ANTOLOGIA - fonti letterarie
LUCIANO
BIANCIARDI - LA VITA AGRA
(pag. 100 - 103)
Oltre
il padiglione del mercato rionale c'erano l'ambulatorio, la chiesa con
annesso oratorio che il sabato sera e la domenica faceva anche un po' di
cinema, e consentivano l'ingresso anche ai miscredenti, e nemmeno
tentavano di convertire, bastava pagare, bastavano quei pochi dané; poi
c'era un budello corto di vecchie case e più oltre si apriva l'immenso
sterrato dove un tempo facevano scalo i treni merci.
Abbandonata, la terra aveva buttato su sterpi, erbacce, marruche alte
come un uomo, una specie di sottobosco incolto e ineguale, con buche,
avvallamenti, montarozzi di scarico e di spazzatura. Di giorno ci
andavano i ragazzini a giocare agli indiani, ma di notte si riempiva
di larve indistinte in quella scarsa luce frammezzo alla nebbia . che si
abbioccava sugli sterpi. A sostare nella strada vicina, le vedevi,
contro i lumi opposti e lontani, muoversi sparire, incontrarsi,
dividersi ancora, scomparire: Sul ciglio della strada si fermava a
tratti un'automobile coi fanalini rossi di dietro sempre accesi e dentro
altre due larve che avvinghiate si contorcevano, grottesche.
Era una bolgia di purgatorio, e mai ho saputo con precisione
se quelle larve fossero uomini oppure donne, persone vere o fantasmi. Ricordo
una sera di sabato che avevo litigato con Anna per le solite storie, e
mi aggiravo fra le marruche della bolgia con in corpo una gran
cattiveria triste e pensieri atroci. Mi passò accanto una larva e
sentii una specie di sibilo sottile e insistente, e allora decisi di
scappare subito a casa, da Anna, di far subito la pace, ma proprio al
principio del corto budello, accanto a un distributore di benzina, c'era
un uomo steso per terra, di certo un ubriaco, perché spesso la sera
del sabato si sentiva il canto iroso e sconnesso di qualche ubriaco
rimasto solo. L'uomo per terra aveva i capelli bianchi e adesso
guardava me con un sorriso ebete.
"Come va?" gli chiesi. "Vuoi una mano?"
Brontolò qualcosa in dialetto, di gola, si tirò su a sedere e mi tese
la mano. Avevo capito che intendeva dirmi aiutami a rialzarmi in piedi,
e infatti lo aiutai. Per un poco anzi lo sostenni sotto le ascelle, ma
appena l'ebbi lasciato, e lui tentò di andarsene con le gambe sue,
barcollò e cadde all'indietro.
Ci rimase secco, e mi guardava ancora, ma senza più il sorriso ebete,
anzi con occhi di vetro, e quando mi chinai a vedere meglio scorsi un
filo di sangue che gli usciva dalla nuca e si spandeva nero sul
selciato. Al bar lì accanto avevo già visto quattro uomini senza
cravatta che giocavano a carte, e così andai là, a dire che c'era un
ubriaco ferito, e che da solo non ce la facevo a rimetterlo in
piedi, e che anzi provandoci m'era caduto battendo la testa. I
quattro alzarono appena gli occhi, senza dire niente.
"Be'" fece poi uno, visto che io non me ne andavo.
"C'è un ubriaco là per terra."
"E allora?"
"Datemi una mano a rialzarlo."
"Sì rialzerà da sé."
"Non ce la fa. L'ho aiutato io, ma m'è ricaduto e perde
sangue."
"E noi cosa ci entriamo? E successo a lei, no? Se la veda
lei." E riattaccarono a giocare a carte.
"La croce rossa" mi disse allora una donna che stava lì
vicino seduta davanti a un bicchiere. "Telefoni alla croce
rossa."
Andai al banco e chiesi dov'era il telefono.
"Non è a gettone" mi disse l'uomo.
"Mi faccia telefonare lo stesso."
"Non è a gettone" ripeté. "Là davanti, vada. Quello è
a gettone."
Là davanti mi rivolsi alla cassiera: "C'è un ferito per strada,
mi dia il numero della croce rossa, per favore".
"Vuol telefonare da qui?"
"Sì, non è un telefono pubblico?"
"Sì, ma mi raccomando, non faccia il nome del locale questo è un
locale per bene e non vogliamo storie con la croce rossa."
"Va bene, non faccio nomi. Mi dia il numero."
"Se lo cerchi sulla guida." E mi indicò il mobiletto sotto il
telefono. Cercai il numero, poi chiesi il gettone.
"La moneta" fece la donna.
"Cosa?"
"Le venti lire."
Gliele diedi ed ebbi il gettone. La croce rossa prima risultò occupata,
poi mi dissero che l'autoambulanza era fuori, ma che avrebbero
provveduto subito: chiesero la strada, e io gliela indicai. Rimasi là
fuori sul marciapiede, con le mani in tasca, e di fronte vedevo la
figura del vecchio sempre stesa sul selciato. Qualche larva,
rincasando, quasi ci inciampò. Venne una coppia, scartarono per, non
pestarlo e tirarono diritto.
Io restavo lì, fermo, e non potevo farci nulla: non muovere l'ubrìaco,
perché aveva battuto il capo e io sapevo che può essere molto
pericoloso. Non chiedere aiuto a qualcuno, perché tutti badavano ai
fatti loro. Solo attendere che arrivasse l'ambulanza. Dopo un po' decisi
di tornare a casa, anche per raccontarlo ad Anna, ma lei era sempre
rabbiosa contro di me, e se ne stava curva al tavolino, a far finta di
leggere. Mi stesi sul letto senza spegnere la luce, e sentivo quanto era
ostile, Anna, dietro l'armadio, perciò non le dissi nulla. Stavo così,
zitto e teso, a occhi aperti. Passò un'ora prima della sirena
dell'ambulanza. Il giorno dopo, in tram, cercai nella cronaca e ci
lessi appunto che un ubriaco sessantacinquenne, non identificato sinora,
era morto per frattura della base cranica, in seguito a una caduta da
ritenersi accidentale.
Del resto succedeva ogni giorno, mi spiegarono i colleghi in ufficio
quando glielo raccontai: un malato d'infarto che muore sul marciapiede
davanti all'ingresso dell'ospedale, senza poterci entrare perché non ha
pronti i soldi del deposito o in regola le marchette della mutua; intere
famiglie falciate da un camion con rimorchio, vecchiette stritolate
dalle ruote dei tram perché non hanno saputo salire a tempo, e sono
rimaste con un piede impigliato nelle porte automatiche.
Ingenuo ero io a meravigliarmene. A New York, per esempio, altro che
qui! Centinaia di morti ogni giorno in incidenti del genere. E anche
a Londra. E a Calcutta migliaia di morti di fame, ogni giorno. Il
mondo è fatto in questo modo, non l'avevo ancora capito?
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