim; è sempre stato amorevole con il ragazzo ed è anche
disposto a farsi uccidere dai suoi uomini per proteggerlo.
IL CONFRONTO
Il confronto che voglio proporre è quello con il film “il
pianeta del tesoro” della Walt Disney dell’2002.
Vedendo il film la prima cosa diversa dal libro è che Jim non ha
perso il padre per una malattia ma per il suo spirito di
libertà; infatti, il padre di Jim è scappato quando il ragazzo
aveva all’incirca 10 anni.
La seconda differenza è che Ben Gunn è un robot senza memoria
perciò non sa dove si trovi il tesoro.
Infine nessuno riceve il tesoro di Flint perché ha un sistema
d’autodistruzione.
La cosa bizzarra è che il libro è nel passato rispetto
all’autore, infatti, è ambientato nel 1700; invece il film è
ambientato nel futuro rispetto ha noi. |
Federico Moccia,
Ho voglia di te, Feltrinelli, Milano 2006, 415 pagine
Recensione di
Valentina Bracchi
Federico Moccia è nato a Roma nel 1963, è autore per la TV e
sceneggiatore per il cinema. Con il libro Tre metri sopra il
cielo ha vinto il premio Insula Romana, della sezione
giovani-adulti 2004.
Questo romanzo ha raccolto molta fama, ed è stato venduto in
tutti i paesi europei. Lo si poteva trovare anche sulla
bancarella dei libri esposti negli angusti Uffici postali
d’Italia, quest’estate!
Nel libro si parla di un ragazzo fantastico di nome Step. Step,
dopo soli due anni di permanenza a New York, torna a Roma dal
fratello perché vuole avvicinarsi alla madre. Molte cose per lui
sono cambiate, e lui fa fatica a trovare i vecchi riferimenti,
ma Step viene aiutato dal padre e riesce ad entrare nel mondo
dello spettacolo. Incontra anche amici di gioventù “Budokani”:
Lucone, Schello, Bardato, Balestri e tutti gli altri. Essi
riportano i segni che il dolore lascia dentro, prima ancora che
sulla pelle. Sono dei ragazzi ribelli, ma consapevoli e
soprattutto non sono per niente cambiati…
Lo trovo un bel libro, piacevole alla lettura e lo sconsiglio ai
giovani lettori. |
Joanne Kathleen Rowling,
Harry Potter e la Pietra Filosofale,
Salani, Milano 1998, 296 pagine
Recensione di Alessia Di
Gesù
I
libri di Harry Potter sono piacevoli da leggere perché sono
scorrevoli ed è un racconto molto vario perché è: narrativo,
avventuroso, si trovano delle battute di spirito, e c’è una
forte amicizia che lega i tre ragazzi sino al punto di aiutarsi
a vicenda anche di fronte a grandi difficoltà e persino di
fronte al pericolo della morte; grazie alla loro amicizia
riescono a superare i diversi ostacoli della vita e a salvare se
stessi e tutto il mondo della magia. Nel leggere questi libri ci
si sente quasi presenti li con loro e ci si sconnette dal mondo
reale. Però leggendoli attentamente, si apre una finestra sulla
nostra realtà, e ci si rende conto che la nostra vita è il
frutto delle nostre scelte. Anche le amicizie sono delle scelte,
è meglio essere amico di persone che hanno bisogno di aiuto o di
sostegni economici perché quelle persone ti saranno sempre
accanto anche nei momenti più difficili, mentre quelle persone
che hanno molti soldi, quando stai bene o nei momenti di svago
si divertono insieme a te, quando invece stai attraversando un
brutto e difficile momento e gli chiedi aiuto per riuscire ad
uscirne, quelle persone ti abbandonano.
LA STORIA
Harry Potter era figlio di due maghi. Una notte un potente mago
(di magia nera), di nome Voldemort, irruppe nella casa dei
genitori di Harry, con l’intenzione di sterminare la famiglia.Le
vittime dell’assassino furono i due genitori che tentarono di
salvare il proprio figlio, ma quando Voldemort cercò di uccidere
Harry, non ci riuscì a causa dei poteri che i suoi genitori gli
avevano trasmesso. Voldemort gli lasciò una profonda cicatrice a
forma di saetta e da quel giorno perse parte dei suoi poteri.
