ANTOLOGIA - fonti letterarie
ITALO
CALVINO -
LA SPECULAZIONE
EDILIZIA
(pag. 82 - 87)
Troppo
chiuso in sé e indifferente d'altro ed aspro era il carattere della
vecchia gente di ***. Alla pressione delle pullulanti intorno genti
italiane non resse, e presto imbastardì. La città s'era arricchita ma
non seppe più il piacere che dava ai vecchi il parco guadagno sul
frantoio o sul negozio, o i fieri svaghi della caccia ai cacciatori,
quali tutti loro erano un tempo, gente di campagna, piccoli proprietari,
anche quei pochi che avevano da fare con il mare e il porto. Adesso
invece li premeva il modo turistico di godere la vita, modo milanese e
provvisorio, lì sulla stretta Aurelia stipata di macchine scappottate e
roulottes, e loro in mezzo tutto il tempo, finti turisti, o
congenitamente sgarbati dipendenti dell'"industria
alberghiera".Ma sotto mutate forme, l'operosa e avara tradizione
rurale durava ancora nelle dinastie tenaci dei floricoltori, che in anni
di fatiche familiari accumulavano lente fortune; e l'alacrità
mercantile nel ceto mattiniero dei fioristi. Tutti i nativi godevano
vantavano diritti di privilegiati; ed il vuoto sociale formatosi al
basso attraeva, dai popolosi giacimenti di mano d'opera dell'estrema
punta d'Italia le folle dei cupi calabresi, invisi ma convenienti di
salario, sicché ormai una barriera quasi di razza divideva la borghesia
dalle classi subalterne, come nel Mississippi, ma non impediva ad alcuni
fra gli immigrati di tentare bruschi soprassalti di fortuna salendo alle
dignità di proprietari o fittavoli e insidiando così anch'essi quei
malcerti privilegi.
Pochi guizzi negli ultimi cent'anni aveva avuto la gente rivierasca,
passate le, generazioni mazziniane che credettero nel Risorgimento,
forse mosse dalla nostalgia delle estinte autonomie repubblicane. Non le
riebbero; l'Italia unita non piacque loro; e, disinteressandosene,
brontolando contro le tasse, s'attaccarono più di prima allo scoglio,
salvo a saltar di li nel Sud America, grande loro impero familiare,
luogo delle corse giovanili e dello sfogo delle energie e dell'ingegno,
per chi si trovasse a esuberarne. Sulle riviere s'attestarono gli
inglesi, nei loro giardini. gente posata e individuale, tacitamente
amica di persone e natura così scabre. Vicino, la Francia indorava
Nizza, riempiendo questa riva d'invidia. Era ormai nata la civiltà
del turismo, e la striscia della costa prosperò, mentre l'entroterra
immiseriva e prendeva a spopolarsi. Il dialetto divenne più molle,
con cadenze infingarde; il noto intercalare osceno perse ogni violenza,
assunse nel discorso una funzione riduttiva e scettica cifra
d'indifferenza e sufficienza. Ma in tutto questo si poteva ancora
riconoscere un'estrema difesa dell'atavico nerbo morale, fatto di
sobrietà e ruvidezza ed understantemrnt, una difesa che era
soprattutto uno scrollar di spalle, un negarsi. (Non dissimile
l'atteggiamento poi espresso da una generazione di poeti rivieraschi, in
versi e prose di pietrosa essenzialità che passarono ignoti ai
conterranei e celebrati e malcompresi dalla letteratura dei fiorentini).
Dominante il fascismo, s'accentuò - pur essendo già ben nota -
l'estraneità dello Stato, mentre la cosmopoli degli ibernanti stranieri
cedé, tra le due guerre, a un primo sedimentarsi di genti pan-italiane,
nelle classi alte e nelle basse.
