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ANTOLOGIA

Il boom degli anni '60

  di Grazia Bologna

ANTOLOGIA - fonti letterarie

ITALO CALVINO - LA NUVOLA DI SMOG
(pag. 256 - 259)

Santoddio, bisogna proprio star dietro a tutto, cento occhi ci vogliono! - fece. - Cosa le è venuto in mente di pubblicare quella notizia lì ? Non è di queste cose che si occupa il nostro Ente. Ci mancherebbe! E poi, senza dirmi nulla! Una cosa così delicata! Adesso diranno che ci mettiamo a fare della propaganda!
Risposi qualche frase di giustificazione: - Sa, trattandosi d'inquinamento, mi scusi, avevo pensato...
M'ero già congedato quando Cordà mi richiamò. - Ma, senta, dottore, lei a questo pericolo della radioattività ci crede? Sì, insomma, che sia già così grave. . .
Ero al corrente di alcuni dati d'un congresso di scienziati e glie li riferii. Cordà mi stava a sentire, assentendo, contrariato.
- Mah, in quale terribile tempo ci è stato dato di vivere, caro dottore! - scattò a un certo punto, ed era tornato il Cordà che ben conoscevo. - E il rischio che dobbiamo correre, caro lei, senza voltarci indietro, perché la posta è grossa, caro lei, la posta è grossa!
Restò a capo chino qualche minuto. - Noi, nel nostro settore, - riprese, - senza voler sopravvalutare, la nostra parte la facciamo, il nostro contributo lo diamo, siamo all'altezza della situazione.
Questo è certo, ingegnere. Ne sono convinto, ingegnere - Ci guardammo un po' imbarazzati, un po' ipocriti. La nube di smog ora appariva rimpicciolita, una nuvoletta appena, un cirro, a paragone della sovrastante nube atomica.
Lasciai l'ingegner Cordà dopo alcune altre frasi generiche e affermative, e anche stavolta non si capiva bene se la sua vera battaglia la intendesse pro o contro la nuvola.
Da allora evitai di far cenno nei titoli alle esplosioni o alla radioattività, ma in ogni numero, nelle colonne dedicate al notiziario tecnico, cercavo d'introdurre qualche informazione sull'argomento, e anche in certi articoli, in mezzo ai dati sulle percentuali di carbone o di nafta nell'atmosfera urbana e sulle loro conseguenze fisiologiche, inserivo dati ed esempi analoghi relativi alle zone atomizzate. Né Cordà né altri mi fecero più osservazione, ma questo anziché rallegrarmi mi confermava nel sospetto che "La Purificazione" non la leggesse proprio nessuno.
Avevo una cartella in cui tenevo il materiale sulle radiazioni nucleari, perché scorrendo i giornali con l'occhio esercitato a scegliere notizie e articoli da utilizzare, trovavo sempre qualcosa su quel tema e lo mettevo da parte. Un'agenzia di ritagli stampa, poi, a cui l'Ente era abbonato, per la voce "Inquinamento dell'atmosfera" ci mandava sempre più ritagli che parlavano delle bombe atomiche, mentre quelli sullo smog erano sempre meno.
Così ogni giorno mi capitavano sott'occhio statistiche di malattie terribili storie di pescatori raggiunti in mezzo all'oceano da nubi mortifere, cavie nate con due teste dopo esperimenti con l'uranio.
Alzavo gli occhi alla finestra. Era giugno avanzato ma l'estate non cominciava: il tempo era greve, le
giornate oppresse da una fosca caligine, nelle ore meridiane la città era immersa in una luce di finimondo, i passanti parevano ombre fotografate al suolo dopo che il corpo era volato via.
Il corso normale delle stagioni pareva cambiato,
densi cicloni i percorrevano l'Europa, l'inizio dell'estate era segnato da giorni carichi d'elettricità, poi da settimane di pioggia, da calori improvvisi e da improvvisi ritorni d'un freddo come di marzo. I giornali escludevano che in questi disordini atmosferici potessero entrare gli effetti delle bombe; solo qualche solitario scienziato pareva lo sostenesse (di cui peraltro era difficile stabilire se dava affidamento) e insieme la voce anonima del popolino, pronta sempre, si sa, a fare un'accozzaglia delle cose più disparate.
Anche a me dava ai nervi sentire la signorina Margariti che parlava scioccamente dell'atomica per avvertirmi che anche quel mattino avrei dovuto prendere l'ombrello. Ma certo, aprendo le persiane, alla vista livida del cortile, che in quella falsa luminosità appariva un reticolo di striature e macchie, ero tentato di ritirarmi come se una scarica di particelle invisibili proprio in quel momento stesse abbattendosi dal cielo.
Questo peso di cose non dette che si trasformava in superstizione pesava sui comuni discorsi dei tempo che fa, una volta considerati i meno impegnativi. Del tempo adesso si evitava di parlare, o dovendo dire che pioveva o che s'era schiarito s'era presi da una specie di vergogna, come si tacesse qualche nostra oscura responsabilità. Il dottor Avndero che viveva i giorni della settimana preparandola gita domenicale, aveva preso verso il tempo una finta indifferenza che mi pareva del tutto ipocrita, servile.
Feci un numero del “La Purificazione” in cui non c'era articolo che non parlasse della radioattività. Neanche questa volta ebbi seccature. Che non fosse letto però non era vero; leggere, leggevano, ma ormai per queste cose era nata una specie d'assuefazione, e anche se c'era scritto che la fine del genere umano era vicina, nessuno ci badava.
Anche i settimanali d'attualità portavano notizie da far rabbrividire, ma la gente sembrava prestar fede solo alle fotografie a colori di belle ragazze sorridenti in copertina. Uno di questi settimanali uscì con in copertina la foto di Claudia in costume da bagno che faceva un'evoluzione sugli sci d'acqua. La appesi con quattro puntine a una parete ella mia stanza d'affitto.

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