ANTOLOGIA
- fonti letterarie
LUCIO
MASTRONARDI - IL MERIDIONALE DI VIGEVANO
(pag.458 - 465)
Sul
primo pianerottolo una donna, scalza, stava Pulendo la targa di un
uscio.
- Si bon viàltar da leggere? Oh che manera - disse,
squadrandomi.
- E che dovevo leggere?
- Il cartello giú. Che venga a vedere!
Seguii la donna da basso.
- Cosa c'è scritto qui? - disse, indicando, sopra l'alveare delle buche
delle lettere, il cartello SI PREGA DI SALIRE E SCENDERE COI PATTINI.
Nel vestibolo difatti erano allineate tre file di grosse ciabatte di
panno. Ne infilai un paio sulle scarpe e salii.
I pianerottoli erano tutti uguali. Due usci, uno di fronte
all'altro; un occhio di vetro nelle superficie dell'uscio; maniglie di
ottone; targhe lustratissime; e i cartelli VIETATO FARE RUMORI, VIETATO
APPOGGIARSI AI MURI, VIETATO FUMARE, VIETATO PARLARE FORTE, che ornavano
le pareti di ogni pianerottolo.
Dai baselli veniva un dolciastro odore di cera. Spirava un'aria
familiare, come ci abitasse un'unica famiglia. Da qualche uscio
semiaperto mi venivano sguardi fra curiosi e indispettiti. Mi sentivo
come un ospite venuto in un momento inopportuno.
Esposito abitava al penultimo pianerottolo.
Alzati gli occhi, vidi, sull'ultimo pianerottolo, una coppia affacciata.
Esposito mi aspettava davanti all'uscio. Portava la saia col sussiego di
un prete con la stola. Mi fece accomodare in una stanza, dove cinque o
sei meridionali stavano cucendo mocassini. L'ambiente era rallegrato da
una gabbia di merli che fischiavano, e da un rubinetto che rovesciava
acqua nel lavandino: rinfrescava l'aria.
- La casa non è solo mia, - disse Esposito: - è anche di mio fratello.
Bisogna sentirlo lui.
Si affacciò una donnetta:
- E questo che vuo'?... Vuo' la casa?... La casa vuo'! la casa nostra.
Figlie mie, venite a vedere quello
che vuo' la casa nostra! - urlò dentro un uscio.
Una dopo l'altra si affacciarono ragazze, una con una tomaia nelle mani,
l'altra con un martelletto, l'altra ancora con la forma di una scarpa, a
vedere la faccia di quello che vuo' la casa. E tutti lí che camminavano
in punte di piedi, a piedi scalzi, per non disturbare la famiglia di
sotto. Meno Esposito. Faceva una certa impressione, grasso com'era,
vederlo scussiare coi pattini.
- Venite che vi offro il vino di Castrovillari! - disse. Lo seguii in
cucina.
Usci dal frigor una bottiglia di vino. Dall'armadio dei bicchieri,
cristallo Boemia, robba fine fine veramente, regalo d'un fornitore, che
mi fornisce cinquecento mila piedi di pelle lu mese, e versò il vino.
Alla salute. Alla vostra.
- Vi piace?
- Buono, - dissi.
Esposito scosse la testa:
- Li terroni non sanno fare proprio niente, - disse.
Se questiqui di Viggevano ci avessero loro questa grazia diddio, a
quest'ora ci sarebbe lu mondo imbriaco, - seguitò, sempre scuotendo la
testa. - Inutile. Piú che figli non sanno fare!
- Ma adesso si sono calmàti! - dissi.
- Che calmati e calmati, che? - gridò Esposito.
Tornammo nel laboratorio.
Esposito indicò un lavorante:
- Quello ha diciotto anni; tre figli, tè! ... questo ha sedici anni, la
moglie aspetta già il secondo... questo ha vent"anni e cinque
figli... quello ha trent'ani aspetta l'ottavo...
I lavoranti se ne stavano a testa bassa. Qualcuno guardava per traverso.
- Per fortuna che le donne le hanno al paese. Così ... - seguitò
Esposito.
- Anche quello è destino! - dissi.
- Vi dico che davanti a ste cose io mi. vergogno Mi vergogno proprio, -
sentenziava Esposito. - L donna, se sa, è lu caffe dei poveri. Li padri
loro se ne stavano sempre al caffè . Li figli anche...
Si tolse la saia. Da un attaccapanni staccò un'altra saia bròdia di
cuoio e pelle. Se la infilò. Chiamò la moglie per il fazzolettino da
mettersi nel saccoccino Chiamò una figlia per farsi lustrare le scarpe.
