home Indicazioni metodologiche Spunti per elementari e medie Il percorso per le superiori

home > il percorso per le superiori > la rivoluzione industriale > approfondimenti > Deane

Rivoluzione industriale

P. Deane, La prima rivoluzione industriale, Il Mulino, Bologna,1990, pp. 181-188, in Manzoni-Occhipinti, cit.

Un altro aspetto importante che va rilevato, è l'offerta di lavoro. Su questo punto gli storici esprimono un parere unanime: lo sviluppo economico del capitale presuppone un'ampia disponibilità di forza-lavoro.

Un'offerta di lavoro crescente, mobile ed elastica è una delle condizioni indispensabili perché si realizzi lo sviluppo economico. Per arrivare a quei mutamenti di struttura e a quel tasso di espansione della produzione nazionale che sono caratteristici di una rivoluzione industriale, debbono verificarsi profondi mutamenti nella forza lavoro, sia sotto il profilo quantitativo che sotto il profilo qualitativo. Prenderemo in considerazione le caratteristiche dei mutamenti di questo genere che si verificarono durante la prima rivoluzione industriale e tenteremo di far luce su alcune delle loro cause e conseguenze. 

Per incominciare, è importante considerare in una certa prospettiva il fattore produttivo "lavoro". Se, per esempio, ci chiediamo quali sono i principali fattori che determinano lo sviluppo economico, vediamo che essi possono essere classificati in quattro categorie principali, e cioè: le risorse naturali, il progresso tecnico, (accumulazione di capitale, l'aumento dell'offerta di lavoro. Ciò equivale in pratica a dire ché il tasso al quale ogni economia può espandere la propria produzione di beni e servizi dipende da quattro fattori fondamentali:

1) Il tasso col quale essa può accrescere la propria dotazione di risorse naturali. Per esempio, un Paese che può estendere la propria area coltivata, o portare a sfruttamento nuove risorse minerali, o rendere transitabili strade o fiumi che precedentemente non lo erano o lo erano solo in determinate stagioni, può effettivamente allargare la sua dotazione di risorse e quindi incrementare il prodotto per unità di lavoro o di capitale. Generalmente ci sono dei limiti, per un dato Paese, all'incremento delle proprie risorse naturali, per quanto un Paese come l'America del secolo diciannovesimo abbia potuto continuare a un simile ritmo per un notevole periodo di tempo, tramite un'espansione delle sue frontiere; anche nell'Inghilterra del tardo secolo diciottesimo e dell'inizio del diciannovesimo era in svolgimento un processo analogo, sebbene su scala minore, attraverso la recinzione di notevoli estensioni di terra e l'eliminazione delle maggiori strozzature dovute ai trasporti, con l'effetto di permettere di utilizzare risorse minerarie fino ad allora inaccessibili.

2) Anche il progresso tecnico consente di ampliare la produzione di beni e servizi in rapporto a un certo input di lavoro e di capitale. Un'innovazione nella tecnica produttiva (per esempio un nuovo tipo di rotazione delle colture, o l'impiego del coke anziché del carbone di legna) o l'apparire di una nuova macchina, hanno (effetto di ridurre i costi e quindi permettono agli imprenditori di aumentare la produzione per unità di fattore produttivo.

3) Il terzo fattore che determina il tasso di sviluppo economico è la quota di nuovi investimenti, cioè l'aumento dell'input di capitale nel processo produttivo. Piú navi o piú canali significano una maggiore intensità negli scambi commerciali, piú macchinario di pompaggio o di sollevamento equivalgono a una maggiore quantità di carbone estratto, e cosí via.

4) Il quarto fattore che determina il tasso di sviluppo economico è il tasso di espansione dell'offerta di lavoro. Se la gente lavora piú intensamente, piú a lungo o piú regolarmente o se aumenta il numero di persone occupate appartenenti alla popolazione attiva, si ha un aumento di produzione di beni e servizi.