Harry rimasto solo, venne affidato ai Dursley, una famiglia di
Babbani (persone senza poteri magici), gli unici parenti rimasti
in vita dei Potter. Harry non si accorse che era un mago, anche
se alcuni fatti erano accaduti grazie alla sua stregoneria.
Harry passò una parte della sua vita con i Dursley essendo allo
scuro che i suoi genitori erano dei maghi ed erano stati
assassinati, ma credendo che fossero morti in un incidente
d’auto, finché Agrid (custode delle chiavi e dei luoghi a
Hoguorts) non venne a prenderlo per portarlo nel mondo della
magia. Prima dell’arrivo di Agrid, a Harry erano state inviate
delle lettere per avvisarlo che era stato ammesso alla scuola di
magia e stregoneria di Hoguorts, ma i Dursley non permisero a
Harry di leggerle, piuttosto le bruciarono, perché non volevano
che diventasse un mago e anche per questo gli mentirono sul come
erano morti i suoi genitori. Quando Agrid s’infiltrò nella casa
dei Dursley era il giorno dell’undicesimo compleanno di Harry,
Agrid mostrò la lettera dell’ammissione a Harry, il quale
confessò di non essere un mago, allora Agrid scoprì che i
genitori adottivi avevano mentito al ragazzo sulla sua vera
identità, sulla vita e sulla morte dei Potter. Harry, avendo
scoperto la verità, decise di iscriversi a Hoguorts per
allontanarsi dai Dursley, che lo trattavano come un cane e per
conoscere la vita dei suoi genitori, come per imparare l’arte
della magia. Allontanatosi con il nuovo amico dall’abitazione
dei Dursley, i due ragazzi si diressero a Diagonalley per
procurarsi il materiale occorrente e per prelevare qualche
spicciolo dalla Gringot (la banca dei maghi), dove Agrid prese
possesso della pietra filosofale per portarla ad Hoguorts per
ordine di Silente, il preside della scuola. Nel tragitto
passarono nel Paiolo Magico (un bar di soli maghi), dove Harry
scoprì che era un mago famoso, anche se non sapeva perché lo
fosse; conobbe per la prima volta il suo primo professore quello
di “Difese contro le arti oscure”, il professor Raptor, che
all’apparenza sembrava un simpatico, bravo e balbuziente
professore, ma che poi si farà conoscere per le sue idee
malvagie. Harry, per comprare la bacchetta magica, si recò da
Olivander, il miglior negozio che vendeva bacchette magiche. Il
proprietario del negozio si ricordava perfettamente dei genitori
di Harry. Il negoziante fece provare a Harry vari tipi di
bacchette ma nessuna di esse si adattava a lui, quando al
proprietario venne in mente che la bacchetta adatta a Harry
sarebbe stata la gemella di quella che aveva venduto a Voldemort
cioè quella che aveva inferto la cicatrice sul ragazzo. Difatti
quando la provò era perfetta per Harry e gli spiegò che la
gemella era stata venduta ad un mago che aveva fatto cose molto
brutte, ma grandi e che tutti i maghi non osano pronunciare il
suo nome, e che tutti si aspettano grandi cose da Harry. Dopo
che era uscito dal negozio chiese ad Agrid chi fosse questo mago
di cui si aveva paura a pronunciare il nome. Agrid, un po’
intimorito, riuscì a spiegare ad Harry che era colui che aveva
ucciso i suoi genitori ed era grazie a questo mago che lui era
famoso, perché era l’unico mago che era sopravvissuto al
passaggio del Signore Oscuro. Visto che Agrid avrebbe raggiunto
Hoguorts senza Harry il giorno dopo Agrid diede al ragazzo il
biglietto di un treno che l’avrebbe condotto ad Hoguorts, ma sul
biglietto era indicato il binario nove e tre quarti che nella
vita dei Babbani non esiste ed Harry non sapeva quale fosse.