Un'altra, per farsi tagliare le onghie. Come un pascià, sedette su una
poltrona della sala; mentre una ragazza era chinata a strofinargli le
scarpe, l'altra gli tagliava le onghie, e la moglie cercava, in una
scatola piena di fazzolettini, nu fazzolettino con le iniziali ricamate.
Alle pareti pendevano ritratti di Giuseppe Esposito, fotografato alla
Mostra delle Calzature nello stand INDUSTRIA CALZATURE ESPOSITO &
FIGLI fra vetrine di mocassini.
Poi domandò la matita per i baffi...
All'improvviso, dal soffitto, cominciò un rumore sordo, tatúm tatúm,
e continuo. Esposito aveva un'aria imbarazzata. Le figlie ridevano
furbe.
- Sono gli sposini quassopra. Non si sa come dirglielo che hanno una
gamba del letto piú corta che l'altra, - borbottava. Tatúm tatúm...
Tornate a lavorare subbeto subbeto! - ordinò alle figlie.
Le ragazze uscirono.
- Per colpa di questi due quassopra, le figlie mie hanno perduto
l'innocenza. Me le hanno fatte uscire dall'uovo! - borbottava Esposito,
dando colpi di matita ai baffi.
La moglie, che gli teneva lo specchio davanti, disse: - E pensare che
non le abbiamo mai volute mandare in fabbrica per quello!
- Ora andiamo dal fratello mio! - disse Esposito.
Scendemmo le scale in pattini.
Davanti alla casa, Esposito guardò la mia bicicletta. Ringhiò:
- Piú che un terrone non può essere!
Mentre ficcava la ruota davanti fra le sbarre di un portabiciclette,
diceva:
- Inutile. I terroni non hanno il senso del rispetto della roba degli
altri!
Intanto guardava il muro nei punti dov'era poggiata la sella e il
manubrio.
Alzò una saracinesca. Era il garage della casa.
Motorette e piccole automobili erano allineate, fra strisce, rettangoli,
quadrati segnati sul suolo, col gesso. Le pareti erano piene di
cartelli incorniciati che cominciavano tutti con VIETATO.
VIETATO ENTRARE COL MOTORE ACCESO, VIETATO OLIARE, VIETATO PULIRE LA
MACCHINA, VIETATO TENERE BIDONI DI BENZINA, VIETATO SERVIRSI DEGLI
ARNESI ALTRUI, VIETATO CAMBIARE GOMME, VIETATO INTRODURRE ESTRANEI,
VIETATO METTERE MACCHINE ESTRANEE ANCHE SE DI OSPITI…
Aiutai Esposito a spingere la sua seicento fuoriserie, con lu motore
annànte, il bagagliaio arréte, verniciata a due colori. Dai vetri ci
penzolavano gingilli Altri gingilli erano calamitati sul cruscotto e
sulle pareti. Le poltrone avevano cuscini e gommepiume.
- E voi non vi fate la macchina? domandò Esposito, ingranando la
marcia.
- Mah! Assicurazioni, tasse, storie, mi fanno passare la voglia! -
dissi.
- Quelle vengono fuori gratis! - disse lui, furbo.
- Gratis?
- Invece di piare la benzina dove costa cento lire, la piate
all'ingrosso. Quindici lire meno. Con la differenza pagate tuttecosel
- Non lo sapevo! - dissi.
- Io e i figli miei, facciamo cosi! - disse Esposito.
Fermò la macchina davanti a un portone. Entrammo. Seguii Esposito in
una stanza che puzzava di selvatico. Un giovane stava trafficando
davanti a un gabbione. Tutta la stanza era piena di gabbie, dove si
movevano piccoli animali.
- Questo è mio fratello Nicola. Vedete: c'è un allevamento di visoni e
cincillà! - disse Esposito. Mi fece sedere su un sacco di mangime.
Nicola mi guardò con aria di antipatia:
- Giuseppe sempre terroni fra i piedi mi porti! - ringhiò.
- Vuo' la casa! - disse Giuseppe.
Nicola mi fulminò con un'occhiataccia; neanche volessi la sua donna:
- La casa, nostra mai a un terrone...
- Nicò...
- Perché adoperi il bagno per piantarci pomidori?
- Nicò...
- Perché usi il bidé come vaso di fiori?...
- Nic', chiste è lu dottore delle tasse!
- E perché non me l'hai detto súbbeto? - disse Nicola. A un sorriso
così luminoso da rischiarare l'ambiente.
- Prego, s'accomodasse, dicesse, dicesse: onoratissimi. Ve la diamo
senz'altro la casa, onoratissimi...
- Quanto... - dissi.
- Beh, noi si paga cinque mila quattrocento nove al mese di riscatto. Ma
questo non vuol dire. Fate voi dotto'. Quello che ci date, benedetto è,
benedetto daddio!
