Essa porta a compimento e
amplifica la rivoluzione francese e naturalmente porta a compimento e
amplifica le sue contraddizioni. Essa contesta qualsivoglia idea di ordine
sino a promulgare l'estinzione dello Stato. Essa proclama con ciò la
piena e assoluta uguaglianza tra gli uomini e la ripulsa assoluta di ogni
forma di discriminazione e repressione politica. Non solo. Essa
individua nel diritto di proprietà l'origine di ogni disuguaglianza
sociale e politica e ne proclama l'abolizione. Tali finalità vengono
tuttavia perseguite attraverso un dispiegamento mai prima di allora visto
di moderno terrore: e cioè attraverso la privazione non solo della
proprietà ma dell'onore, della libertà e della vita di un grandissimo
numero di persone, associata a una analoga azione «sullo stesso piano»
verso quadri politici, militari statali. Il nuovo grande terrore
contemporaneo. A ciò, nel passaggio da Lenin a Stalin, si aggiunge il
fatto che le esigenze dell'ordine, astrattamente rifiutate, si
prendono la rivincita, inducendo il dittatore georgiano e reintrodurre
elementi di repressione culturale, sociale e politica e a metter mano a un
processo di inaudita concentrazione di potere statale a partire dalla
sfera economica.
Il contraccolpo dei nazionalsocialismo
La svolta terrorista impressa dalla rivoluzione
bolscevica alla storia d'Europa ha inevitabilmente un suo contraccolpo,
che prende corpo nella nazione «di centro» e al centro delle attenzioni
bolsceviche in vista della nuova tappa della epifania rivoluzionaria: la
Germania. Qui è proprio la paura del terrore a scatenare la reazione. La
paura, delle donne, di perdere la propria verginità o il proprio onore,
che rinfresca la memoria di una analoga paura legata al terrore prodotto,
nella Ruhr dalla prima guerra mondiale. La paura di ogni ceto sociale di
perdere, per via del terrore, quanto accumulato attraverso il proprio
lavoro e garantito dall'ordine statale. La paura delle classi alte di
perdere i propri privilegi e della cittadinanza tutta di vedere infine
cancellata la propria civiltà. La paura di molti di fronte alle notizie
di torture e stermini di massa perpetrati dal potere bolscevico. Vi è un
accumulo di paura per il terrore promesso e dispiegato dalla rivoluzione
che viene catalizzato da Hitler e dal nazionalsocialismo. E' questa
emozione fondamentale, intimamente difensiva, che dà l' avvìo a quella
che è stata definita l'epoca dei fascismi. E che ideologicamente si
configura come resistenza della proprietà e dell'acquisito, della libertà,
della vita e della tradizione contro l'espropriazione e il collettivismo,
L' eguagliamento assoluto e l'asservimento di tutti allo Stato; come lotta
della identità nazionale, radicata nella propria terra e nel sangue
contro il cosmopolitismo multietnico e sradicato, della civiltà europea
contro l' asiatismo, ma anche del capitalismo nazionale contro quello
globale, dell'ordine statale contro il sovversivismo terrorista. Infine
come lotta tra un conservatorismo estremízzato e un progressismo
estremizzato.
Da questo punto di vista si comprende come il
concetto di totalitarismo sia del tutto incapace di dare effettivamente
conto della genesi e della morfologia dello Stato bolscevico e staliniano,
da un lato, di quelli nazi-fascisti dall'altro.
Il terrore ugualitario fu la sostanza del primo la
reazione autoritario militare quella del secondo. La dissoluzione
dell'ordine borghese fu la sostanza del primo la sua difesa quella del
secondo.
Naturalmente, essendo questa una contrapposizione
dialettica di antica data (risalente come abbiamo visto alla rivoluzione
francese), il bolscevismo, con Stalin, fu costretto a far proprie alcune
ragioni del campo opposto: la tradizionale repressione politica, l'ordine
di fabbrica, l'ordine familiare etc., in certa misura persino la proprietà.
Il secondo fu non ugualmente costretto e tuttavia indotto, passando da una
fisionomia conservatrice-autoritaria a una di fatto eversiva, quanto meno
dell'ordine europeo ma al fondo della sua stessa civiltà, a copiare
alcune caratteristiche del nemico: il metodo del terrore e quello di un
certo universalismo (germanico). Sino a negare tradizione, libertà e
persino, in certa misura, la proprietà. E qui, come studio dei modelli
organizzativi degli Stati, a prescindere cioè dalla loro genesi, il
concetto di totalitarismo può avere un senso.
|
Due conseguenti osservazioni
La prima è che se nell'originaria contrapposizione
al bolscevismo in nome del diritto acquisito, dell'onore, della libertà
personale, dell'identità nazionale, della terra, del sangue e dell'ordine
statale i diversi fascismi sono accomunabili, nella finale
contrapposizione, voluta da Hitler, tra due universalismi fondati sul
terrore e sul fattore militare, e infine sulla logica di sterminio, i
diversi fascismi (hitleriano, mussoliniano, franchista etc.) sono assai
dissimili tra loro. Al punto che se è possibile definire fascismo e
franchismo come regimi autoritari e illiberali è più problematico
definirli totalitari proprio perché infine non aspirano a un
universalismo.
