ANTOLOGIA - fonti letterarie
GOFFREDO
PARISE - IL PADRONE
(Pag. 46 - 47)
E'
apparso un manifesto, semplicissimo, così semplice e inutile che la
sala d'attesa è piombata nel più grande silenzio: il foglio era
dipinto di rosso e, nel centro, in piccoli caratteri bianchi che
risaltavano contro lo sfondo, il nome della ditta commerciale. Il
pittore sembrava più allegro, i suoi occhi brillavano di gioia al punto
che non seppe trattenersi e scoppiò in una lunghissima risata,
dondolandosi avanti e indietro e poi piegandosi sulle ginocchia.
A mano a mano che la risata del pittore Orazio saliva di tono, il
silenzio di tutti gli altri diventava opprimente. Molti si guardavano
l'un l'altro con apprensione, una ragazza si torceva le mani, il dottor
Max si era fatto ancora più triste e più giallo del solito e Diabete a
passettini quasi invisibili s'era diretto verso il corridoio con la
testa bassa. Ma fu proprio lui con questo movimento a rivelare la
sorpresa. A metà strada ha lanciato un'occhiata di sbieco al pittore e
alla sua opera, come per rimproverarlo, ma poi si è fermato di colpo
con una esclamazione di meraviglia. E' tornato indietro di qualche passo
e sempre guardando il manifesto ha detto soltanto:Oh!. Ancora qualche
passo di lato, è corso vicino al manifesto, lo ha guardato a lungo
puntandovi il naso contro e infine si è sollevato e in tuta la sua
piccola struttura, porgendo la mano al pittore con improvvisa gravità.
“Congratulazioni. Sei un vero artista. Congratulazioni con tutto il
cuore.”
Dopo queste parole, gli impiegati, il dottor Max, e anch'io, ci siamo
mossi dal posto dove stavamo e trattenendo il respiro, ci siamo
avvicinati al manifesto per osservarlo meglio. Nel farlo ho visto che il
manifesto, il cui fondo era uniformemente rosso a quella distanza,
avvicinandosi cambiava gradualmente di colore. Da rosso diventava viola,
poi azzurro, poi nero, creando uno stranissimo effetto ottico per cui
dava l'impressione di venir sostituito sotto gli occhi da una mano
invisibile. Allontanandosi cambiava ancora colore, da rosso diventava
arancione, dall'arancione passava al giallo, dal giallo al bianco su cui
spiccava la scritta della ditta commerciale. Lo stesso che cambiava di
fianco o diagonalmente. Questo effetto strabiliante faceva sì che la
piccola scritta contrastando violentemente con ogni colore che
sopravveniva, balzasse agli occhi con violenza e poi scomparisse per
un istante, per poi ricomparire di altro colore e su altro sfondo. Oltre
a questo fatto, per chi passava accanto al manifesto e rimaneva colpito
da quei mutamenti, il primo era quello di una svista, di un improvviso
difetto ottico o di un mutamento oscuro e minaccioso nelle facoltà
visive. D'istinto, per controllare, uno si ferma, guarda meglio:
vede uno sfondo rosso quando un istante prima gli era parso viola. Fa
ancora un passo. Ora gli appare nero. Ne fa un altro e gli appare
arancione. Pensa a una malattia, a qualcosa di grave che stia
accadendo, il suo lavoro, l'esistenza stessa sono in pericolo, pensa
a una flessione della vitalità (infatti sente il proprio cuore battere
molto più violentemente del solito), a un tumore al cervello, pensa
alla morte. Subito dopo, già pieno di quel pensiero estremo, giralo
sguardo sulla vita che lo circonda e vede tutto come prima: la strada
coi negozi colorati, i filobus verdi, il cielo azzurro. Allora ritorna
con lo sguardo sul manifesto (che nel frattempo, forse, ha cambiato
ancora colore), capisce e, nel dimenticare fin troppo rapidamente la
morte, ricorda tuttavia il nome della ditta commerciale. Questo è
quello che ho provato io e che, sono convinto, hanno provati tutti i
presenti.
Il dottor Max ha parlato per primo. “Molto bello, straordinario.
Formidabile trovata,” ha detto staccandosi dallo stipite e, con le
mani in tasca e gli occhi fissi, avvicinandosi anche lui al manifesto
fin quasi a toccarlo :”Bravissimo”, ha concluso. Tuttavia nella sua
voce e nel modo di lodare il pittore Orazio c'era una riserva che anche
lo sguardo esprimeva chiaramente. La voce era calma, sottile e fin
troppo reticente data la novità rivoluzionaria del manifesto e il modo
con cui essa era apparsa agli occhi cuoi e degli impiegati presenti. Lo
sguardo mostrava una improvvisa noia e perfino stanchezza come se il
dottor Max avesse in realtà desiderato, già in quel momento, di
occuparsi d'altro. Infatti disse ancora: “Bravo, molto bravo. Ma è
sicuro che non ce ne sono in giro? Che non è già un poco scontata
come trovata pubblicitaria? Mi sembra d'aver visto qualcosa di simile da
qualche parte. Non ricordo dove, ma son sicuro d'averlo visto”.
Il pittore Orazio l'ha guardato per un lungo momento, prima fissandolo
bene negli occhi, poi sorridendo ironicamente. Ha staccato lentamente le
puntine da disegno dal manifesto che si è afflosciato sul pavimento.
Poi ha raccolto il manifesto, l'ha rimesso nella cartella lasciandolo
con mano amorevole e ha legato i nastri; infine, sempre sorridendo, si
è rivolto al dottor Max (tutti gli impiegati s'erano dileguati nei loro
uffici con la stessa rapidità con cui erano comparsi).
“Se è così, come non detto. Lo porterò alla M.,” e ha nominato
una grande ditta commerciale. “Per voi ne farò un altro.”
A queste parole il dottor Max si è appoggiato allo stipite della porta
(come deve essere sua abitudine) e lisciandosi i capelli che gli
scendevano sulla fronte ha detto:
“Faccia come vuole, Orazio. Tanto con lei non si può parlare perché
si offende sempre. Le ho detto che è meraviglioso e lei sa che io la
considero un grande artista, il più grande tra i contemporanei. Lei
lo sa e gliel'ho dimostrato migliaia di volte. Ho solo arrischiato una
domanda, senza voler offendere nessuno. Ho detto che mi pareva d'aver
visto qualcosa di simile e non ricordo dove. Forse in sogno. Non ho
inteso dire che lei e un imitatore, o che subisce qualche influenza,
semmai il contrario, sono gli altri, tutti gli altri che tentano sempre
di imitarla senza mai riuscirci. Perché lei è geniale e gli altri no. Ma
lei sa meglio di me che l'arte ormai e nell'aria, in un certo qual modo
è di tutti , che le imitazioni non si contano, che si pseudoartisti, di
artisti che non lo sono affatto e pieno il mondo, e specialmente
questa città. Se lei si è offeso, io non so cosa farci. Fa male a
offendersi perché io tengo troppo a lei. Ma se vuole rivolgersi a
un'altra ditta vada pure, lei è libero, Orazio, come tutti qui dentro.
Io non ho mai messo catene a nessuno e tanto meno a un artista come
lei.”
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