I COSTUMI : le donne
L'abbigliamento e la moda negli anni del boom economico
Un settore toccato da radicali
trasformazioni è quello relativo
all’abbigliamento. Il primo fenomeno
apprezzabile da questo punto di vista è lo
spostamento dall’interno (la cura
dell’abbigliamento intimo, del corredo)
all’esterno: la cura dell’abito che sempre
più viene visto come status simbolo e non
come lusso moralmente deprecabile esibito
dalle classi superiori. Questo fatto produce
la proletarizzazione dell’abito (vestiti in
serie) con la perdita delle connotazioni di
prestigio ad esso connesse e con la
scomparsa della divisione classista degli
stili che si accontenta di differenziazioni
più sottili che non riguardano più la foggia
ma la qualità e gli accessori. Tale
trasformazione, a sua volta, induce
un’accelerazione dei cicli della moda che,
se prima della guerra duravano anche diversi
anni, ora si trasformano in modo rapido con
un alternarsi di modelli destinati a una
breve durata: la manifestazione dello status
riguarda pertanto la velocità di
assorbimento del nuovo stile. A questo
fenomeno si aggiunge la scomparsa della
rigidità che determinava la selezione
dell’abbigliamento in base all’occasione
(mattino, pomeriggio, sera, festa, domenica
ecc.). Essa, a sua volta è legata alla
nascita dell’abbigliamento casual la cui
affermazione determina il consolidamento,
sul mercato, dei capi di produzione
industriale, il che porterà poi
all’affermazione, sempre come esigenza di
status, di griffe e marche. Il casual
costituisce la fusione tra abbigliamento
normale e abbigliamento sportivo che si
viene a creare a partire tanto
dall’allargamento della fascia di tempo
libero da destinare allo svago ed alla
vacanza quanto dalla differenziazione tra
abbigliamento adulto e abbigliamento
giovane, con incursioni sempre più ampie
degli utenti del primo negli stili del
secondo.
In sintesi la trasformazione più evidente è
il valore non più tanto di status quanto
identitario della selezione degli abiti cui
si aggiungono le complesse esigenze di
un’industria che deve necessariamente
sollecitare desideri e creare legami tra
l'apparire e l’immaginario individuale e
collettivo se non vuole perdere i suoi
livelli produttivi. Sparisce comunque,
almeno per le classi medie, l’uso del
vestito “buono” di sartoria, destinato a
durare nel tempo e ad essere utilizzato in
tutte le "grandi" occasioni.
Dal punto di vista dell'estetica lineare,
negli anni '60 andò di moda soprattutto la
linea trapezio, che venne presentata nel
1958 dal giovane Yves Saint Laurent, ancora
responsabile artistico della casa Dior:
vestiti a forma di sacco che ignoravano il
punto vita o cappotti stretti in alto e
svasati verso il basso, spesso lunghi fino
al ginocchio.
I vestiti a sacco erano stati molto popolari
già negli anni '20, ma allora erano molto
più eleganti e signorili: lunghi almeno fini
al ginocchio, avevano a volte una gonna
applicata molto in basso ed erano spesso
lavorati con stoffe delicate, pizzi e sete e
realizzati in colori tenui. In confronto, i
vestiti a sacco degli anni '60 sembrarono
abiti per bambini; non avevano praticamente
nessun dettaglio decorativo o tagli
raffinati, ma erano quasi sempre
confezionati con tessuti rigidi (sintetici),
con un taglio diritto o leggermente svasato.
Il loro effetto derivava dai motivi grafici
o da fantasie floreali molto colorate;
inoltre, erano molto più corti dei vestiti
degli anni '20 e in generale ebbero
abbastanza successo. |
Di eleganza tradizionale o signorile non se
ne poteva proprio parlare, ma questo appunto
era lo scopo voluto. I nuovi vestiti e
cappotti dovevano innanzitutto sembrare
giovanili e poco convenzionali, divertenti e
irrispettosi. L'età reale di chi li
indossava non aveva alcuna importanza. |
LA MINIGONNA
Gli anni'60 furono soprattutto gli anni
della minigonna.
La sua apparizione (1965), che rispondeva al
crescente bisogno delle adolescenti e delle
giovani di esprimersi liberamente, fece
scalpore: le gambe non erano mai state così
in vista! La mini fu subito considerata
indecente e molti erano sdegnati: per
esempio, secondo Coco Chanel il ginocchio
era la parte meno attraente della donna, che
pertanto sarebbe stato meglio tenere
nascosta. Nonostante le critiche, negli anni
'60 le sottane delle donne di qualsiasi età
diventarono man mano sempre più corte, fino
ad arrivare in certi casi a coprire a
malapena gli slip. Alla realizzazione della
mini estrema contribuì in modo non
indifferente l'invenzione della calzamaglia
senza cuciture.
L'inventore della minigonna è discusso: Mary
Quant o Courrèges? Entrambi, infatti,
presentarono, pressoché contemporaneamente,
modelli con gonne molto corte.
Le minigonne di Courrèges avevano linee
spigolose e futuristiche ed erano pensate
per essere indossate su pantaloni attillati
o con stivali a metà polpaccio.
La Quant propose scamiciati a vita lunga,
con cinture all'altezza dei fianchi, gonne
pieghettate o svasate che si fermavano
appena sopra il ginocchio e sembravano molto
più corte di quanto fossero realmente. La
sua mini diventò immediatamente un must. |
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IL TRANSPARENT LOOK
La voga delle minigonne e della vita
scoperta presto si diffuse sfociando in una
moda delle trasparenze, che nell'era delle
materie plastiche si concretizzò in nuovi
modelli in plastica o in tessuto di fibre
sintetiche.