La seconda è che l'antiebraismo di Hitler, culminato
nell'Olocausto, non fu una azione di repressione politica esercitata
dall'alto verso il basso. Essa fu rivolta a un popolo considerato
temibile perché di alto rango. Considerato spiritualmente responsabile,
per via del suo messianismo universalistico, sia del capitalismo globale
sia della rivoluzione socialista (cioè, appunto, dei due grandi
processi storici universalistici), considerato alla testa di Wall Street e
del Cremlino, essendo constatabile empiricamente che forte era la presenza
ebraica nella élite di Wall Street e insieme in quella bolscevica. E
tuttavia se già l'identificazione operata tra ebraismo, bolscevismo e in
certa misura capitalismo internazionale appare un passaggio forzato oltre
ogni misura, quel che appare non razionalmente conseguente e infine come
frutto di un meccanismo di autentica follia è il Passaggio dalla
contrapposizione allo spirito antigiudaico all'idea dello sterminio di un
popolo. All 'Olocausto. Se anche non risulta definitivamente chiarito se
vi fu un piano di soluzione finale, se ancora non è stato
contestualizzato a sufficienza lo sterminio degli ebrei nel quadro di una
fase di guerra estremamente dura, dove era difficile tenere in vita i
propri soldati e tanto più, quindi, i prigionieri, resta il fatto che
Hitler e il gruppo dirigente nazionalsocialista promossero una
persecuzione su base ideologica del popolo ebraico già prima di quelle
fasi drammatiche, e che tale opera sfociò nel più drammatico genocidio
consumato nell'Europa moderna.
Considerazioni conclusive
La prima è che i cosiddetti Stati totalitari del
Novecento sono straordinariamente diversi tra loro quanto a struttura,
genesi storica responsabilità morali e politiche, al punto che lo
stesso concetto di totalitarismo, come si è detto, se ha una utilità
normativa in quanto consente di creare uno spartiacque tra sistemi
democratici, se consente di individuare alcuni meccanismi comuni legati
all'esercizio del terrore, alla manipolazione e mobilitazione delle masse,
a un certo uso dei nuovi mezzi mediatici di propaganda, se serve a individuare
meccanismi simili di funzionamento tra gli Stati opposti, quello nazíonalsocialista
e quello bolscevico, non ha tuttavia una grande funzione esplicativa
riguardo genesi e dinamica politica dell'Europa della prima metà del
Novecento.
Da questo punto di vista, la storiografia più recente ha non solo
evidenziato le differenze tra «fascismi» ma ha anche messo in luce un
rapporto di causa/effetto tra bolscevismo e nazionalsocialísmo.
La seconda considerazione è che il
nazionalsocialismo tedesco pur potendosi con molte ragioni considerarsi
una reazione provocata dal bolscevismo e al suo inaudito regime di
terrore,
ha però sopravanzato quello, proprio quanto a esercizio del terrore,
giungendo all'Olocausto.
La terza considerazione è che l'Europa e la sua
civiltà hanno pagato un altissimo prezzo per il fenomeno nazista e che in
modo ancora più speciale tale prezzo è stato pagato da quello che si può
in estrema sintesi definire lo spirito conservatore europeo.
Una quarta considerazione, volta più al futuro, può
essere aggiunta. La rivoluzione bolscevica nacque e si propagò a partire
dall'idea dell'abolizione della proprietà privata e scatenò una reazione
perfettamente comprensibile nella sua genesi anche se inaccettabile nei
suoi effetti. Tuttavia, la spinta bolscevica nasceva anche dal fatto che
il diritto di proprietà è rimasto a lungo legittimato in chiave
metastorica (si veda il riferimento a Locke). In altre parole tale diritto
non è stato giustificato in chiave storica o di utilità sociale. E vi
è naturalmente una ragione di principio per ciò, oltre che molteplici
spiegazioni storiche. Infatti il diritto di proprietà appare per un verso
incorporato nel diritto alla libertà personale e alla vita, talché ove
esso viene integralmente abolito, all'uomo si sottrae ogni dignità. E
tuttavia esso è anche mezzo di accumulazione sociale e un medium del
progresso economico e in tal senso esso è parte di una più ampia cerchia
di socializzazione entro la quale va legittimato. Questo carattere anfibio
della proprietà fa sì che se l'uguaglianza tra gli uomini o l'uguale
diritto alla vita appaiono immediatamente ed evídentemente diritti
naturali non è altrettanto evidente che ciò sia vero riguardo alla
proprietà anche se non si può dire che ciò suoni totalmente falso. E in
effetti il diritto alla proprietà non era incondizionatamente considerato
diritto naturale neanche dai teorici classici del giusnaturalismo.
In
questa inclusione o esclusione del diritto di proprietà dalla sfera dei
diritti inalienabili dell'uomo è il nocciolo del tremendo conflitto della
prima metà del Novecento europeo e questo lo rende qualcosa di
estremamente serio e di non demonizzabile. E ancora oggi, se la democrazia
appare universalmente riconosciuta come il sistema più omogeneo all'uomo
in quanto fondato sulla legge di natura, non altrettanto pacifico è il
giudizio sul meccanismo economico che sottende quel sistema
politico e cioè il capitalismo fondato appunto sulla proprietà privata.
Proprio su questo punto si stanno riaprendo grandi conflitti in
grado di minacciare la democrazia politica e la stessa convivenza
pacifica nel mondo ( vedi questione Iraq )
. Si può presumere, infatti, che quel nocciolo duro potrebbe produrre
l'energia sufficiente allo scatenamento di conflitti globali a espressione
religiosa, etnica, tra civiltà.
Le odierne teorie del capitalismo democratico o
dell'economia sociale di mercato possono essere utili a disinnescare tali
potenziali. Ma questo, naturalmente, è solo un auspicio. Resta il fatto
che non comprendere le ragioni di chi scatenò conflitti devastanti nel
secolo scorso non è un buon viatico per padroneggiare i conflitti che già
si annunciano su scala persino più larga nel secolo che si è appena
aperto.
Deportazione
|
|