L'ESILE FILO DELLA MEMORIA
L'autrice
è Lidia Beccaria Rolfi, un'ex insegnante che venne deportata in Germania
dai tedeschi e portata in un lager di Ravensbruck nel 1944.
Venne liberata dagli Alleati un anno dopo iniziando una lunga marcia verso
l'Italia.
Prima di ritornare nel suo Paese (Mondovì, in Piemonte), però,
gli americani trasferirono i deportati in un paese di nome Hagenau e Lidia
che aveva solo 20 anni, fu sistemata in una baracca insieme ad una tedesca
chiamata la Frau. Rimase lì giorni, settimane, quando un giorno chiamarono
a raccolta tutti gli italiani con un megafono e li fecero salire su diversi
camion, iniziando a dirigersi verso il nord. Si ricorda, però, che
gli autisti non erano più americani, ma inglesi.
Intanto arrivarono a Lubecca, sempre più lontani da casa, fino quando
ad un tratto i camion si fermarono davanti ad un orribile fabbricato. Lì
si accamparono per altri giorni.
Lidia si scelse una delle baracche abbandonate, che doveva essere l'infermeria,
infatti c'era un lettino, un lavandino con acqua, un water, un tavolino e
due sedie.
Finalmente dopo tanti giorni riuscì a ripulire i foruncoli, le piaghe
e lavare la biancheria sporca.
Quella notte rimase sveglia; era una notte chiara e vide la luna, era tanto
che non la guardava, ed era così bella che le dava appuntamento ogni
sera per cinque minuti.
Ripartirono viaggiando per parecchi chilometri ed entrarono ad Amburgo. Si
era detto che fosse stata una bella città, ma ormai era solo un cumulo
di macerie: si potevano vedere solo case distrutte dai bombardamenti, muri
solitari e non c'era più gente che camminava per le strade, sembrava
un deserto. Attraversarono tutta la città e ancora una volta entrarono
in un lager dove venivano concentrati tutti gli italiani che si trovavano
a Nord. Fecero partire gli internati, mentre le donne le raggrupparono in
baracche in attesa della loro tradotta, ma rimasero in attesa per mesi. Avevano
dormito in una baracca buia e fetente; in quella città non si vedeva
anima viva. L' autrice la descrive come una città di morti.
Alla fine, però, quest'incubo finì perché finalmente
arrivò il momento di partire.
Il treno si fermò a Mittwalde e da lì continuarono il tragitto
con i camion.
Arrivarono in galleria e l'emozione per Lidia era sempre più forte,
c'era silenzio perché all'uscita di essa sarebbero stati in Italia.
Si fermarono a Pescantina ed è qui che si riunirono in due gruppi.
Lidia andò nel primo che avrebbe portato tutti gli ex detenuti a nord
d'Italia: precisamente a Milano. Arrivati lì dovevano tutti arrangiarsi,
chi non aveva la famiglia andava in un centro di assistenza.
Lidia prese il treno per Mondovì e finalmente dopo tanto tempo
riabbracciò i suoi cari, che erano in lacrime.
Raccontò a loro la sua brutta storia avvenuta nel lager e continuò
a pensare e ripensare a quei brutti momenti.
Doveva cercare di dimenticare il passato e pensare al presente.Le venne in
mente, quindi, di cercarsi un lavoro, ma non fu cosa facile.
Dovette fare molti sacrifici prima di ricominciare ad insegnare; non tutti
gli sforzi furono perduti, infatti dopo molto tempo riprese a lavorare in
una scuola a Racconigi.
Nel mese di ottrobre si sposò e venne al mondo suo figlio, per un
po' di tempo si illuse di aver scacciato i fantasmi, ma non fu così.
Penso che l'autrice abbia pubblicato il libro per testimoniare cose realmente
accadute, per far notare alla gente quanto abbiano sofferto e come dice lei:
"queste sono cose che non si dimenticano facilmente." |