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Rivoluzione industriale

Un approfondimento opzionale

Un circolo virtuoso: agricoltura, industria, agricoltura.

(Enciclopedia, Einaudi, cit.)

Poco importa se sia frutto del puro caso o risultato di un determinismo assoluto delle circostanze; ciò che è fondamentale per la storia umana è che verso il 1700 l'Inghilterra inizia la sua rivoluzione agricola. In effetti, dalla fine del XVII secolo, o in ogni caso, fin dai primi anni del XVIII secolo, un profondo processo di trasformazione inizia a sconvolgere l'agricoltura inglese. In un primo momento, si tratta soprattutto dell'adozione di metodi di coltura già utilizzati nei Paesi Bassi. Ma, fatto capitale, nell'applicare questi metodi utilizzati su terre molto densamente popolate e in un'economia in situazione eccezionale rispetto a terre che lo sono di meno, si è ottenuto non solo un incremento dei rendimenti, ma anche della produttività. Ben presto (dai primi decenni del XVIII secolo) innovazioni locali presero il posto delle imitazioni e consentirono dei progressi ancora piú considerevoli.

Fin dal 1730-40, l'Inghilterra divenne (secondo i termini dell'epoca) il granaio dell'Europa, giacché era capace di esportare regolarmente il 10-I2 per cento della sua produzione. E se, in seguito, l'agricoltura inglese non esporterà piú, l'Inghilterra non diventerà realmente importatrice che dopo il 1846, dopo l'abolizione delle corn laws che, al fine di proteggere gli interessi dei landlords, limitavano assai drasticamente le importazioni dei cereali. Dunque, fino al 1840, l'agricoltura sarà in grado di nutrire la popolazione inglese malgrado il suo forte incremento e impiegando una limitata frazione delle braccia che erano necessarie nel secolo precedente. Cosí, tra il 1740 e il 1840, la popolazione dell'Inghilterra (Inghilterra e regione del Galles, com'è in genere sottointeso quando si usa questo termine) è passata all'incirca dai 6,0 ai 15,7 milioni. Gli agricoltori, che verso il 1740 dovevano rappresentare circa il 65-75 per cento del totale dei lavoratori, non rappresentavano piú del 22 per cento verso il 1840; cioè una proporzione che non sarà raggiunta che nel XX secolo negli altri paesi sviluppati. Il che significa, anche presupponendo un aumento molto limitato del consumo dei prodotti agricoli per abitante, che la produttività agricola si è moltiplicata per piú di tre volte durante questo periodo.


Un cosí profondo mutamento di un settore della vita economica - che, prima della rivoluzione agricola, occupava i tre quarti degli attivi - non poteva non generare cambiamenti importanti negli altri settori, e ben presto, ossia fin dagli anni 1730-60. E' particolarmente a causa della domanda, che si manifestava per vie indirette, del settore agricolo e del mondo rurale in generale che questi mutamenti sono stati sollecitati nell'industria e nei trasporti.

Certamente, in teoria, si può pensare che una crescita delle risorse non possa avere come risultato che una variazione parallela del livello del consumo alimentare; poco importa allora che si tratti di un aumento del numero delle calorie assorbite o di un miglioramento del tipo di nutrizione consumata a causa del passaggio da una alimentazione a base di calorie a buon mercato - o dirette (cereali, leguminose, ecc.) - a un'alimentazione basata su calorie care - o elaborate (carne, latticini, ecc.). Oppure ancora, come ciò sia avvenuto, dal passaggio da una alimentazione basata su un cereale secondario (segale, orzo, ecc.) a quella basata sul grano, passaggio combinato con quello dal pane nero al pane di farina parzialmente abburattata. Tuttavia si deve notare che un aumento puro e semplice del consumo di calorie giunge abbastanza presto al livello massimo costituito dal limite fisiologico: un consumo quotidiano medio dell'ordine di 3500 calorie per abitante può essere fissato come limite superiore. Nell'ipotesi di un passaggio progressivo verso il consumo di calorie elaborate, il limite massimo si troverebbe evidentemente molto innalzato (all'incirca 9000 calorie), ma cozzerebbe immediatamente contro rigidità di ordine psicologico, poiché la scala dei valori dei prodotti fa apparire come uno sperpero un consumo troppo forte di questi alimenti. A causa di ciò, sebbene un passaggio verso un consumo di calorie elaborate abbia dovuto certamente prodursi, per quanto parzialmente, in quest'epoca, esso è incappato probabilmente presto in una strozzatura, non fisiologica questa volta ma psicologica. In breve, come aveva già dedotto Ernst Engel, uno dei precursori dell'econometria, l'elasticità del consumo alimentare in rapporto al reddito è assai debole.

Dunque, praticamente, un continuo accrescimento della produttività agricola porta assai presto a una disponibilità supplementare di risorse.La scelta della natura dei beni verso i quali si dirigeranno 
queste disponibilità risulta dalla congiunzione di molteplici fattori tanto economici quanto sociali e politici. In Europa, dove le condizioni climatiche assegnano al vestiario un ruolo assai importante, è evidente che in mancanza di pressioni contrarie fu verso questi prodotti che si orientò una parte importante delle disponibilità supplementari. L'offerta dei tessili tradizionali era soggetta a una certa rigidità dovuta alla loro propria natura (è difficile poter aumentare velocemente la produzione di lana,
dal momento che comporta un aumento delle scorte); è naturale, quindi, che l'importazione del cotone, prima sotto forma di tessuto poi sotto quella di materia prima da trasformare sul posto, sia stata fortemente stimolata da questa domanda.

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