l’Italia

L’ASPETTO GIURIDICO DELLA SCOLARIZZAZIONE – dalla Legge Casati alla Legge Daneo – Credano –

A dire la verità, la scolarizzazione era già precedentemente presente e disciplinata da norme giuridiche precise (fin dal 1859 con la Legge Casati) ma solo ora (fine 1800/primi anni del 1900) si manifesta come vero fenomeno  di massa. Infatti l’antecedente Legge Casati nonostante prevedesse un testo di legge innovativo, in via di principio, rispetto alle restanti legislazioni scolastiche europee, di fatto fu segnata da carenze che impedirono un’efficace applicazione concreta dei principi su cui essa stessa si basava.

La legge Casati fu coerente con la forte arretratezza economica che regnava negli anni di approvazione della stessa in Italia e con i limiti alla partecipazione politica che risultavano evidenti dalla legge elettorale allora in vigore (diritto di voto a cittadini dai 25 anni, alfabeti e che pagassero almeno 40 lire di imposte annue).

La legge Casati, più in particolare, si articolava nei seguenti punti principali:

La principale carenza della Legge Casati fu il fatto che effettivamente lo Stato investì pochissime risorse finanziarie nell’Istruzione, affidando invece ai Comuni grandi oneri che essi non riuscivano in prevalenza a sopportare. In questo contesto possiamo dare un po’ di numeri: nel 1877, a distanza di 18 anni dall’approvazione della Legge, solo 1141 comuni erano provvisti di locali idonei mentre 7160 non ne erano dotati; solo dal 1895 viene introdotto il banco a due posti e regolato in base all’altezza.

Nel 1877 viene approvata la Legge Coppino dall’allora attuale dal Governo di Sinistra allora al potere.

La legge Coppino prevedeva le medesime norme attuative della Legge Casati,le quali nonostante fossero in vigore dal 1861 non vennero mai attuate in modo sufficiente.

La legge Coppino alza il livello di  obbligatorietà di frequenza sino a 9 anni ma accetta la povertà come impedimento legittimo alla frequentazione stessa.

Nel 1883 viene approvata una nuova legge elettorale attraverso la quale riesce a votare il 6,9% della popolazione. Viene esteso il diritto di voto ai maschi dai 21 anni anche nullatenenti ma che avessero la certificazione del primo biennio delle elementari. Altra condizione per votare si basava sul censo; erano ammessi al voto coloro che pagassero almeno 19,80 lire di imposte. Ciò decreta un allargamento del diritto di voto anche alla piccola borghesia e ai piccoli proprietari. Cresce parallelamente l’interesse da parte dei partiti per l’istruzione.

Con la crisi economica di fine ottocento si assiste al rallentamento nella crescita degli alfabetizzati a causa della necessità di impiegare anche minori oltre a lavoratori adulti

Per tentare di arginare lo sfruttamento del lavoro minorile nel 1886 viene approvata una legge grazie alla quale è vietato il lavoro ai minori di 9 anni. Nel 1902 il divieto di lavoro minorile viene alzato ai 12.

Nel 1888 vengono istituiti patronati scolastici facoltativi, ovvero enti pubblici di assistenza nel campo dell’istruzione.

Nel 1911, attraverso la Legge Daneo - Credaro:

http://www.bibliolab.it/scuola/appunti_scuola3.htm

http://www.bibliolab.it/scuola/appunti_scuola2.htm

http://www.bibliolab.it/scuola/appunti_scuola1.htm

Con l’introduzione del suffragio universale maschile del 1912 l'elettorato attivo è esteso a tutti i cittadini maschi di età superiore ai 30 anni senza alcun requisito di censo né di istruzione, restando ferme per i maggiorenni di età inferiore ai 30 anni le condizioni di censo o di prestazione del servizio militare o il possesso di titoli di studio già richiesti in precedenza. Il corpo elettorale passa da 3.300.000 a 8.443.205, di cui 2.500.000 analfabeti, pari al 23,2% della popolazione.

http://www.tesionline.it/news/cronologia.jsp?date=0630

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