L’11 ottobre del ’44, su ordine del comando tedesco, coordinato dal capitano
Stangl con l’attiva partecipazione della polizia italiana, i cinque pazienti ebrei
dell’ospedale psichiatrico di S.Clemente ed i sei ricoverati di religione ebraica
presso l’O.P veneziano di S. servolo, furono prelevati per essere prima custoditi
coattamente presso l’ospedale civile, che divenne un vero e proprio lazaretto
prigione per gli israeliti malati e poi condotti al campo di concentramento di Birkenau.
Se si guarda alle vicende personali dei singoli soggetti, la cui ricostruzione
storico-documentale è dovuta al lavoro certosino degli studiosi Angelo Lallo e Lorenzo
Torresini, ci si rende conto di come all’indomani delle leggi razziali, anche in
Italia il malato mentale, specie se ebreo, fu sottoposto ad una vera e propria eutanasia
sociale, ne mancarono peraltro i tentativi di salvataggio da parte di singoli medici ed
operatori sanitari.
Esemplare a questo proposito, appare il caso del paziente M.l. sulla cui identità
ebraica, si erano avuti all’inizio forti dubbi. Il paziente in questione, sfollato da
Palermo, non presentava chiari sintomi di malattia mentale, ma solo un disorientamento da
postumi di bombardamento.
Fu ricoverato in ospedale psichiatrico, presumibilmente con documenti falsi, nel
tentativo di sottrarlo ad eventuali retate. Si sospetta che il direttore della casa di
cura, fosse a conoscenza dell’escamotage.
La cattura dei degenti ebrei, come di tutta la popolazione ebraica del Veneto fu
possibile a causa dell’intensa opera di delazione dell’ebreo Mauro Grini, noto
alla polizia e al comando tedesco, col soprannome di Signor Manzoni, che non si faceva
certo di denunciare i propri correligionari.
Per parte sua, il presidente della comunità ebraica veneziana Giuseppe Jona, dopo le
leggi razziali, essendo stato costretto a fornire gli elenchi della comunità, si tolse la
vita.
Dal ’38 al ’44, quando possibile i malati ebrei veneziani furono in qualche
modo preservati dall’accoglienza e dal supporto della casa di riposo israelita, che
nulla potè, comunque, al momento della deportazione.
La lettura delle prove documentali dimostra come ben pochi dei ricoverati ebrei di S.
Servolo e S. Clemente, presentassero vere e proprie patologie mentali. In alcuni casi si
trattava di gente perfettamente integrata nel tessuto sociale e, come nel caso del
paziente, G.R., nato in Turchia, financo iscritta ai fasci di combattimento, cui le leggi
razziali inflissero un trauma psichico difficilmente sanabile.
Questo ad ulteriore riprova che le leggi razziali e la Shoah furono, prima di tutto,
alienazione sociale ed individuale della persona umana.
Caricati sui carri bestiame per Birkenau, degli 11 pazienti ebrei di Venezia non si
seppe più nulla. Alcuni compresero ciò che li aspettava, altri salirono felici e ignari
sui convogli.
Ai direttori dei manicomi arrivarono anche cartoline di saluto dai campi, non si sa se
per comprovare un’esecuzione o per che altro. Le cartoline erano in realtà parte
integrante di quel processo di dissimilazione della verità storica che abbiamo visto
essere caratteristica del regime nazista. Molto probabilmente, gli undici degenti
psichiatrici furono trucidati all’arrivo. I loro documenti, le loro tracce, furono
bruciati. Le loro vite, cancellate. Come tutti i disabili, secondo i nazisti, non erano
mai vissuti.