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forma di regime politico nella quale l'autorità sovrana
esercita il potere senza dipendere o venire controllata da altre istanze,
superiori o inferiori. Ciò non significa però che il detentore del potere,
definito peculiarmente legibus solutus (sciolto dalle leggi), sia del
tutto privo di limiti alle proprie decisioni. Rimangono infatti per lui
vincolanti sia le regole fondamentali consuetudinarie del regno, sia la legge
naturale e quella divina. La specificità dell'assolutismo, che lo rende diverso
da una dittatura o da una tirannide, può essere colta solo prestando attenzione
a una forma storicamente determinata di organizzazione del potere: quella dei
moderni Stati monarchici europei dal sec. XV al XVII.
Paradossalmente, il termine assolutismo sorse tra la fine
del '700 e la prima metà dell'800, proprio nel momento in cui il fenomeno
corrispondente si esaurì con la rivoluzione francese. Il vocabolo intendeva definire gli
aspetti negativi del potere monarchico illimitato. Meno agevole è identificare
l'origine dei regimi assolutistici, anticipazioni dei quali potrebbero essere
individuate già tra il sec. XIII e il XV. Per certo l'età peculiare
dell'assolutismo va collocata tra il sec. XVI e il XVIII, con lo sviluppo delle
grandi monarchie nazionali europee (sebbene esistessero talvolta notevoli
differenze tra gli assolutismi francese, inglese e tedesco). Sebbene non si
usasse direttamente la parola assolutismo questa politica venne anche espressa
in termini teorici da pensatori quali Jean Bodin e Thomas Hobbes.
Tratto comune di queste esperienze storiche fu la tendenza
dei sovrani a concentrare nella propria persona tutti i poteri statali, anche se
con forme e modalità operative diverse (l'assolutismo di Luigi XIV di Francia
fu fondato sul diritto divino, mentre quello di Federico II di Prussia fu
ispirato ai princìpi illuministici).
Altri aspetti salienti dell'assolutismo si manifestarono come tendenze di lungo
periodo. Tale fu l'emancipazione definitiva degli Stati (o delle monarchie) dai
poteri "universali", come l'impero e il papato, connessa con il
processo di separazione della politica dalla teologia e dalla religione. Un
altro esito dell'assolutismo fu l'avvento definitivo di una burocrazia e di
un'amministrazione unitarie, che tesero a ridurre al minimo la sfera d'azione e
l'autonomia degli organi locali e la loro volontà di concorrere alla politica
centrale. La funzione legislativa fu avocata allo Stato, realizzando un passo
decisivo verso l'unificazione del diritto (creatura del re, e quindi sempre
riformabile) e la soppressione delle consuetudini e dei vincoli tradizionali. Si
affermò un esercito di tipo moderno, permanente e con ordinamento uniforme. Vi
fu la tendenza a sottomettere le Chiese nazionali – anche se non senza
contrasti – al potere sovrano dello Stato (gallicanesimo francese o Chiese
riformate di Stato tedesche). Si attenuò progressivamente il sistema feudale, e
l'aristocrazia terriera fu sostituita da una nuova nobiltà , senza tradizioni
ed elevata a tale rango dal favore del monarca. Strettamente collegato a queste
trasformazioni fu il continuo aumento di importanza della ricchezza monetaria e
mobiliare.
Per molti versi e con non poche contraddizioni, infine,
l'assolutismo funse da "incubatrice" per la formazione del
nazionalismo: il consenso e la coesione di genti anche di etnie diverse attorno
alla figura di un sovrano preparano il manifestarsi di un sentimento nazionale
che verrà alla ribalta, con modalità clamorose e opposte alla visione
assolutista, nella rivoluzione francese. Emblematica al riguardo fu l'esperienza
unificatrice che proprio la Francia visse sotto il regno di Luigi XIV.
Questa politica di razionalizzazione del potere portò con sé indubbi aspetti moderni. I sovrani illuminati nel '700 compirono, per esempio, opera di straordinaria importanza per la realizzazione di un sistema giuridico uniforme e organico: la riforma del diritto civile iniziata da Maria Teresa d'Austria portò nel 1788 alla pubblicazione di un codice civile generale. E fu giustappunto il periodo dei principi riformatori quello che lasciò segni più evidenti dell'assolutismo nella storia italiana: la Lombardia di Giuseppe II, il Regno di Napoli con Carlo III, la Toscana sotto Pietro Leopoldo furono casi tipici di Stati accentrati, e governati con acume, secondo il modello assolutistico