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CAPO ORSO

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IL SIMBOLO DELLA DISTRUZIONE di Capo Orso in piedi, Sioux

Non mi risulta di alcuna specie di pianta, uccello o animale, che fosse sterminata prima dell’arrivo dell’uomo bianco. Ancora per parecchi anni dopo che il bufalo fu sparito, restarono enormi branchi di antilopi, ma non appena il cacciatore ebbe compiuto la sua opera di distruzione del bufalo, ecco che la sua attenzione fu attratta dai daini: adesso ve ne sono ancora in abbondanza solo nei luoghi dove sono protetti. L’uomo bianco aveva per la vita animale del continente la stessa considerazione che aveva per l’uomo che lo abitava: per lui erano “peste”. Anche certe piante che l’indiano considerava utilissime, erano “peste”. Una parola, della quale, nella lingua dei Lakota, non esiste l’equivalente.

V’era una grande differenza nell’atteggiamento degli indiani da una parte e dei caucasici dall’altra, verso la natura; una differenza consistente nel fatto che gli uni erano portati a conservare, e gli altri a distruggere la vita. L’indiano non meno di tutti gli altri esseri che nascono e che crescono, era nutrito dalla madre di tutti, la Madre Terra. Egli si sentiva quindi consanguineo di tutte le cose viventi e concedeva a tutte le creature gli stessi suoi diritti. Ogni cosa, sulla faccia della terra, era oggetto d’amore e di rispetto. La filosofia del caucasico, invece, era questa: “Le cose sulla terra sono terrene”, cose dunque da tenere in non cale e da disprezzare. Dal momento che attribuiva a se stesso titolo e posizione di essere superiore, nel suo pensiero le altre creature godevano, per forza di cose, d’un titolo e d’una posizione inferiore; e quest’atteggiamento condizionava tutte le sue azioni nei confronti delle cose. L’unico degno di vivere, l’unico che ne avesse il diritto, era lui, e di conseguenza egli spietatamente distruggeva. Le foreste furono abbattute, il bufalo sterminato, il castoro fu ridotto a pochi esemplari superstiti, e le sue dighe meravigliosamente costruite vennero fatte saltare con la dinamite, permettendo alle acque alluvionali di distruggere vaste estensioni coltivate, mentre gli uccelli dell’aria erano ridotti al silenzio. Le grandi praterie erbose che addolcivano l’aria sono state sconvolte; le fonti, correnti e laghi che ancora vivevano quand’io ero ragazzo, sono stati prosciugati, e un popolo intero condannato alla degradazione e alla morte. L’uomo bianco è diventato il simbolo della distruzione dell’intera natura di questo continente. Fra lui ed il mondo animale non c’è rapporto alcuno, e le bestie hanno imparato a fuggire quando lo vedevano avvicinarsi perché non possono vivere sullo stesso suolo.

Poiché non era in grado, e in certi casi rifiutò, di accettare completamente i costumi dell’uomo bianco, tanto contrari alla sua tradizionale educazione, l’indiano si guadagnò la nomea  di pigro. L’indiano continuò a preferire le sue usanze tribali soprattutto a causa delle delusioni da parte dell’uomo bianco, la cui soperchieria e debolezza di carattere riempì di diffidenza il suo animo. L’indiano dunque s’attaccò alla sue costumanze e religioni indigene, alla quali del resto non riuscirebbe ad apportare che ben pochi mutamenti; e così l’indiano,  che aveva condotto una vita attivissima e aveva raggiunto un altissimo grado di perfezione fisica si vide considerato come l’essere più indolente che vi fosse. E questa reputazione per falsa che sia, è diventata ormai, per il grosso pubblico, un luogo comune.

TITOLO: Sul sentiero di guerra
AUTORE: Hamilton Charles 
DATA EDIZIONE: 1977
CASA EDITRICE: Feltrinelli Economica
LUOGO: Milano

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