Ora, dopo la seconda guerra mondiale, era venuta la democrazia, ossia
l'andare ai bagni l'estate d'intere cittadinanze. Una parte d'Italia,
dopo un incerto quinquennio o giù di lì, ora aveva il benessere, un
benessere sacrosantamente basato sulla produzione industriale, ma pur
sempre difforme e disorganico data l'economia nazionale squilibrata
e contraddittoria nella distribuzione geografica del reddito e
sperperatrice nelle spese generali e nei consumi; però, insomma, sempre
era benessere, e chi ce l'aveva poteva dirsi contento. Quelli che più
potevano dirsi contenti (e non si dicevano tali, credendo fosse loro
dovuto molto di più, che invece o non meritavano o non era né
possibile né, giusto che avessero) dai centri industriali del Nord
tendevano a gravitare sulla Riviera e particolarmente su ***. Erano
proprietari di piccole industrie indipendenti (se alimentari o tessili)
o subfornitrici d'altre più grandi (se chimiche o meccaniche),
dirigenti aziendali, direttori di banca, capiservizio amministrativi
cointeressati agli utili, titolari di commerciali, operatori di borsa,
professionisti affermati, proprietari di cinema, negozianti, esercenti,
tutto un ceto intermedio tra i detentori dei grossi pacchetti azionari
ed i semplici impiegati e tecnici, un ceto cresciuto al punto da
costituire nelle grandi città delle vere e proprie masse, la gente
insomma che poteva acquistare in contanti o ratealmente un alloggio al
mare (oppure affittarlo per stagioni o annate intere, ma questo era
meno conveniente) e anche che aveva voglia di farlo, aspirando a vacanze
relativamente sedentarie (non per esempio a grandi viaggi o cose
estrose) che poi con la macchina si potevano movimentare
vertiginosamente, perché in un salto si poteva andare a prendere
l'aperitivo in Francia. Ormai a *** i ricchissimi venivano solo di
passata, in corsa tra un Casinò e l'altro, e nello stesso modo veloce
ci venivano gli operai delle grandi industrie, in “lambretta”, a
ferragosto, con le mogli in pantaloni cariche dello zaino sul sedile
posteriore, a fare il bagno stipati nelle esigue strisce di spiaggia,
ripartendo poi per pernottare nelle pensioni più economiche d'altre
località della costa. Più a lungo si fermava l'esercito sterminato
delle dattilografe e impiegate contabili in shorts che occupava le
pensioni locali con dietro il codazzo della gioventù studiosa o
ragioniera, gloria dei dancings.
Ma questo era solo per lo stretto tempo delle ferie: la colonia
stabile di *** era costituita da quel ceto medio-borghese che s'è
detto, abitatore d'agiati appartamenti nelle proprie città e che
qui tale e quale riproduceva (un po' più in piccolo; si sa, si è al
mare) gli stessi appartamenti negli stessi enormi isolati
residenziali e la stessa vita automobilistico-urbana. In questi
appartamenti ai mesi freddi venivano a svernare i vecchi: genitori,
nonni, suoceri, che prendevano il sole di mezzogiorno sulle passeggiate
a mare come già quarant'anni prima i granduchi russi tisici e i milord.
E alla stagione in cui un tempo i milord e le granduchesse lasciavano la
Riviera e si spostavano nelle ombrose Karlsbad e Spa per la cura delle
acque, ora negli appartamenti balneari ai vecchi davano il cambio le
signore coi bambini e per i mariti occupatissimi cominciava la corvée
delle gite tra sabato e domenica.
Era una folta Italia in tailleur, in doppiopetto, l'Italia ben
vestita e ben carrozzata, la meglio vestita popolazione d'Europa, quale
contrasto per le vie di * * * con le comitive goffe e antiestetiche dei
tedeschi inglesi svizzeri olandesi o belgi in vacanza collettiva,
donne e uomini di variegata bruttezza, con certe brache al ginocchio,
coi calzini nei sandali o con le scarpe sui piedi nudi, certe vesti
stampate a fiori, certa biancheria che sporge, certa carne bianca e
rossa, sorda al buon gusto e all'armonia anche nel cambiar colore.
Queste falangi straniere che, avide di bagni fuori stagione, prenotavano
alberghi interi succedendosi in turni serrati da aprile a ottobre (ma
meno in luglio e agosto, quando gli albergatori non concedono sconti
alle comitive) erano viste dagli indigeni con una sfumatura di
compatimento, al contrario di come una volta si guardava il forestiere, messaggero
di mondi più ricchi e civilmente provveduti. Eppure, a incrinare la
facile alterigia dell'italiano ben messo, disinvolto, lustro,
esteriormente aggiornato sull'America, affiorava il senso severo
delle democrazie del Nord, il sospetto che in quelle ineleganti
vacanze si muovesse qualcosa di più solido, di meno provvisorio, civiltà
abituate a concludere di più, il sospetto che ogni nostra
ostentazione di prosperità non fosse che una facile vernice sull'Italia
dei tuguri montani e suburbani, dei treni d'emigranti, delle pullulanti
piazze di paesi nerovestiti: sospetti fugacissimi, che conviene
scacciare in meno d'un secondo.
A Quinto tutti questi sentimenti insieme, ed un tardivo culto della
rustica fierezza delle generazioni antiche (che la memoria del padre da
poco morto, vecchio da poter essergli stato nonno, tipico superstite di
quel ceppo, gli avvicinava) rendeva vieppiù estranea la *** d'oggi. Ma
al solito volendo contrastare se stesso (in una scherma dove ormai non
si sapeva più che cosa di lui fosse autentico e cosa coartato) si
persuadeva che proprio la nuova borghesia degli alloggetti a *** fosse
la migliore che l'Italia potesse esprimere.
Intruppato in questa folla civile, realizzatrice, adultera, soddisfatta,
cordiale, filistea, familiare, bemportante, ingurgitante gelati, tutti
in calzoncini e maglietta, donne uomini bambini giovanetti nell'assoluta
parità delle età e dei sessi, in questo fiume pingue e superficiale
sull'accidentata realtà italiana, Quinto si disponeva a passare
l'estate a ***.
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