Nell’attraversare la stazione sentì delle persone che parlavano
di Babbani e allora si aggregò a loro. Qui conobbe il suo futuro
compagno d’avventure “Ronald Weasley”. Harry chiese aiuto alla
famiglia di Ron per raggiungere il binario. Una volta sul treno
Harry e Ron conobbero Hermione Granger, una ragazzina anche lei
del primo anno ma a differenza di loro molto più preparata.
Durante il viaggio bussò alla porta della cabina, dove si erano
accomodati Harry e Ron, un ragazzo antipatico e presuntuoso il
cui vero nome era Draco Malfoy, che cercava di fare amicizia col
famoso Harry Potter, ma che Harry tenne adebita distanza. Quando
arrivarono al castello vennero smistati nelle varie case, che
erano:Grifondoro, Serpeverde, Tassorosso e Corvonero... e qui
siamo giunti nella scuola, il teatro delle avventure, sfide e
misteri che consoliderà il rapporto di amicizia tra i nuovi
compagni. Ma sarà al lettore seguire l’intreccio della storia!
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Frances E.Burnett,
Il giardino segreto, Deagostini, Milano, 2004, 320 pagine
Recensione di Carlotta Toscano
classe 3c,
Scuola
Media Statale "U. Foscolo"- Bagnara Cal. (RC)
CONTENUTO
Mary Lennox, figlia di un ufficiale inglese residente in India,
perde i genitori a nove anni, a causa di un’epidemia di colera.
Un lontano parente, Lord Craven, la conduce allora a vivere
nella sua ricca ma tetra dimora, isolata nella brughiera dello
Yorkshire. Mary arriva cosi nel suo paese natale, l'Inghilterra,
e la prima impressione che ne riceve non è certamente
favorevole: il paesaggio è monotono e tetro, cosi come sembra
essere la casa in cui è ospitata. La ragazza, però, si sbaglia
di grosso e non tarderà ad accorgersene: incomincerà a farsi
molte domande e a cercare le risposte su alcuni misteri che
circondano la strana e misteriosa casa in cui vive. Tutto ciò
contribuisce a movimentare la vita di Mary che, da piccola
viziata e prepotente, si trasforma pian piano in una bambina
piena di salute, entusiasmo e gioia di vivere.
STILE
lessico semplice, periodi facili, ritmo lento, molte descrizioni
GENERE
romanzo d’avventura
INTEZIONE
COMUNICATIVA
L’autore cerca di invitare alla lettura con la proposta di
romanzi avventurosi e fiabeschi
E NE CONSIGLIA O SE NE
SCONSIGLIA LA LETTURA PERCHE’…
Ne
consiglio la lettura perché è un libro affascinante ed
interessante |
Giovanna Righini Ricci, Ombre sul Nilo, Bruno Mondadori, Milano, 1990, 215
pagine
Recensione di Maria Letizia
Caminiti
classe 3c,
Scuola
Media Statale "U. Foscolo"- Bagnara Cal. (RC)
CONTENUTO
Il racconto si apre con una rilassante cavalcata attraverso il
deserto egiziano,all’ombra delle piramidi della valle dei Re.
Protagonisti della storia sono: Kalil e due sorelle americane,
Mari Beth e Mari Ann. Le ragazze si trovano in vacanza in
Egitto, con i genitori. Durante una festa in maschera a bordo
della Nefertiti Queen, lussuosa nave da crociera che discende la
corrente del Nilo, Mari Beth nota la presenza di due arabi
misteriosi che la fissano. Dopo qualche giorno, durante una gita
sui cammelli, scompare ogni traccia della ragazza. Non si trova
neanche il giovane Kalil,amico di Mari Beth, e si pensa sia un
complice dei presunti rapitori. I genitori di Mari Beth ricevono
dopo qualche giorno alcuni messaggi da parte dei rapitori, che
sono terroristi islamici, e ciò accresce il loro panico. Kalil,
intanto, è andato all’ inseguimento dei rapitori. Riesce a
trovare Mari Beth e la libera. Ma ce la faranno i due ragazzi
ad arrivare sani e salvi al Cairo, senza farsi prendere dai
rapitori che ormai li inseguono?