Yves Saint Laurent, nell'inverno del 1968,
presentò un abito da sera lungo fino a
terra, di mussola nera trasparente, con
delle applicazioni di piume di struzzo sui
fianchi che arrivavano fino a metà coscia e
che doveva essere portato con nient'altro
che un serpente d'oro come cintura.
Courrèges, nei tardi anni '60, creò vestiti
in organza, nei cui punti più intimi erano
applicati dei fiori o delle forme
geometriche.
La versione più portabile di questo trend
era sicuramente la linea di camicie
trasparenti con rifiniture in volant sulle
maniche o sulla scollatura; in commercio ne
esistevano diverse varianti.
Come i pantaloni a zampa d'elefante,
l'abbigliamento etnico o in PVC, anche la
moda trasparente fa parte del versatile
repertorio degli anni '60, dal quale i
designer hanno continuato ad attingere fino
agli anni '90.
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L'ARTE DIVENTA
MODA
Negli
anni '60 anche nel campo dell'arte
prevaleva la tendenza a rompere con
il vecchio e a ricercare il nuovo. E
infatti le diverse forme d'arte di
questo periodo sono caratterizzate
da un evidente desiderio di
superamento e dalla netta divisione
tra la cosiddetta cultura "alta" e
quella "bassa".
I
Beatles, nei loro arrangiamenti,
utilizzavano provocatoriamente
un'orchestra di violini.
Andy Warhol, l'artista Pop più
discusso ma riconosciuto
internazionalmente, produceva
incisioni con i Velvet Underground,
per i quali, come più tardi anche
per i Rolling Stones, creò le
copertine dei dischi. Inoltre
disegnava scatole di pelati del
supermercato proponendole come arte,
noncurante del raccapriccio che
provocava tra chi restava fedele
alla cultura tradizionale. Nel 1966-
67, con il suo progetto di mini-
abito leggermente svasato, manifestò
in maniera duplice il suo messaggio
di rappresentante della Pop Art:
irritava l'osservatore elevando a
opera d'arte un semplice oggetto
quale una scatola di minestra e
sferrava una critica contro la
società occidentale dei consumi
usando un materiale resistente ma
estremamente infiammabile.
Produzioni in serie, come la
fotolito e il retino preso dai
fumetti, erano giudicati con lo
stesso metro dell'arte. Il mito
dell'unicità dell'opera aveva
lasciato il posto a una concezione
nuova dell'arte, trasformando
notevolmente anche il ruolo e la
funzione dell'artista: i temi e le
tecniche dovevano adeguarsi ad un
mondo molto cambiato.
Nacquero l'Iperealismo, che
proponeva perfette imitazioni di
persone e di cose, e l'Happening,
una forma del tutto nuova di
rappresentazione, che era nello
stesso tempo attuale, antimuseale e
scioccante, oltre che essere uno
strumento per avvicinare importanti
opere d'arte alla quotidianità.
Negli anni '60 i confini tra arte e
moda divennero confusi.
Artisti come Christo, di origine
bulgara, e l'americano Mimi Smith
crearono abiti come fossero opere
d'arte, mentre gli stilisti
trovarono nuovi motivi saccheggiando
la pop art e l'op art. Sia sulla
tela sia sui tessuti, l'abile uso di
forme come cerchi, quadrati e
spirali dava l'illusione del
movimento. |
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L'op art (o optical art, "arte
ottica") divenne una moda di forte
tendenza. L'artista inglese Bridget
Riley fu una delle figure di spicco
del movimento. I suoi cerchi,
quadrati, rettangoli e zigzag
bianchi e neri venivano abilmente
ripetuti per creare un effetto
tridimensionale: le sue creazioni
sembravano arretrare, proiettarsi
fuori oppure ondeggiare. L'illusione
funzionava perché creava confusione
a livello del nervo ottico.
L'industria tessile colse al volo
questa opportunità per ottenere lo
stesso effetto anche con i tessuti
e, in questo modo, stilisti come
Ossie Clark a Londra e Y. S. Laurent
a Parigi crearono modelli
abbaglianti.
Y. S.
Laurent, in modo particolare, faceva
furore con collezioni che si
ispiravano a tendenze artistiche
classiche e del presente. Una famosa
collezione del 1965 mostrava vestiti
tagliati diritti di jersey, nei
quali i vari pezzi di stoffa
venivano cuciti in modo da
riprodurre le fantasie geometriche
dei quadri di Piet Mondrian. Secondo
Saint Laurent, queste rigide forme
si adeguavano perfettamente al corpo
umano; effettivamente, i vestiti
erano tutt'altro che informi! La
serie degli abiti Pop, invece, si
ispirava all'opera di Andy Warhol o
Roy Liechtenstein.
Y. S.
Laurent, in modo particolare, faceva
furore con collezioni che si
ispiravano a tendenze artistiche
classiche e del presente. Una famosa
collezione del 1965 mostrava vestiti
tagliati diritti di jersey, nei
quali i vari pezzi di stoffa
venivano cuciti in modo da
riprodurre le fantasie geometriche
dei quadri di Piet Mondrian. Secondo
Saint Laurent, queste rigide forme
si adeguavano perfettamente al corpo
umano; effettivamente, i vestiti
erano tutt'altro che informi! La
serie degli abiti Pop, invece, si
ispirava all'opera di Andy Warhol o
Roy Liechtenstein.
Il
trompe- l'oeil era un altro metodo
utilizzato per creare un effetto
tridimensionale. Trasferito nel
campo dalla moda venne utilizzato
per inserire colli o polsini finti
nel disegno di un maglione o cinture
e tasche di colore contrastante su
un vestito. |
http://ftp-utenti.dsc.unibo.it/~colanton/la_rivoluzione_della_moda.html |
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