I suddetti fattori sono strettamente interconnessi. Non è normalmente possibile, per esempio, né estendere lo stock nazionale di risorse naturali né introdurre innovazioni tecniche senza aumentare la quota degli investimenti. Nella fase finale, il fabbisogno di capitale "per unità di prodotto" può essere inferiore, ma all'inizio il valore assoluto del capitale necessario per il processo produttivo è quasi invariabilmente maggiore. E viceversa un aumento del tasso d'investimento spesso farà aumentare il valore dell'offerta delle risorse naturali esistenti o accrescerà il tasso di progresso tecnico. Una nuova macchina è generalmente piú moderna e piú efficiente di quella cui viene sostituita
e anche se le singole differenze sono di poco conto, il susseguirsi di piccoli miglioramenti nelle tecniche o nelle macchine, insieme alla continua formazione di nuovo capitale, provocherà un aumento continuo della produttività del capitale e un continuo progresso tecnologico. Inoltre, è ragionevole pensare che ogni sostanziale estensione della disponibilità di risorse naturali della nazione, od ogni aumento apprezzabile dell'investimento in beni capitale, od ogni avanzamento tecnico di un certo rilievo, richiedono o un aumento del numero di persone occupate nell'attività produttiva, o alcuni spostamenti di lavoratori fra diverse occupazioni, o entrambe le cose. È difficile concepire un mezzo per ampliare la dotazione di risorse naturali o per accrescere il capitale nazionale che non comporti un aumento dell'offerta di lavoro nel settore interessato. Nella rivoluzione industriale, anche quando un cambiamento tecnico ebbe l'effetto di far risparmiare lavoro, l'immenso impulso che esso diede all'espansione degli investimenti promosse un considerevole aumento netto della domanda di lavoro.

Naturalmente è sempre possibile, in linea di principio, che un settore economico in espansione attragga verso di sé forze di lavoro offrendo ai lavoratori salari piú alti di quelli che essi potrebbero ottenere in altri settori. Quando la forza di lavoro esistente risulta pienamente occupata, è questo il solo modo per espandere la produzione. Se gli effetti immediati di riduzione dei costi connessi a una data innovazione sono abbastanza ampi e i rischi scarsi, può essere conveniente offrire forti aumenti salariali.

D'altra parte, se esiste una certa quantità di disoccupazione o sottoccupazione, cosí che non occorre sottrarre forza di lavoro ad altre occupazioni, può non essere necessario offrire salari superiori a quelli correnti. Tuttavia è chiaro che, minore è l'aumento richiesto per attrarre forza di lavoro in numero adeguato, piú redditizie saranno le prospettive di profitto legate a una certa innovazione o a un certo investimento. Ne consegue che un'offerta di lavoro elastica - cioè abbondante a un prezzo relativamente basso - incoraggia fortemente gli investitori potenziali.

Il fatto che gli imprenditori britannici nel tardo secolo diciottesimo e all'inizio del diciannovesimo fossero in grado di aumentare la produzione industriale e la capacità produttiva senza dover sostenere in cambio un aumento dei costi per l'aumento del tasso dei salari reali, fece sí che i profitti dovuti alle innovazioni furono in gran parte divisi tra investitori e consumatori; ciò costituí un ulteriore incentivo all'industrializzazione. I profitti crescevano e i prezzi calavano. Man mano che i profitti crescevano, gli investitori erano incoraggiati a reimpiegare gran parte dei loro profitti in nuovi investimenti, e cosí ad accrescere ulteriormente la produzione e le occasioni di impiego. Dato che i prezzi calavano, la domanda cresceva e poiché la domanda dei manufatti tendeva a essere elastica, il volume complessivo della spesa cresceva nonostante la caduta dei prezzi, con l'effetto di allargare il mercato e stimolare ulteriori investimenti e ulteriore domanda di lavoro. Il processo era cumulativo. L'aumento degli investimenti aumentava il tasso del progresso tecnico poiché i produttori impiegavano sempre piú macchinario nuovo e tecniche moderne, e questo a sua volta comportava un aumento di produzione con minore impiego di capitale o di lavoro. Cosí un'abbondante offerta di lavoro a basso costo promuoveva nuovi investimenti assicurando in tal modo il progresso tecnico; questo, consentendo di economizzare sia sul capitale che sul lavoro, generava un'espansione cumulativa e autoalimentantesi dell'attività economica.

