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Dottrina sociale della Chiesa

Pagine storiografiche

Estratto dal libro di E. Combi, E. Monti, Fede cristiana e agire sociale, Centro Ambrosiano, Milano, 1994, pp. 77-82.

1. L'EVOLUZIONE STORICA DELLA DOTTRINA
SOCIALE DELLA CHIESA

Presentazione e impostazione del tema

La dottrina sociale della Chiesa si presenta in primo luogo come frutto di un lungo e articolato processo storico.
Tale dottrina, considerata in senso lato, accompagna l'intera vicenda storica della comunità ecclesiale ed è rilevabile attraverso una vasta serie di interventi dalle origini ad oggi, mediante le riflessioni dei grandi Padri della Chiesa, dei teologi cristiani del Medio Evo e dell'epoca moderna.
In senso stretto, in quanto dottrina sistematica, organica, complessiva sulla società e le sue istituzioni, la dottrina sociale della Chiesa comprende la serie di insegnamenti ed orientamenti enunciati a partire dall'enciclica Rerum Novarum (15 maggio 1891) ad oggi.
In quanto processo storico, sembra quindi opportuno soffermarci inizialmente sull'iter costitutivo della dottrina sociale della Chiesa
intesa - d'ora in poi - nella sua seconda accezione, mediante la ricognizione sintetica delle principali tappe del suo sviluppo.

  Il costituirsi della dottrina sociale della Chiesa:
 il contesto genetico e le coordinate principali della Rerum Novarum di Leone XIII (1891)

Il contesto nativo della dottrina sociale della Chiesa va rilevato, remotamente, nel quadro socio-istituzionale totalmente nuovo creatosi in Europa tra la fine del settecento e 1' inizio dell'ottocento, in seguito alle cosiddette "grandi rivoluzioni": politica (la rivoluzione francese che vide l'emergere della nuova "classe" egemone, la borghesia, a discapito dei sostenitori dell'Ancien régime), scientifico-tecnologica (in quasi tutti i campi: fisico, chimico, ecc.), industriale (siamo al sorgere della grande industria moderna, basata sulla divisione del lavoro e sulla produzione in vista del mercato, non dei fabbisogni immediati del consumatore), agraria (rivoluzione nei metodi di coltivazione, specialmente con l' introduzione della "rotazione" delle colture) e demografica (forte incremento della popolazione europea, con il costituirsi delle prime grandi metropoli industriali nel Nord e Centro Europa).
Questa fase, in cui ai forti progressi in ambito scientifico, economico e produttivo e al benessere di pochi si affiancano costi sociali altissimi, che solo dopo molti decenni porteranno ad un effettivo elevarsi del tenore di vita di larghi strati della popolazione, è dominata sotto il profilo ideologico da un lato dai principi del liberalismo, e in genere dai canoni dell'economia politica classica che ha offerto supporto teorico alla nascente industrializzazione, dall'altro, e in aperta reazione ad esso, dalle varie correnti di ispirazione socialista.
I presupposti del liberalismo in campo sia economico che politico, possono essere ricondotti ai seguenti: individualismo (al bene complessivo della società si perviene favorendo e incrementando al massimo grado i singoli beni privati), utilitarismo (il fine della vita sociale, come dell'agire del singolo, è incrementare ciò che è utile, fruibile; anche il "bene" in senso etico tende a coincidere con esso), libera concorrenza (creazione di un mercato il più possibile libero da vincoli di natura politica, sociale e fiscale, in cui gli operatori siano i protagonisti e nel quale prezzi e quantità di prodotto da scambiare non debbano seguire altre "leggi" al di fuori di quelle dell'economia), limitato intervento dello Stato (che si limiterà ad essere semplice "supervisore" della vita economica e sociale, favorendo il primato delle scelte individuali, e custodendo i valori fondamentali della proprietà privata e della libertà di iniziativa economica).

