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Rivoluzione industriale
In Inghilterra si crea un clima culturale favorevole all'iniziativa, all'intraprendenza, anche il dissenso religioso ne viene coinvolto. Tutto questo è compatibile e funzionale con il processo di industrializzazione.
Thomas S. Ashton, La rivoluzione industriale (1760-1830), Laterza, 1972, pp. 21-27, in Manzoni-Occhipinti, cit.
Gli inventori, gli scopritori, gli industriali, gli imprenditori - non è facile distinguerli gli uni dagli altri in un periodo di cosí rapido mutamento - provenivano da ogni classe sociale e da tutte le parti del paese. Furono aristocratici come Lord
Lovell, nella prima parte del secolo, e Coke di Holkham, più tardi, che avviarono le riforme nell'agricoltura; altri, come il duca di Bridgewater e il conte di
Gower, crearono nuove forme di trasporto; e altri ancora furono autori di innovazioni nelle industrie chimica e mineraria. Ecclesiastici come Edmund Cartwright e Joseph Dawson rinunciarono alla cura delle anime per scoprire metodi piú efficaci per la tessitura e per la fusione del ferro. Medici come John Roebuck e James Kefir si dedicarono alle ricerche chimiche e divennero capitani di grandi industrie. Sotto l'influsso di una filosofia razionalistica gli studiosi passavano dalle scienze umanistiche a quelle fisiche, e dalle fisiche alle tecnologiche. Avvocati, militari, pubblici funzionari e uomini di condizione anche
più modesta trovarono nell'industria manifatturiera possibilità di avanzamento assai maggiori di quelle offerte dalle loro antiche professioni. Un barbiere, Richard
Arkwright, divenne il piú ricco e influente industriale nel campo della filatura; un oste, Peter
Stubs, diede vita a un'azienda molto rinomata nel commercio delle lime; un maestro di scuola, Samuel
Walker, divenne il principale esponente
delL'industria siderurgica nell'Inghilterra settentrionale. «Ognuno ha la fortuna nelle proprie mani!» esclamava entusiasta William Hutton nel r78o. Questo, inutile dirlo, non è mai stato vero, neppure in parte; ma chi osserva da vicino la società inglese della seconda metà del secolo
XVIII capisce come fosse possibile quell'affermazione, dato che in quel periodo la mobilità verticale era giunta a un grado che non ha confronti con qualsiasi altra epoca precedente e forse anche successiva.
È stato spesso osservato che lo sviluppo dell'industria fu storicamente connesso con la nascita di gruppi che dissentivano dalla Chiesa ufficiale d'Inghilterra. Nel secolo
XVII la setta dei puritani che si raccoglieva a Kidderminster intorno a Richard Baxter comprendeva i
Foley, i Crowley e gli Hanbury, destinati a fondare grandi stabilimenti in zone così lontane come lo
Staffordshire, il Durham e il Galles meridionale. Nel secolo successivo i membri della
Society of Friends ebbero una parte preminente nello sviluppo dell'attività bancaria e
delle industrie molitoria, birraria e farmaceutica; e le famiglie quacchere dei
Darby, dei Reynolds, dei Lloyd e degli Huntsman arrivarono a dirigere le sorti delle industrie del ferro e dell'acciaio in un periodo di rapido mutamento. Nell'industria meccanica troviamo battisti come
Thomas Newcomen e presbiteriani come James Watt; accanto ai quaccheri, nell'industria siderurgica c'erano degli indipendenti come John Roebuck
e Joseph Dawson, mentre unitari come i M'Connels e il Greg erano presenti nella filatura. Nell'industria cotoniera, inoltre, il maggior inventore, Samuel
Crompton, fu discepolo di Emmanuel Swedenborgt (che a sua volta, è il caso di ricordare, fu un'autorità nel campo metallurgico e della tecnica mineraria). Altri industriali, tra cui i Guest del Galles meridionale, si ispiravano all'insegnamento di John Wesley2. Mala predicazione di WCsley si indirizzava in primo luogo ai poveri e ai non privilegiati, e gli effetti del metodismo vanno visti non tanto nell'impulso ch'esso diede allo spirito d'iniziativa quanto nella maggiore sobrietà, diligenza e autodisciplina dei lavoratori da esso influenzati.
Questa stretta associazione tra industria e dissenso religioso è stata spiegata in vario modo. Si è detto ch'era naturale che chi cercava nuove forme di culto battesse sentieri nuovi nel campo dell'attività mondana. Si è sostenuto che c'è un intimo nesso fra i principi peculiari del
non conformismo e le regole di condotta che guidano al successo negli affari. E si è affermato che l'esclusione dei dissenzienti dalle università e dalle cariche amministrative e di governo costrinse molti a cercare nell'industria e nel commercio uno sfogo alle proprie capacità. Può darsi che ognuna di queste tesi contenga una parte di vero, ma una spiegazione piú semplice sta nel fatto che i nonconformisti, in generale, costituivano il settore piú istruito delle classi medie. A conferma di ciò, s consideri quanta parte ebbe nel movimento economico il flusso di energie che dalla Scozia presbiteriana si riversò in Inghilterra poco dopo l'unione del 17 07- Il piú grande inventore dell'epoca, James Watt, proveniva dalla Scozia, donde provenivano anche sette degli otto uomini che lo assistevano nel montaggio delle macchine. [...]
