Le campagne elettorali sono state definite in questi termini non prima degli anni 1870 negli Stati Uniti e in Inghilterra. In Italia, ancora in piena epoca giolittiana è più facile trovare nella stampa un riferimento alla "lotta o battaglia elettorale" o al "movimento elettorale" che al termine "campagna" ed infatti, se si inizia la nostra analisi dal Risorgimento, si può ben affermare che si studia un tema concettualizzato solo posteriormente, che non possiede ancora valore intrinseco in quanto tale nelle prime elezioni dello Stato unitario.
Oltre a riflettere sul significato del termine "campagna elettorale" o forse per meglio renderne conto, si può affermare che le campagne elettorali possiedono dei tempi interni, delle scadenze simili indipendentemente dai paesi o dalle epoche considerate. Si possono dunque rilevare degli elementi modernizzanti nelle campagne elettorali -dei cambiamenti- che sono sempre storicizzabili mentre, permangono immutati gli elementi costitutivi ed i tempi interni delle campagne in tutti i contesti elettivi e questo, anche quando noi storici parliamo di campagne mentre i contemporanei parlano di altre cose.In Italia come in altri paesi, la mobilitazione dei partiti e, prima della loro esistenza stabile ed istituzionalizzata, dei comitati elettorali che sostenevano le candidature, si fece dall'inizio in due direzioni per impostare al meglio la campagna. La prima è sempre stata rivolta all'aspetto normativo: infatti si fece sempre un uso spregiudicato dei regolamenti amministrativi e dei codici elettorali per ottenere i suffragi. La seconda -una volta stabilita la norma o la sua assenza- era appannaggio dei candidati e dei loro sostenitori che si servivano di tutte le possibilità, anche non lecite, per influenzare il voto dei cittadini durante la campagna elettorale e fino al seggio elettorale stesso.
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