Per partecipazione politica s’intende la nascita di una nuova concezione del partito, ossia bisognava cercare di dare alle persone che votavano una formazione politica.
Il partito nasce come organizzazione che entra sul territorio e si mette in comunicazione con gli elettori.
Un partito politico è un’organizzazione di cittadini accomunati da quella che reputano una comune visione politica riguardo a questioni fondamentali della gestione dello Stato e della società civile o su temi specifici e particolari.
Negli Stati dove si svolgono elezioni rappresentative, i partiti politici organizzano le liste di candidati e concorrono per l’elezione (o scelta) delle persone che andranno a svolgere attività legislativa o amministrativa.
In quanto strutture stabili che svolgono principalmente la loro funzione politica di aggregazione degli interessi, i partiti politici rappresentano un fenomeno storico relativamente recente, distinguendosi da preesistenti strutture politiche similari (clientele, sette, fazioni) per lo più occasionate da periodi di crisi o da eventi eccezionali e tendenti a obiettivi particolari.
La genesi dei partiti in senso proprio s’intreccia con quella dello stato moderno e in particolare con le guerre di religione europee dei secoli XVI e XVII, che conferirono per la prima volta alle “parti” in lotta connotati ideologici: le diverse aggregazioni si fecero allora portatrici di una concezione del mondo e dei rapporti fra gli uomini che condizionò anche la formazione degli schieramenti politici.
Dalla fine del Settecento in poi i partiti hanno assunto un’importanza sempre maggiore, diventando elemento essenziale della storia politica dei diversi paesi e interagendo con le trasformazioni delle società contemporanee.
Mentre lo sviluppo dei partiti politici attraversa l’Ottocento, la riflessione teorica e metodologica sulle loro caratteristiche e sui loro meccanismi di funzionamento risale al Novecento.
Gli storici hanno delineato l’evoluzione dei partiti politici secondo una sequenza alquanto articolata:
- Una prima categoria è rappresentata dal partito di notabili, nella quale tale struttura, a carattere informale e individuale, è per lo più espressione dell’egemonia dei proprietari terrieri e borghesi e dell’organicità pressoché completa tra società civile e società politica caratterizzante la prima metà dell’Ottocento nell’Europa continentale.
- Una forma ulteriore è costituita dai partiti macchina o d’opinione a base tendenzialmente di massa, diretti, secondo l’espressione di M. Weber, sociologo tedesco, da “imprenditori politici” capaci di controllare apparati di consenso più complessi e tipici del secolo Ottocento negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.
- Un’altra categoria è quella dei partiti di classe e dei partiti confessionali di fine Ottocento, espressione di gruppi separati della società in lotta per il riconoscimento dei diritti politici e sociali, il cui prototipo è rappresentato dal Partito socialdemocratico tedesco.
- In queste organizzazioni, definite di “integrazione sociale” o di “integrazione negativa”, si incontrano i caratteri passati poi ai partiti di massa del Novecento: forte connotazione ideologica, struttura burocratica e gerarchizzata, disciplina degli attivisti, controllo dei deputati.
- Attraverso l’ultima forma raggiunge la sua manifestazione estrema nei partiti-stato, i partiti politici si innalzano definitivamente a protagonisti della mobilitazione politica e della nazionalizzazione delle masse, trasformatosi, sia nei regimi democratici sia in quelli totalitari, in organi costituzionali e in organizzazioni interclassiste, fondate su una autonomizzazione della società civile.
La riflessione storico-teorica più recente ha cercato di inserire la vicenda dei partiti politici in quella più ampia dell’evoluzione delle società moderne e contemporanee. Un filone di studi ha privilegiato il nesso tra modernizzazione e sviluppo politico, collegando la nascita dei partiti all’avvento della società industriale, con le sue spinte trasformatrici e i suoi conflitti.
Molti sociologi ebbero opinioni diverse riguardo agli schieramenti politici, condannando gli stessi ad essere causa di “fratture” nella società dello sviluppo dell’industria e dello stato moderno. Altri hanno presentato i partiti come gli eredi degli organismi di autodifesa di cui si sono dotati i gruppi sociali in Europa sin dal Medioevo. Le diverse modalità di organizzazione della rappresentanza politica corrispondono ai mutamenti nell’esercizio della sovranità e della sua legittimazione: si passa così dal vassallo del signore feudale al suddito del monarca assoluto, dall’individuo astratto dello stato liberale al cittadino organizzato dello stato sociale interventista. I partiti contemporanei sarebbero così i principali portatori della forma moderna dello stato, ponendosi come mediatori tra questo e la società civile uscita dalle trasformazioni economiche degli ultimi due secoli.