Non vi è dubbio che nella seconda metà del secolo diciottesimo, sebbene un numero sempre maggiore di produttori trovasse difficile reperire tutta la manodopera di cui abbisognava, le forze di lavoro erano ancora lontane dalla piena occupazione e andavano crescendo a un tasso piú rapido che in passato.

Dopo un ristagno nella prima decade del secolo, la popolazione dell'Inghilterra e del Galles iniziò a crescere con un incremento del 3,5 per cento ogni dieci anni nel decennio r74o-50, raggiungendo l'incremento massimo del 17 per cento per decade negli anni 1811-21. Si ebbe ancora un tasso di circa il 16 per cento nella decade seguente e per il resto del secolo diciannovesimo l'incremento decennale si mantenne al di sopra dell' i 1 per cento senza superare mai il 14 per cento. Al culmine della rivoluzione industriale, la popolazione cresceva a un tasso di circa 1'i per cento all'anno, che è un tasso modesto in confronto agli esplosivi saggi di crescita caratteristici di alcuni Paesi in via di sviluppo dei nostri giorni, ma comunque notevolmente al di sopra di ogni precedente esperienza in Gran Bretagna.

Poiché all'inizio l'aumento della popolazione era dovuto soprattutto agli effetti combinati della caduta della mortalità infantile e dell'aumento del tasso di natalità, l'incremento di popolazione consisteva soprattutto di bambini. Di conseguenza fino al 1820, o giú di li, le forze di lavoro attive crebbero un po' piú lentamente della popolazione complessiva. D'altra parte, non ci voleva molto tempo perché i bambini del secolo diciottesimo raggiungessero l'età in cui potevano guadagnarsi, almeno in parte, da vivere. L'industria domestica trovava lavoro per i bambini, si può dire, non appena potevano andare a gattoni e le prime fabbriche tessili assumevano infornate di bambini poveri dall'età di cinque anni in su. Perciò l'onere delle persone inattive, assai spesso creato dalla crescita della popolazione, pesava sull'economia britannica del secolo diciottesimo meno intensamente che nei Paesi in via di sviluppo dei nostri giorni, ove metodi piú umani sono dettati dall'esempio internazionale. Sebbene la coscienza sociale diventasse sempre piú sensibile al trascorrere del secolo diciannovesimo, e i regolamenti di fabbrica e gli ispettori e le scuole pubbliche cominciassero a tenere i bambini fuori delle fabbriche, il lavoro minorile andò avanti, in una maniera o nell'altra, per piú di un secolo dopo l'avvento della rivoluzione industriale. Ancora nel 1871 un ufficiale sanitario riferì di aver trovato un bambino di tre anni che fabbricava fiammiferi a Bethnal Greenl.

Un altro fattore che favorì l'aumento dell'offerta di lavoro nel processo produttivo fu l'aumento del numero medio di ore giornaliere lavorate per operaio. Naturalmente, ciò si verificava in maggior misura nelle fabbriche che nell'industria domestica. Le fabbriche impiegavano lavoratori a pieno tempo che stavano sulle macchine finché esse funzionavano, cioè fin che vi era domanda di prodotti. Le macchine dipendevano dall'energia idraulica, e perciò si avevano interruzioni stagionali di funzionamento; ma quando fu introdotta l'energia termica, e ancor pi quando fu impiegato il gas per illuminare giorno e notte le fabbriche, solo una crisi commerciale poteva fermarle. Uomini, donne e bambini lavoravano da 12 a 16 ore al giorno - o alla notte - in turni continui. È discutibile se il lavoro prestato dai bambini per 15 o 16 ore al giorno in ambienti con temperatura di 26 gradi e piú, fosse piú produttivo di quello, ad esempio, di 110 12 ore prestate in condizioni piú umane in una fabbrica meglio diretta. Ci deve essere stato un punto oltre il quale il lavoro svolto dava rendimenti più negativi che positivi, anche per le mansioni non qualificate dei fanciulli. Ciò nonostante, non c'è dubbio che piú la gente abbandonava l'industria domestica - che costituiva un'attività extra-stagionale dei contadini - e si inseriva nel lavoro industriale a pieno tempo nelle fabbriche o nelle officine, piú cresceva il grado di utilizzazione della forza di lavoro. Ma non soltanto nell'industria manifatturiera si ebbe un aumento dell'input di lavoro; man mano che la resa per acro cresceva, che gli agricoltori trasformavano gli incolti introducendo le coltivazioni a forte impiego di mano d'opera, che l'allevamento degli animali diventava sempre piú sistematico, i braccianti agricoli della fine del secolo diciottesimo si trovavano, in media, a passare - rispetto ai loro predecessori - piú ore del giorno e più giorni dell'anno in un posto di lavoro rimunerato.

