| |
movimento musulmano sunnita, nato a Kandahar e sviluppatosi tra i profughi
afghani nelle scuole coraniche pakistane. Esponenti di una versione
ultraradicale del fondamentalismo islamico, i taliban
(plurale di talib, "studente di teologia"), in gran parte di
etnia pashto, trassero ispirazione dall'insegnamento dell'indiano Deoband
Dar-ul-Uloom e dalla sua setta (i Deobandi), che conta seguaci in India,
Pakistan e Bangladesh. Agitando la bandiera della legge coranica (shari'ah)
come strumento di pacificazione dell'Afghanistan , i taliban si affacciarono
sulla scena politica nazionale alla fine del 1994, al culmine della guerra
civile tra le diverse fazioni dei mujaheddin che avevano conquistato il
potere nel 1992. Sotto la guida di Mohammad Omar, stabilirono in breve tempo il
controllo su gran parte del Paese e nel settembre 1996 conquistarono la capitale
Kabul, costringendo il presidente Burhannudin Rabbani, eletto nel 1992, a
fuggire nel Nord del Paese insieme alle milizie dei comandanti Ahmad Shah Massud,
Rashid Dostum e Gulbuddin Hekmatyar. I taliban imposero sull'Afghanistan un
severo regime, rivolto a salvaguardare la cultura e la tradizione islamica da
qualsiasi influenza occidentale e moderna. Basandosi su un'interpretazione
oscurantista della legge coranica, riformarono la giustizia introducendo
esecuzioni e flagellazioni pubbliche; vietarono qualsiasi forma di
intrattenimento, mettendo al bando la musica, il cinema, la televisione;
proibirono alle donne di lavorare, di istruirsi e di accedere alle strutture
sanitarie e le costrinsero a indossare il burka. Il nuovo regime venne
riconosciuto soltanto dal Pakistan, dall'Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi
Uniti. La grave situazione dei diritti umani creatasi nel Paese innescò un duro
scontro con l'ONU; a partire dal 1996 le agenzie umanitarie iniziarono a
ritirarsi dall'Afghanistan, a causa delle restrizioni poste al loro intervento.
Nello stesso anno Mohammad Omar concesse ospitalità a Osama
Bin Laden, finanziere saudita e capo di una rete di combattenti denominata
Al Qaeda ("La Base"). Le relazioni internazionali dei taliban subirono
un ulteriore deterioramento nel 1998, quando il rifiuto di consegnare Bin Laden,
ritenuto responsabile di due gravi attentati contro le ambasciate statunitensi
in Kenya e in Tanzania, scatenò la reazione degli Stati Uniti (che colpirono
con diverse decine di missili da crociera le basi fondamentaliste in
Afghanistan) e quella dell'ONU, che impose su Kabul un embargo economico. Tra il
1999 e il 2000 il rapporto tra i taliban e Bin Laden si fece sempre più
stretto, mentre si allentò quello con il Pakistan e si interruppe del tutto
quello con l'Arabia Saudita. Grazie all'arrivo di migliaia di fedeli di Bin
Laden, i taliban riuscirono tuttavia a rafforzare il loro potere e a rilanciare
l'offensiva contro i mujahhedin. Preda di un fanatismo sempre più esasperato, i
taliban avviarono anche la sistematica distruzione delle testimonianze non
islamiche presenti sul territorio afghano, che culminò, agli inizi del 2001,
con l'abbattimento di due famose statue giganti di Buddha risalenti a IX secolo.
L'alleanza con Bin Laden fu tuttavia fatale ai taliban. L'incondizionata difesa
del capo di Al Qaeda, confermata anche dopo la clamorosa offensiva terroristica
dell'11 settembre 2001 al World Trade Center di New York e al Pentagono,
determinò infatti la fine di qualsiasi appoggio al regime di Kabul e l'inizio
di un conflitto (7 ottobre 2001), che vide intervenire in Afghanistan, accanto
ai mujaheddin, una potente armata guidata dagli Stati Uniti. Costrette a una
precipitosa ritirata, le residue forze dei taliban e di Al Qaeda si
concentrarono nella regione di Kandahar, dove opposero una disperata quanto vana
resistenza.
|