Sul versante teorico-sociologico si segnala una ripresa delle analisi circa la loro caratterizzazione organizzativa. E qui l’attenzione cade sui rapporti di potere interni ai partiti in quanto essi condizionano le risorse di potere della leadership in quel momento al comando. Il fattore organizzativo insieme con la tendenza alla “elettoralizzazione” dei partiti e la loro invadenza nelle sfere delle attività pubbliche, hanno riacceso l’originaria polemica contro il “governo dei partiti”, poiché è stata messa in luce la tendenziale riduzione delle distanze ideologiche tra partiti, l’affermarsi al loro interno del leader sugli iscritti, la loro prevalente trasformazione in macchine elettorali dominate dai leader parlamentari: così, tutti i mutamenti del vecchio modello del partito di massa hanno dato vita a un nuovo modello di partito, il partito pigliatutto.
I partiti politici si distinguono generalmente in partiti di centro, destra e sinistra. Questa distinzione trova la sua origine nella collocazione dei deputati nei semicerchi parlamentari. Già dal tempo della Rivoluzione Francese, il centro era sinonimo di “moderazione”, la destra di “conservazione” e la sinistra di “progresso”.
Nella storia politica europea, ed in particolare quella italiana, dalla metà dell’800 agli inizi del ‘900 la scena politica era dominata da partiti politici tutti di stampo “liberale”. Tali partiti, in quanto espressione dei ceti sociali medio-alti, erano attenti, in particolar modo, a ridurre il potere statale ed ad accentuare la libera iniziativa locale. In alcuni casi, come nell’Italia della legge delle guarentigie, “liberale” era anche sinonimo di “anticlericale”, mentre i partiti “conservatori” erano “clericali”, cioè contrari a ridurre l’ingerenza della Chiesa negli affari temporali. I “liberali” erano comunemente espressioni delle elite cittadine e della nascente classe borghese, i “conservatori” dei latifondisti e proprietari terrieri.
Con la crescita del “proletariato”, composto soprattutto da piccoli artigiani ed operai, cominciano a diffondersi le ideologie “socialiste” che troveranno, poi, in Carl Marx il loro più compiuto teorizzatore. Nasce così l’idea di uno Stato laico, se non ateo, svincolato dalla “tradizione borghese”, unico detentore del potere e attento ad assicurare la più completa uguaglianza tra i cittadini. Ben presto i marxisti si distinguono in una componente socialista o social-democratica ed una comunista. La prima più rispettosa delle scelte dell’individuo nella sfera personale (famiglia, scuola, religione) e più attenta al coinvolgimento democratico dei cittadini, la seconda più convinta del ruolo indispensabile dello Stato e del Partito di guida dei cittadini. Non pochi furono i sostenitori della distribuzione delle terre ai contadini e della netta separazione tra Chiesa e Stato.
Negli stati di tradizione cattolica, come l’Italia, accanto ai partiti liberale, conservatore, socialdemocratico, comunista, sono nate svariate formazioni politiche, ma tutte accomunate da una politica ispirata alla dottrina sociale della Chiesa cattolica. Tali partiti, soprattutto nella seconda metà del XX secolo, sono stati, spesso, al governo. Si sono caratterizzati per un politica: conservatrice in campo morale (contrari all’aborto, alla legalizzazione delle droghe), liberale in campo economico e politica estera (favorevoli al libero mercato, all’Unione Europea), ma hanno saputo, anche dimostrare al fine di contenere i partiti socialisti e comunisti, una marcata attenzione alle questioni sociali.
Sul finire del XX secolo, in Italia, come nel resto dell’Europa, sono andate diffondersi nuove “culture politiche”. La “rivoluzione giovanile” degli anni ’60-’70 ha imposto le problematiche femminili e dell’ambiente. Le “femministe”, convinte sostenitrici dell’emancipazione delle donne, hanno provato facile accoglienza nei partiti liberali e socialdemocratici, un po’ meno in quelli conservatori, cristiano-democratici e comunisti. La “cultura ambientalista” ha trovato sbocco nelle associazioni ambientaliste (WWF, Greenpeace, Legambiente) e in nuovi partiti politici, spesso denominati Verdi.
I partiti politici, nel corso del ‘900, hanno stretto alleanze sopranazionali, in modo da potere sostenere in maniera più convinta i propri valori e assicurarne la diffusione anche in altri paesi. Le “internazionali” più grandi sono:
- Internazionale socialista;
- Internazionale democratico-cristiana;
- Internazionale liberale;
- Internazionale dei conservatori.
SITOGRAFIA:
http://www.itcgmontefiascone.it/novecento/xpartiti.htm
http://www.pbmstoria.it/dizionari/sitografia/lemmi/300.htm
http://www.it.wikipedia.org/wiki/Partito_politico