- Sicché fate l'allevatore! - dissi.
- Per passatempo, - disse. - lo lavoro in conceria. Nei momenti liberi,
cosi...
Cominciò a spiegarmi le varie tecnologie degli allevamenti. I vari
incroci. I diversi mangimi...
Quell'odore mi prendeva la testa. Nicola e Giuseppe, imperterriti,
uscivano bestiole dalle gabbie; le rimettevano a posto; ne uscivano
altre.
Mentre in macchina andavamo sulla Brughiera, i fratelli Esposito mi
parlavano di commercianti e industrialotti meridionali; di operai che
nel tempo libero si arrangiavano in proprio, che, dotto', frodano il
fisco, frodano; una lezione ci starebbe bene a quelli, dotto', è quello
che ci vuole. Mi davano nomi e indi-
rizzi, tenga a mente, dotto', se li segni, se li segni, na lezioncina...
Tutti quelli che mi dicevano, erano poi
tutta gente impegnata nei traffici dei mocassini.
Arrivati alle case popolari non avevano ancora finito di fare nomi.
Salendo le scale, mi dicevano:
- Vedete, dotto', da questa parte ci stanno appartamenti di tre vani. Da
st'altra di cinque vani: cinque stanze tutte per voi, dotto'!
L'appartamento era arredato con mobilia vecchia di legno pesante. Me la
davano in dote.
- Ci fa proprio piacere darla in dote a voi. Materialmente varrà anche
poco, per carità, ma lei m'insegna che è lo spirito che conta, no la
materia! - diceva Nicola.
Ci affacciammo sulla terrazza. Si vedeva un pezzo della vallata del
Ticino; qualche arcata del ponte; le boscaglie; un tratto della Nuova
Circonvallazione.
Mentre guardavo il panorama, mi venne una voce:
- Ehi, vi ricordate di me?
Sul terrazzo vicino era affacciato quell'uomo che mi dormì vicino a
casa della Franceschi.
- E' una sentenza: noi dobbiamo essere vicini! -disse Edoardo.
Si affacciarono dietro di lui dei meridionali. Edoà li rimandò dentro.
- Stassera vi aspetto a cena. La mia signora ci tiene! - disse Edoardo.
- Grazie! - dissi.
- A stassera, - disse lui, ritirandosi.
Intanto i fratelli Esposito si davano da fare, l'uno a spolverare i
mobili, l'altro a pulire il suolo.
Quando ebbero finito, Nicola m'invitò a casa sua, a stendere lu
contratto.
- Cosí vedrete pure la casa che mi sono fatto! -diceva.
- E il laboratorio dei figli miei! - disse Giuseppe.-.
- Ma voi, quanti figli avete? - dissi, sorpreso.
- Una quantità! - disse lui, compiaciuto.
Risalimmo in macchina. Era sera. Per le strade c'era il traffico degli
operai che uscivano dalle fabbriche., Gli Esposito parlavano di noi
meridionali, che siamo una razza superiore, inutile dire, troppo
superiore.
Le più belle intelligenze vengono tutte da sotto, inutile dire.
Questiquì del Norde devono fare i conti sempre con noi. Mentre
parlavano, guardavano gli a operai con un'aria di superiorità e
benevolenza.
Incrociammo la fuoriserie di un industriale meridionale:
- Quello 'è padron Pedale! - disse Nicola.
- Quello si che sono soddisfazioni, - seguitò Giuseppe. - Pensate: fa
lavorare piú di quattrocento operai proprio di qui, proprio
settentrionali!
- Però...
- Sono soddisfazioni! - ripetè con voce libidinosa.
Pedale, meridionali non ne vuole nella sua fabbrica...
- Ma se lui è napoletano... - dissi.
- Appunto per quello, - disse Nicola. - Nel suo ufficio sta un cartello.
Sa che dice quel cartello?
- Che dice?
- Dice: vietato l'ingresso ai cani, ai porci, ai terroni! - disse
Nicola, con voce compiaciuta.
Fa male! ' dissi.
Lasciate pèrde, dotto'; fa bene, fa benissimo, -disse Giuseppe; - e poi
non 'è proprio vero che Pedale non dà lavoro ai terroni. Lo dà pure.
Gli fa fare i facchini, i lavori pesanti; spazza' la fabbrica.
Fermò la macchina in una grande corte davanti a una casetta li in
mezzo, che odorava ancora di vernice. La parte sinistra del cortile era
occupata dal pergolato di una trattoria. La parte destra era invece
occupata da piccole fuoriserie; da vespe e lambrette che avevano in
comune specchi e gingilli, carenature metalliche, bardature dorate,
tappetini da salotto.
Sono dei maschi miei! - disse Giuseppe, orgoglioso.
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