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Rivoluzione industriale

P. Bairoch, Rivoluzione industriale e sottosviluppo, Einaudi, 1967, pp. 8-12, in Manzoni-Occhipinti, I territori della storia, Einaudi, 1998, pp. 324-326

L' interdipendenza attuale di tecnica e scienza non è che la risultante di un'evoluzione, i cui esordi reali risalgono alla fine del secolo XVIII, epoca in cui i rapporti fra la scienza e la tecnica, e soprattutto la tecnica industriale, erano ben scarsi, per non dire inesistenti. La natura stessa dell'invenzione tecnica, che corrisponde a un tipo speciale d'invenzione in cui l'empirismo occupa un posto importante, permette d'altra parte di far luce sulle ragioni di tale indipendenza. All'opposto della scienza, che è ricerca delle leggi dei fenomeni, spiegazione delle causalità, la tecnica, almeno ai primi stadi, cerca di costituire, di articolare un meccanismo in grado di risolvere un'operazione di cui scopi e finalità sono ben definiti. Schematizzando al massimo, si potrebbe dire che la scienza è la ricerca del perché, mentre la tecnica è la ricerca del come.

Ora, se ai nostri giorni la ricerca e l'invenzione tecnica, per quanto conservino nei confronti della scienza caratteristiche specifiche, richiedono nella maggior parte dei settori conoscenze scientifiche abbastanza profonde, le cose andavano del tutto diversamente nel periodo che qui ci interessa, soprattutto per la semplicità dei problemi da risolvere: la costruzione dei primi filatoi non implicava infatti alcuna conoscenza della dinamica, era anzi relativamente indipendente dalle "limitazioni strumentali", dall'insufficienza, cioè, dei materiali o degli strumenti necessari per concretizzare l'invenzione; nella fattispecie, infatti, il materiale adoperato era, all'inizio, il legno (con cui furono in generale fabbricate le prime macchine).

Osserva per altro Bertrand Russell: « La maggior parte delle macchine, nel senso stretto della parola, non comportano nulla che meriti di esser chiamato scienza. Inizialmente le macchine furono semplici strumenti per far eseguire a oggetti inanimati movimenti regolari, che erano stati precedentemente eseguiti dal corpo e, piú particolarmente, dalle dita dell'uomo. Ciò è vero soprattutto per la tessitura e per la filatura. La scienza vera e propria non ha svolto una grande funzione nell'invenzione delle ferrovie e nella navigazione a vapore ai suoi inizi. In entrambi i casi gli uomini si sono serviti di forze che non avevano alcunché di misterioso, e, se gli effetti li hanno riempiti di stupore, questi non avevano in sé nulla di straordinario».

Se passiamo all'esame delle condizioni stesse delle invenzioni, la linea divisoria tra invenzione tecnica e scienza riceve un'ulteriore giustificazione. Conviene sottolineare subito la differenza che sussiste tra invenzione e scoperta: quest'ultima, diversamente dall'invenzione, può spesso essere fortuita e accidentale. D'altra parte « dal punto di vista oggettivo del prodotto dell'attività dell'intelligenza, la scoperta si distingue dall'invenzione per il fatto di riferirsi a un fenomeno naturale, non provocato dal ricercatore, mentre l'invenzione è, al contrario, qualcosa che non esisteva prima che l'inventore l'avesse prodotta». Si è giustamente descritta l'invenzione nella sua generalità come la «presa di coscienza di un problema unita alla decisione di risolverlo». Questa presa di coscienza scaturisce generalmente «qualora si incontrino difficoltà o impedimenti nel processo operativo».

Alla presa di coscienza subentra una tensione intellettuale che si caratterizza principalmente per la perseveranza nella ricerca. Presa di coscienza e tensione implicano che l'inventore, nel caso dei progressi tecnici che qui ci interessano, sia in diretto contatto con un determinato settore d'attività, il che era ben lungi dall'essere il caso degli scienziati e della frazione della popolazione in possesso di conoscenze scientifiche approfondite. Le invenzioni tecniche degli scienziati hanno quasi sempre mirato alla scoperta di strumenti utili al proseguimento della ricerca scientifica (il telescopio di Galilei ne è l'esempio piú rappresentativo). I biografi degli inventori rivelano che, generalmente, questi ultimi intrattenevano rapporti costanti e diretti con il settore in cui realizzarono l'invenzione. Dudley e Darby, i due nomi cui è legata l'introduzione del carbone nella lavorazione del ferro, lavorarono entrambi nel settore siderurgico. Lo stesso dicasi di Cort (puddellaggio) e di Nelson (soffiatura ad aria calda). Ma questa indipendenza della tecnica nei confronti della scienza non si riscontrerà piú nei progressi di píú grande importanza realizzati verso la metà del secolo XIX nella metallurgia dell'acciaio: la complessità del problema richiedeva infatti un bagaglio di conoscenze teoriche; Bessemer, come pure Le Chàtelier, era ingegnere. Thomas e Gilchrist, cui si deve il procedimento Thomas, possedevano entrambi una solida cultura scientifica. Tuttavia, a questi scienziati bisogna associare i nomi di Siemens e Martin, che lavoravano nel ramo siderurgico; nel secolo XX i progressi della tecnica siderurgica si dovranno quasi esclusivamente agli scienziati.