STILE
Lessico semplice, periodi facili, ritmo veloce, ricco di
descrizioni.
GENERE
romanzo d’avventura e attualità.
INTEZIONE
COMUNICATIVA
L’autore si prefigge di interessare il lettore e di farlo
riflettere.
SE NE CONSIGLIA O SE NE
SCONSIGLIA LA LETTURA PERCHE’…
Se ne consiglia la lettura perché è un libro avvincente, le cui
vicende possono trovare riscontro anche in alcune situazioni
attuali.
NB: per
gentile concessione dell'autrice il libro è scaricabile
all'indirizzo
http://www.giovannarighiniricci.it/sito/download.htm |
Richard
Bach, Il gabbiano Jonathan Livingston,
Rizzoli, Milano 1994
Recensione
di Simone Iovenitti
2L dell'istituto Sabin di
Redecesio (Mi)
PROTAGONISTA: JOHNATAN LIVINGSTON
ALTRI PERSONAGGI: SULLIVAN,CHAD,FLETCHER
EPOCA: XX SEC
Il libro, di R. Bach, narra la storia di un gabbiano diverso per
ideali, opinioni e intenzioni: il gabbiano Johnatan Livingston.
Abbiamo letto questo libro per partecipare ad un progetto della
provincia di Milano, ideato per riflettere sul significato del
libro, per apprendere nozioni scientifiche sugli ecosistemi e per
approfondire aspetti del comportamento e del fisico di alcuni
animali in un modo più piacevole e diverso dallo stare sempre tra
le mura di scuola.
Johnatan è convinto che volare sia un'arte che può servire a
dare un senso alla vita, a facilitarla e ad aiutare l'individuo a
raggiungere la perfezione interiore.
Johnatan per perfezionare la sua tecnica si esercita ogni giorno
con costanza e tenacia, e per questo viene esiliato dal suo stormo
di nome Buonappetito.
Continuando ad esercitarsi, in casta solitudine, raggiunge una
bravura e una serenità interiore tale che due gabbiani
provenienti da un altro mondo, cioè da un posto dove il volo è
tutto e l'abilità in esso è superiore, gli si affiancano e in
formazione lo conducono nel loro mondo.
Qui Sullivan gli insegna nuove tecniche e stili di volo e lo aiuta
a migliorare e perfezionare le sue conoscenze. Johnatan chiede
informazioni all'anziano capo, Chad, sul paradiso che è sempre
stato il suo più grande interrogativo. Esso risponde che il
paradiso non è un luogo, ma è la perfezione e gli dà una prova
della sua bravura. Johnatan interessato chiede di poter imparare e
Chad diventa il suo nuovo maestro. Johnatan, diventato esperto,
sceglie di tornare al suo stormo al posto di passare al mondo
successivo.
Qui trova altri gabbiani, esiliati per le stesse ragioni per le
quali lui era stato esiliato, e diventa il loro maestro. Quando li
lascia, Fletcher diventa il nuovo maestro del gruppo; e mentre
Johnatan raggiunge Chad, Fletcher capisce che solo ora ha
cominciato ad imparare.
E' un libro molto piacevole, profondo e significativo: è piaciuto
molto a tutti perchè dalle sue pagine si possono imparare cose
nuove, vere e utili per oltrepassare gli ostacoli che potremmo
trovarci davanti. |
Myron
Levoy, Alan e Naomi,
Mondadori, Milano, 1998Recensione
di Vincenzo
Alan
Silverman vive in un quartiere popolare di New York, dove, per
avere degli amici, è spesso costretto a fingersi più duro di
quanto non sia. Poi nel suo palazzo viene ad abitare Naomi,
ebrea come lui, che viene dalla Francia ed è sfuggita per
miracolo agli agenti della Gestapo: un’intrusa inquietante, che
rifiuta di comunicare col mondo e sembra persa in un incubo
senza fine.