Più vasta e complessa è la composizione dell'area socialista, che ci limitiamo per brevità a ricondurre alle sue due correnti  principali!. La prima, quella del socialismo detto utopistico, sorto con Saint-Simon, Fourier, Proudhon, Owen, che nella prima
metà dell'ottocento erano giunti a teorizzare una società ideale ("utopistica", appunto), fondata sulla piena uguaglianza e solidarietà tra tutti i membri del consorzio civile e nella quale il possesso dei beni fosse in massimo grado comune. L'altra, quella assai più nota, e che conoscerà ben altro influsso sulla storia del socialismo scientifico elaborato in primo luogo da Marx ed Engels, così denominato per il nuovo metodo adottato che muoveva dallo studio scientifico, storico ed analitico dei problemi sociali (non più da un quadro disegnato idealmente), e che vedeva nella contrapposizione dialettica tra le due classi sociali fondamentali del tempo, quelIa  imprenditoriale ed operaia, il segno di una contrapposizione ben più profonda e radicale, tra "sovrastrutture" oppressive di ogni tipo (ideologico, politico, religioso, ecc.) tese unicamente a mantenere in vita lo "status quo", e la classe del proletariato che, in quanto ingiustamente sottratta al possesso e all'uso dei mezzi di produzione, veniva ad essere sempre più "spersonalizzata" divenendo alla fine semplice, oggetto, ingranaggio del processo produttivo.
Come è noto, a partire dalla pubblicazione del Manifesto del 1848, il socialismo inizia ad esprimersi in modo sempre più consistente in tutta 1' area europea industrializzata costituendosi come 'Partito politico,. rivoluzionario, teso a ribaltare il presente assetto istituzionale per ristabilire un'unica società internazionale priva di classi, dominata dal proletariato. È questa una prospettiva che potremmo interpretare anche in chiave etico-sociale, in quanto si pone come obiettivo ultimo, al quale ogni bene deve essere sottomesso. Si noti inoltre il retroterra hegeliano della teoria marxiana, in particolare la classica triade dialettica, che dovrà "compiersi" nel terzo momento con il realizzarsi ultimo della società comunista (tesi: l'attuale situazione di conflittualità; antitesi: la rivoluzione socialista; sintesi: la società senza classi). Secondo Marx, infine, il sistema economico e sociale proposto dal liberalismo sarebbe un giorno crollato su se stesso in quanto la libera concorrenza avrebbe portato ad una progressiva minimizzazione dei profitti d'impresa, fino a rendere sempre meno conveniente l'attività produttiva stessa, cardine del sistema.
Come si può notare fin d'ora si tratta di due sistemi ideologici che larga parte hanno avuto nel disegnare il panorama economico, politico, sociale contemporaneo, non assimilabili tuttavia alle teorie economico-sociali elaborate nel passato: sostenuti da un vero e proprio supporto teorico non destinato a rimanere nell'idealità, ma orientato a guidare la prassi, promettenti portatori di prospettive di "salvezza secolarizzata" (l'uomo che realizza pienamente sé stesso nella "professione", secondo l'ideale liberista, e la società perfetta, nella quale confluisce la tensione comune dell'umanità all'uguaglianza e alla giustizia, nell'ottica socialista) hanno raggiunto in breve tempo livelli di consenso e di influenza inimmaginabili in precedenza.
Tuttavia, proprio nelle idee di uomo e società di cui sono portatori risiede la loro intrinseca debolezza: un mmagine riduttiva, incapace di affermare in modo soddisfacente, in entrambi i casi, la dignità e il primato irrinunciabile della persona da intendersi nella pienezza delle proprie dimensioni (non soltanto individuale e sociale, ma anche religiosa, etica, ecc.), il corretto rapporto individuo-società ed individuo-beni economici, la giusta funzione delle istituzioni, in particolare di quella statale, le vie e i mezzi da proporre per un effettivo progresso sociale, e così via. In questo contesto si colloca la presa di posizione del magistero:
La dottrina sociale della Chiesa (DSC) si è sviluppata nel secolo diciannovesimo, all'epoca dell'impatto del Vangelo con la moderna società industriale, le sue nuove strutture per la produzione dei beni di consumo, la sua nuova concezione della società, dello Stato e dell'autorità, le sue nuove forme di lavoro e di proprietà.
