L’ERBA NON CRESCEVA AD AUSCHWITZ

Autrice: Mimma Paulesu Quercioli

Mimma Paulesu Qurcioli è nata a Ghilerza (Oristano) e vive a Milano, dove ha insegnato per quasi trent’anni.

L’autrice giustamente non interviene con un proprio commento, lasciando che le storie parlino da sole. Non è necessario infatti esprimere delle proprie emozioni, perché soltanto sentendo la parola Auschwitz si capisce molto.
Ha preferito che siano stati a scrivere la presentazione e la prefazione due persone le quali hanno contribuito a trovare fotografie che testimoniano episodi sconcertanti di donne e bambini.

La presentazione è stata scritta da Gianfranco Maris (Presidente Nazionale dell’ ANED, una Associazione Nazionale degli ex Deportati ). 
Ha spiegato in un primo momento senza ombra di dubbio che la deportazione femminile nei campi di sterminio ebbe peculiarità che la resero più disumanizzante e tragica . Peculiarità che contrassegnarono anche il tempo del ritorno, il reinserimento nella famiglia e nella società, più doloroso, più circonfuso di diffidenza e di incomprensione rispetto a quello dell’uomo. Egli ci vuol far capire anche che, purtroppo, questa brutta guerra è stata vissuta e anche se passano gli anni, tutte le ingiustizie e il dolore che ha subito la povera gente, non devono essere dimenticate. Gianfranco Maris ha voluto anche fare un esempio di ragazzi che alla proiezione del film " Schindler’ s List" a Genova hanno riso quando non era proprio il caso. In conclusione evidenzia che la pietà per tutti coloro che sono morti su un campo di battaglia, nel corso di una guerra è un sentimento antico e difficile da interpretare oggi, ma noi e le future generazioni dovremo sempre saper distinguere il male dal bene e il giusto dallo sbagliato, perchè nessuno deve essere uno "strumento cieco" di qualsiasi, cioè deve essere al corrente di tutto quello che è successo in passato, per fare sì che non si ripetano degli sbagli.

La prefazione invece è stata scritta da Silvia Vegetti Finzi. In questa introduzione non ha voluto spiegare in modo dettagliato la storia, ma come Maris ci vuole fare riflettere facendoci domande, per esempio chiedendo se veramente tutti noi sappiamo che cosa è accaduto.
Prima di tutto si deve ricordare che quel cumulo di dolore innocente, non può essere posto fuori dal tempo e dallo spazio della storia, perché nulla ci garantisce che l’orrore non ritorni, magari sotto una maschera differente. Per aiutare noi stessi possiamo recuperare i frammenti di memoria che si celano sotto il silenzio che da tanti anni cerca di soffocarli.
Bisogna avere anche quella forza di volontà "di saper cogliere i fatti ", cioè oggi ci sono ancora testimoni di questa tragica guerra, che hanno voglia di sfogarsi raccontando (come Nuto Revelli ); perchè allora non potremmo aiutarli?.

Questo libro è diviso in quattro autobiografie di donne segnate dalla terribile esperienza della deportazione e vengono esposti i fatti nella loro nuda drammaticità.
Arianna, Loredana, Teresa e Zita in quel tempo erano giovani e pronte ad avere una propria gioventù; ma questo fatto sconvolgente ha turbato la loro vita, il dolore è sempre bruciante e Auschwitz ritorna a rovinare i loro sogni.
Tutte e quattro avevano un carattere diverso tra loro e diversi anche i loro ideali.

Arianna era una bambina cattolica , ma suo padre era un ebreo.Era molto ingenua e molto candida. A parte questo era molto dolce con sua madre e non riusciva mai a tenere un segreto.

Loredana invece, non stava molto bene come condizione economica e così già fin da piccola diventò una brava lavoratrice. L’unico suo problema forse era l’amore che non aveva mai avuto da sua madre e perfino da suo marito (pag. 70 ) e oggi quello che ancora più la rattrista è il disinteressamento dei suoi figli e dei suoi nipoti nei suoi confronti ( pag. 72 ).L’unico posto in cui si trova a suo agio è l’Associazione Deportati , ma i suoi ricordi le pesano sempre sul cuore, le amarezze di ieri e di oggi. 

Zita ha un carattere ribelle alle ingiustizie, non le era congeniale una sofferenza silenziosa e passiva, infatti dopo qualche tempo decise di vendicarsi per i disagi subiti e fece causa a governi e stati, soprattutto a quello tedesco ottenendo una vera giustizia. Da quel giorno Zita fu molto contenta e iniziò a scrivere poesie. I suoi genitori erano ebrei ungheresi. Per i problemi che si riscontravano nella Repubblica dell’Ungheria si trasferirono a Milano ma per questioni finanziarie causate dalla morte di suo padre ritornarono in Ungheria; qui decise di essere battezzata cattolica, ma questo non cambiò le cose, perchè fu presa e portata in Germania nel lager di Auschwitz, così per lei iniziò il periodo inaspettato della guerra. I suoi spostamenti non furono molti, perchè arrivata in questo terribile posto fu deportata per questioni di lavoro a Lippstadt. Nei lager era riuscita a fare molte amicizie, tra qui una ragazza sedicenne francese di nome Marcelle, che incontrò perché come Zita le piaceva cantare e faceva parte dei musicisti del lager. Questa amicizia però non durò molto, perché Marcelle fu portata via...(pag. 123). Zita credeva molto in Dio e fino alla fine pregò, per fare sì che presto venisse salvata; infatti dopo un po’ di tempo gli americani liberarono tutti i prigionieri. Nei suoi pensieri non c’era la speranza di rivedere sua madre, sua sorella e suo nipote(anche loro deportati), perché era sicura che non li avrebbe più rivisti.

Il libro è formato, come s’è detto, da quattro autobiografie, le quali hanno un po’ una trama simile; l’autobiografia è un modo completo che fa capire direttamente i sentimenti, il dolore; la drammaticità insomma.

Penso che la curatrice abbia voluto riportare queste autobiografie, perché è molto importante ricordare oggi che la guerra c’è stata e che molta gente ha sofferto e come dice Gianfranco Maris nella presentazione dobbiamo sapere tutto quello che è successo in passato per far sì che non ci siano altri disastri.