Gli inventori cui sono legati i progressi della meccanizzazione del lavoro nel tessile, se pure non tutti direttamente in contatto con tale lavoro, restarono tuttavia abbastanza in disparte dalla vita scientifica. J. Wyatt era infatti falegname e Arkwright barbiere; il loro interesse per il tessile era motivato solo da ragioni d'ordine finanziario. Inoltre, a causa del loro rango sociale, si trovavano in diretto contatto con operai e imprenditori del tessile. La situazione era diversa nell'ambiente scientifico. La filatrice realmente operazionale, che ha avuto una parte veramente determinante nell'espansione della filatura meccanica, cioè il filatoio intermittente (mule Jenny), si deve a un uomo (Crompton) che debuttò come operaio in una filanda. John Kay, l'inventore della navetta volante era, dal canto suo, fabbricante di pettini per macchine tessili. D'altronde, nei primi decenni della meccanizzazione dell'industria tessile, le macchine venivano generalmente fabbricate da aziende che s'occupavano del lavoro del tessile. Solo piú tardi - e qui la sostituzione del ferro al legno svolse una funzione importante - alcune officine specializzate si incaricarono di fabbricare queste macchine. Ciò consenti una specializzazione favorevole all'apporto di perfezionamenti che richiedevano una, qualificazione tecnica assai alta.

Se, in certo modo, si può considerare Watt uno scienziato, occorre non dimenticare che i perfezionamenti che egli introdusse nella macchina a vapore altro non furono che il risultato delle sue constatazioni sullo scarso rendimento delle macchine di Newcomen, il quale, dal canto suo, era fonditore e fabbro. Per altro, come osserva Dickinson, «a lungo dopo la morte di Newcomen, le migliorie apportate alla sua macchina si dovettero a dei practical men, dato che i filosofi sembravano considerare le macchine poco degne della loro attenzione». In effetti, il primo scienziato a occuparsi di macchine a vapore fu Smeaton (un ingegnere che costruí la sua prima macchina a vapore nel 1769); male macchine derivate da quelle di Newcomen e Savaxy continuarono a imporsi ampiamente fino a circa il 1780, epoca in cui cominciarono a diffondersi le macchine costruite da Watt e Boulton.

L'assenza di rapporti tra i progressi tecnici, agli inizi della rivoluzione industriale, e la scienza consente, se non di escludere completamente, almeno di minimizzare, per questo periodo, l'influsso dei progressi della scienza sui primi sviluppi della tecnica nei molteplici settori dell'attività economica. "Tale assenza di rapporti rende abbastanza aleatoria ogni sorta di filiazione tra i progressi scientifici dei secoli XVI-XVIII e i progressi tecnici del secolo XVIII. È lecito d'altronde parlare, per questo periodo, di primato della scienza inglese? Nella graduatoria dei Paesi secondo il livello scientifico, essa non verrebbe che dopo l'Italia e la Francia e, per il terzo posto, avrebbe come seri rivali le Fiandre e i Paesi Bassi.

Esaminiamo ora il problema essenziale posto dalla tecnica nella rivoluzione industriale. Nello sviluppo a prima vista simultaneo delle invenzioni tecniche da un lato, e dell'incremento della produzione dall'altro, quale è stato l'elemento determinante, l'elemento motore?

Togliendo l'ipoteca della scienza come fattore determinante dei progressi tecnici nel secolo XVIII, l'eventualità che tali progressi siano stati all'origine delle modificazioni del volume della produzione perde già considerevolmente di consistenza, in quanto bisogna introdurre un elemento esterno per spiegare tale moltiplicazione dei fatti tecnici, troppo notevole per poter essere ascritta al solo caso. Se quindi lo sviluppo della tecnica non è stato all'inizio stimolato dalla scienza e dai progressi indiscutibili che questa compì nei secoli XVII e XVIII, un altro fattore, un fattore importante, deve essere intervenuto per suscitare l'ondata di innovazioni tecniche iniziatasi in Inghilterra verso la metà del secolo XVIII.

L'esame dei fatti dimostra abbastanza chiaramente che sono stati i fattori economici, e soprattutto l'incentivo di un incremento sensibile della produzione, a consentire l'utilizzazione, se non l'invenzione, di macchine e di nuovi procedimenti di lavoro. Evidentemente, queste invenzioni hanno a loro volta contribuito alla continuazione dei progressi, svolgendo un ruolo che si potrebbe definire "risolutore di strozzature" (briseur de goulots d'étranglement), cioè sopprimendo gli ostacoli che si opponevano a una rapida progressione del settore.

Pista di riflessione: individuare i rapporti tra tecnica e competenze scientifiche, e l'incidenza di questi rapporti nel processo di sviluppo industriale inglese.