La vicenda storica della DSC, soprattutto nella forma del tutto inedita assunta dopo il 1891, può infatti essere letta come il continuo sforzo della Chiesa di mediare, ossia di dare effettiva percorribilità storica alle promesse e alle esigenze del Vangelo nei confronti della società di ogni tempo e ricondurre costantemente l'immagine dell'uomo alla pienezza definitivamente rivelata nell'Uomo Nuovo Cristo Gesù, unico futuro di salvezza dell'umanità intera. Dunque la Chiesa dà un giudizio morale, in materia economica e sociale, <<quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona o dalla salvezza delle anime>>. Per ciò che attiene alla sfera della moralità, essa è investita di una missione distinta da quella delle autorità politiche: la Chiesa si interessa degli aspetti temporali del bene comune in quanto sono ordinati al Bene supremo, nostro ultimo fine. Cerca di inculcare le giuste disposizioni nel rapporto con i beni terreni e nelle relazioni socio-economiche. (Catechismo Chiesa Cattolica 2420).
Si inserisce in questa prospettiva la risposta della Chiesa, che nel corso dell'intero ottocento, a fianco di una rilevante e intensa attività a livello caritativo-assistenziale, tesa a far fronte - almeno in area cattolica - al dilagare delle sempre più estese forme di povertà, faticava invece a trovare le vie per un intervento a livello istituzionale, quello cui andavano ormai riferite le principali cause della "questione sociale".
Sarà così in gran parte attraverso l'opera pionieristica di alcuni "precursori" dell'intervento autorevole del magistero della Chiesa in materia sociale - vescovi, sacerdoti e laici di vari Paesi - che nella seconda metà del secolo scorso daranno vita ad iniziative di riforma della vita delle imprese e della società del tempo, sia a livello delle singole entità produttive attraverso i primi tentativi di "assicurazione sociale", di assegnazione di contributi per lo studio e per gli oneri familiari, di associazionismo tra lavoratori e tra lavoratori ed imprenditori, sia a livello politico, sindacale, istituzionale, attivando periodicamente convegni e riunioni di studio dei problemi più urgenti: (si vedano i Congressi di Liegi e di Angers; l'Unione di Friburgo, ecc.), che si creeranno le condizioni per la prima grande enciclica sociale, la Rerum Novarum (1891). 
L'enciclica di Leone XIII (1878-1903) sulla questione operaia" frutto della recezione riflessa da parte del magistero ecclesiastico delle "nuove realtà" sociali e soprattutto dei conflitti ad esse inerenti, in primo luogo quello tra capitale e lavoro, è largamente ispirata nel suo impianto teologico fondamentale alla rinascente tradizione tomista (riproposta pochi anni prima dallo stesso Leone XIII con l'enciclica Aeterni Patris, del 1879) ed intende anzitutto opporsi, in una sua prima parte, alla "falsa soluzione" socialista alla questione operaia, tendente a perpetrare l' odio e la divisione tra le classi sostituendo di fatto una forma conflittuale ad un'altra.
Essa propone così, entro un modello di società di tipo organico, armonico, nella quale il singolo e le sue aggregazioni fondamentali (famiglia, impresa) concorrono e devono quindi prendere parte, sia attiva che passiva, al bene comune dell'intero organismo civile, presieduto dallo Stato, la trama dei principali valori ed ideali normativi sui quali poi verrà a costituirsi l'intero edificio della "dottrina sociale".
Tra questi emergono anzitutto il primato dell'uomo e della famiglia nei confronti dello Stato, la dottrina circa la legittimità della proprietà privata, fondata sulla dignità della persona umana e frutto del suo lavoro, l'insegnamento sul "giusto salario" che in un'epoca in cui i salari garantivano appena la sussistenza dell'operaio - deve comprendere, oltre alla possibilità per il lavoratore di sostentarsi, anche quanto gli può consentire un sufficiente possesso privato e il mantenimento dei suoi familiari. L'enciclica termina con l'invito a praticare l'associazionismo e la collaborazione operaia e imprenditoriale.

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