Sarà Alan a rompere a poco a poco il drammatico isolamento, a
farle ritrovare la capacità di entrare in contatto con gli altri
e di raccontare le terribili esperienze vissute; ma la sua
amicizia con Naomi deve restare un segreto, o gli altri ragazzi
lo metteranno al bando.
Myron Levoy
È nato e vive a New York. Otre a romanzi per adulti, tutti di
buon successo, scrive per gli adolescenti ed è considerato uno
dei migliori autori americani per “giovani adulti”
Recensione
di
Giada Bruno
2L dell'istituto Sabin di
Redecesio (Mi)
Alan e Naomi è un libro ambientato
durante la seconda guerra mondiale a New York.
Naomi è una ragazza ebrea fuggita dalla Francia con la madre, che
ha dei problemi poiché ha visto suo padre ucciso dai nazisti
proprio davanti a lei.
Alan è un ragazzo ebreo-americano che spinto dai genitori e dal
buonsenso cerca di aiutarla, nonostante l'umiliazione che avrebbe
potuto subire se i suoi compagni l'avessero scoperto "con una
femmina".
Lui non si scoraggia e riesce a diventare amico della coinquilina
del pianerottolo di sopra ma, un bruttissimo giorno scoppia un
litigio tra lui e un compagno che aveva preso in giro Naomi; di
fronte al sanguinoso episodio la ragazza ricade nel ricordo del
passato: da quel momento in poi Naomi non è più la stessa
persona e non lo sarà mai più.
Il libro non ha un lieto fine, come si può intuire, ma secondo me
ha un importante significato, perché spiega come l'uomo può
uccidere la mente dei suoi fratelli e come possa essere spietato e
crudele con i suoi simili.
Alan e Naomi è un libro piacevole, soprattutto nelle righe
dove il lettore scopre come da un semplice gioco può sbocciare
un'amicizia e dove capisce che niente è impossibile.
Alan infatti è cresciuto grazie all'esperienza con Naomi e anche
se l'amica pur essendo viva "non c'è più" egli non la
dimenticherà come io non dimenticherò il libro letto in classe
perchè mi è piaciuto veramente.
Recensione
di
Carlotta Montanari
2L dell'istituto Sabin di Redecesio (Mi)
Il libro è ambientato durante la
seconda guerra mondiale.
Il protagonista è un ragazzino di nome Alan che vive in un
quartiere alla periferia di New York.
Nell'appartamento sopra di lui arrivano dei nuovi inquilini, Naomi
e sua madre, fuggite dalla Francia perchè ebree.
La ragazzina ha dei problemi:perchè ha visto i soldati tedeschi
uccidere il padre.
Quindi Alan, obbligato dai genitori, dedica un'ora al giorno a
Naomi ma deve assolutamente inventare una scusa da dire al suo
migliore amico per evitare di essere deriso da lui.
La prima volta che va da Naomi, lei continua incessantemente a
strappare fogli di carta ma, quando passata un'ora Alan la saluta
facendo parlare il suo pupazzo con sorpresa anche Naomi lo
ricambia con la sua bambola.
Così tutti i giorni Alan trascorre un'ora del suo tempo con la
ragazza, dopo la scuola e diventa sempre più difficile nascondere
il segreto all'amico Shaun. Quando Shaun lo scopre, si offende per
la fiducia che Alan non ha saputo riporre in lui, negandogli la
verità riguardo Naomi.
Con lei intanto, Alan ha instaurato un bellissimo rapporto di
amicizia.Un giorno però,durante il tragitto per andare a scuola,
i due ragazzi vengono derisi da Jhonny Condello che li chiama
" giudei ".
Scoppia la lotta, Alan prende a botte Jhonny e viceversa.
Naomi, esterefatta, vede il sangue; scappa e solo dopo qualche
giorno la ritrovano. Non è più lei, è come se avesse rivissuto
quell'orribile momento quando era piccina.