Se il sistema d'istruzione elementare scozzese era piú progredito di quello di qualsiasi altro Paese europeo dell'epoca, lo stesso può dirsi delle università scozzesi. Non da Oxford o da Cambridge, dove la fiaccola ardeva debolmente, ma da Glasgow e da Edimburgo venne l'impulso alla ricerca scientifica e alla sua applicazione pratica. Molti giovani, attratti dalla dottrina e dalla personalità di Joseph Black, professore di chimica a Glasgow e poi a Edimburgo, vennero iniziati a metodi di pensiero e di sperimentazione che piú tardi furono rivolti a scopi industriali; tra questi giovani ci furono James
Keir, pioniere dell'industria chimica e vetraria, e (se è lecito allargare il circolo fino a comprendere anche coloro che senza essere scolari di Black dovettero molto al
suo insegnamento e alla sua amicizia) John Roebuck, James Watt e Alexander
Cochrane, conte di Dundonald.
In forme piú modeste, le accademie create dallo zelo pedagogico dei nonconformisti a Bristol, Manchester,
Northampton, Daventry, Warrmgton e altrove svolsero, nell'Inghilterra del secolo decimottavo un ruolo analogo a quello svolto dalle università in Scozia. Aperte a tutti, senza discriminazioni di fede, consentivano corsi di studi che, per quanto appesantiti da teologia, retorica e antichità ebraica, comprendevano matematica, storia, geografia, lingua francese e contabilità. Tra i loro allievi vi fu Daniel Defoe (e un suo coetaneo di nome
Cruso), John Howard, Thomas Malthus e William Hazlitt', per nominare soltanto alcuni di coloro che dovevano distinguersi nella letteratura e nella vieta pubblica. Ciò che piú importa al nostro scopo immediato, queste accademie furono vivai di pensiero scientifico. Parecchie di esse erano ben fornite di "strumenti filosofici" e offrivano la possibilità di fare esperimenti; fra gli insegnanti c'erano uomini della statura d'un Joseph Priestley e di un John Dalton4; e da esse uscí una serie di futuri industriali fra cui John Roebuck (che aveva studiato a Northampton prima di passare a Edimburgo e a Leida), Matthew
Boulton, John Wilkinson, Benjamin Gott e, una generazione piú tardi, Joseph
Whitworth.
Oltre alle accademie nonconformiste, in molte città c'erano delle istituzioni che, come la Society of Arts nazionale, miravano a promuovere miglioramenti nei metodi di produzione. Circoli in cui scienziati e industriali si ritrovavano a discutere liberamente sorsero nel Lancashire e nei
Midlands, a Edimburgo e a Glasgow. Chi può dire quanto frutto traessero i filandieri dalla frequentazione di Thomas Percival e di John Dalton nella Literary and Philosophical Society di Manchester? E quanto influí sulla città e sulla provincia di Birmingham quella Lunar Society in cui Erasmus
Darwín, R L. Edgeworth, Joseph Priestley, James Watt, Matthew Boulton e Josiah Wedgwood5 applicavano la loro forte intelligenza ai problemi sia della vita sia di come guadagnarsi da vivere?
La congiuntura della crescente offerta di terra, lavoro e capitale rese possibile l'espansione dell'industria; il carbone e il vapore fornirono il combustibile e l'energia necessari per una produzione su larga scala; la modicità dei tassi d'interesse, l'aumento dei prezzi e le buone prospettive di profitto fornirono l'incentivo. Ma al fondo e al di là di questi fattori materiali ed economici c'era qualcosa di
piú. Il commercio con l'estero aveva ampliato la visione del mondo e la scienza aveva esteso i confini dell'universo: la rivoluzione industriale fu anche una rivoluzione di idee. Se essa registrò un progresso nella comprensione e nell'assoggettamento della natura; vide anche l'inizio di un nuovo atteggiamento verso i problemi della società umana. E anche a questo riguardo fu dalla Scozia, e in particolare dall'Università di Glasgow, che venne il piú limpido raggio di luce. È senza dubbio un errore professorale sopravvalutare l'influenza del pensiero speculativo sui modi di esistenza della gente comune; ed è discutibile se John
Wesley, Tom Paine, William Cobbett e Orator Huntb abbiano avuto la stessa importanza immediata di David Hume o anche di Jeremy
Bentham. Ma c'è almeno un'opera della filosofia morale scozzese che non si può non citare in una rassegna delle forze che produssero la rivoluzione: le
Ricerche sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni, che, apparse nel 1776, funsero da tribunale d'appello in fatto di economia e di politica per generazioni e generazioni. Le sentenze contenute in quest'opera furono il materiale da cui uomini non dediti allo studio di trattati ricavarono le loro norme di condotta negli affari e nel governo. Fu per influsso di quest'opera che dall'idea di un volume piú o meno fisso di commercio e di occupazione, diretto e regolato dallo Stato, si passò, gradualmente e con molte difficoltà, alla concezione di un progresso illimitato da perseguire nel quadro di un'economia libera ed espansiva.