Si è sostenuto che il processo di recinzione, allontanando dalla terra i piccoli proprietari e i contadini e spopolando le zone rurali, ha creato l'enorme forza di lavoro proletaria che rese possibile la rivoluzione industriale. È questa la concezione che Oliver Goldsmith ha trattato romanticamente nel poema The Deserted Village e a cui molto piú tardi, fu assegnata rilevanza politica da Karl Marx. Ma sembra trattarsi di una visione troppo semplificata dei fatti realmente accaduti. Che il movimento a favore delle recinzioni contribuisse a distruggere certe rigidità tradizionali nella forza di lavoro agricola e anche, sopprimendo i diritti di servitù, eliminasse i pochi coltivatori diretti producenti per l'autoconsumo che ancora restavano, sembra abbastanza credibile. Ciò che invece non è confermato da nessuna prova è che vi sia stato un qualche rapporto di natura generale fra le recinzioni e il passaggio della forza di lavoro dall'agricoltura all'industria. Il vero esodo agricolo non si sviluppò fino alla seconda metà del secolo diciannovesimo e, sebbene nel corso della rivoluzione industriale si fosse verificato un aumento numerico del proletariato rurale, non vi fu una trasformazione tanto improvvisa e radicale come tradizionalmente fu ritenuto. [...].

Il fatto è che quel processo complesso di trasformazione economica e di sviluppo che noi chiamiamo rivoluzione industriale - sia che interessi l'agricoltura, o i trasporti, o il commercio, o la produzione di manufatti - fu un processo che richiese un massiccio aumento dell'input di lavoro e fu esso stesso una causa di tale aumento. Le fabbriche offrivano impiego remunerato a pieno tempo non solo agli uomini, ma anche alle donne e ai bambini i quali in precedenza, all'epoca dell'industria domestica, non avevano ottenuto mai un lavoro che non fosse stagionale o a orario ridotto. Sarebbe erroneo esagerare sulle nuove prospettive di lavoro che si aprivano. Solo una piccola percentuale della popolazione aveva accesso al lavoro di fabbrica e vi erano molti lavoratori a orario ridotto, per cosí dire, ai quali gli operai delle fabbriche avevano sottratto i proventi dell'attività manifatturiera. Ma sembra certo che, tutto sommato, sia l'entità sia il numero delle possibilità economiche fossero in aumento ogniqualvolta la produzione cresceva molto piú rapidamente dei costi di produzione, cioè, in altre parole, ogniqualvolta il progresso tecnico si accelerava. Che la mano d'opera divenisse disponibile in misura tale da soddisfare la nuova domanda, può essere arguito dalla relativa stabilità dei salari. È vero che in certi casi alcune categorie di lavoratori - come i tessitori nei primi anni nei quali le filande meccanizzate producevano filati piú a buon mercato di quelli prodotti a mano, oppure i tecnici quando le macchine iniziarono a essere impiegate in quantità rilevanti - percepivano stipendi molto elevati. Ma in tutto il periodo tra il 1780 e il 1830 si hanno pochi segni di sostanziali miglioramenti nel livello del salario giornaliero di gran parte della popolazione occupata, se si tiene in debito conto l'aumento dei prezzi degli alimentari durante gli anni di guerra. Si t;atta di un fatto notevole in se stesso e talvolta si è detto che l'elasticità dell'offerta di lavoro che lo riflette costituì uno dei principali fattori dell'espansione, enorme e senza precedenti, dell'economia britannica per tutto questo periodo.