Ora la tengono in manicomio e non tornerà più da Alan.
Lo scrittore racconta in questa storia di un adolescente non
abbastanza forte e duro per essere considerato dagli altri ragazzi
un maschio; scopre attraverso un'amicizia difficile e drammatica i
veri valori importanti ed essenziali della vita per poi diventare
un vero adulto.o.
Il libro è stato molto educativo perchè esprime, oltre al
significato dell'amicizia, situazioni che oggi si presentano
ancora ma in forma diversa.
Recensione
di
Simona Belà
2L dell'istituto Sabin di Redecesio (Mi)
L'azione si svolge a New York, più
precisamente nel Bronx, durante la seconda guerra mondiale.
I protagonisti sono due ragazzi, entrambi ebrei, Alan(americano) e
Naomi(emigrata dalla Francia).
La ragazza era rimasta traumatizzata dopo aver visto il padre
ucciso dai nazisti proprio sotto i suoi occhi, perciò aveva
bisogno di aiuto. Alan, per decisione dei genitori, ma contro la
sua volontà, cerca di aiutarla. Con molta difficoltà i due
diventarono amici e ora Naomi era una ragazza come tutte. Ma poi
assistette ad una rissa: il sangue. Ne rimase sconvolta e tutto ciò
che Alan era riuscito a fare si cancellò.
La rinchiusero in manicomio.
Il narratore, Alan, è interno e narra in prima persona.
Il libro è molto bello, in un primo momento emozionante e
assolutamente imprevedibile. E' in parte storico perchè racconta
le atrocità commesse dai nazisti e la vita di molte persone
rovinate per causa loro.
Non ha un lieto fine, per questo è imprevedibile: la speranza del
lettore è che la vicenda finisca per il meglio, ma non essendo
una fiaba ma la realtà, questa speranza non può essere esaudita.
L'autore, Myron Levoy, è molto bravo perchè riesce perfettamente
a far immedesimare, entusiasmare e infine quasi piangere il
lettore.
Consiglio di leggere questo libro in quanto coinvolgente ed
istruttivo perchè ci insegna che nella vita non sempre vi è un
lieto fine. |
Francis
Devil, Dal buio,
Prospettiva editrice (Roma), 100 pagine
Recensione
di Jack Millerton
QUESTE LE PAROLE, CREDO
DELL'AUTORE, IN QUARTA DI COPERTINA:A:
Orrori come abitualmente siamo abituati a raffigurarli, ed orrori
ben più sottili ed imprevedibili, figli dell'abitudine, delle
piccole bugie, dei pensieri crudeli ed inconfessabili che prendono
vita Dal Buio.
Orrori sfogati sulla carta, forse per mantenere la giusta facciata
di normalità. Scrivere come se ti buttassero i rifiuti, come se
estirpassero un male, dimenticandosi per un istante che le radici
restano e, Dal Buio, continuano ad infestare la luce, la normalità...
ma il confine è labile e non sai mai dove puntare la canna della
tua doppietta quando Dal Buio giunge l'indefinibile.
IL MIO COMMENTO
Trovato in una stazione ferroviaria, appena abbandonato da un
tizio sulla trentina, giaccone blu e sguardo altrove.
Letto in treno, tutto. Un libro di racconti brevi.
Su rotaie, da Milano a Bologna, interrotto soltanto dalla ragazza
che mi ha timbrato il biglietto. Racconti letti con attenzione,
alcuni all'apparenza banali, ma sempre permeati da uno strano
senso di minaccia: situazioni normali che prendono pieghe assurde,
grottesche, orrorifiche.
Francis Devil è un nome che ne sa di pseudonimo, pure banale.
Orrori insoliti quelli di Francis, letti in fretta, su quel treno.
Forse voi li leggerete con maggiore attenzione, io più che altro
ero impegnato a pensare alla ragazza che mi ha timbrato il
biglietto.
Riuscirà a conoscerla prima di arrivare a Bologna! Così come
riuscirò a saperne qualcosa di più su questo Francis Devil? |
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