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Rivoluzione industriale
Lavoro sui testi
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voce Sviluppo/sottosviluppo, Enciclopedia, Einaudi, 1981, vol. 13, pp. 850-851 Se si escludono le società cosiddette primitive, si
può sostenere, con sufficiente certezza, che
fino alla fine del
XVII secolo gli scarti tra i livelli di sviluppo economico e tecnico dei diversi paesi erano poco
importanti. Il livello dei paesi attualmente sviluppati era allora
simile anzi, in certi casi e in certi campi, inferiore a quello della maggioranza dei paesi che oggi sono sottosviluppati. Indubbiamente tra la Francia di Luigi
XIV, la Gran Bretagna di Guglielmo III, la Prussia di Federico I e la Russia di Pietro il Grande, da una parte, l'India di
Awrangzéb, la Cina di K'ang-Hsi, dall'altra parte - per non parlare che dell'Europa e delle due principali potenze dell'Asia - esistevano profonde differenze nelle strutture sociali e religiose delle società che le componevano. Esistevano anche, e in questo caso si tratta di un elemento persistente, importanti differenze di clima. Ma, considerate nel loro insieme, è assai difficile stabilire quale, tra questi due gruppi di società, aveva raggiunto a quel tempo un livello di sviluppo economico
più avanzato; quale aveva un livello di vita più alto. In quest'ultimo campo esistevano certamente maggiori differenze tra i vari paesi di uno stesso gruppo che tra un gruppo e l'altro. Dopo, e si potrebbe aggiungere « improvvisamente », apparve un fenomeno nuovo e carico di
implicazioni. Verso il 1700 la struttura economica inglese nel suo complesso incominciò a subire delle mutazioni assai rapide. Iniziava ciò che gli storici, giustamente, hanno chiamato la rivoluzione industriale. Per
più di mezzo secolo rimane un fenomeno relativamente isolato nello spazio e poco significativo dal punto di vista dell'incremento del livello di vita; poi, gradualmente, questa rivoluzione conquista quasi tutti i paesi del continente europeo e attraversa anche l'Atlantico insieme agli emigranti inglesi che portano
così il seme in quella che sarà, dalla fine del XIX secolo, la più grande potenza economica del mondo. In meno di due secoli,
il livello di vita dei paesi toccati dalla rivoluzione industriale si moltiplica per
più di quindici,il volume degli scambi internazionali per più di cento e
quello della produzione mondiale dei beni industriali per più di duemila.
Questa espansione economica e tecnica, sempre più rapida, favorisce i progressi scientifici, i quali a loro volta
incrementeranno lo sviluppo economico fino a divenire uno dei motori essenziali della crescita in quest'ultima terza parte del
XX secolo. Con questi fenomeni ci si trova nel vivo dello sviluppo; dello sviluppo economico. [Quindi si dovrebbe incominciare dall'Inghilterra, che è stata la culla della rivoluzione industriale. Proponiamo ancora qualche pagina dell'articolo già preso in considerazione.] In questo paragrafo si tenterà di dare una risposta a quattro domande chiave del fenomeno dello sviluppo economico dell'Occidente, di ciò che si chiamerà in termini tradizionali la rivoluzione industriale: dove, quando, perché, come? Dove inizialmente è avvenuta la rivoluzione industriale? Quando si è verificata? Perché è avvenuta dapprima in Inghilterra? Come si è realizzata e come si è trasmessa agli altri paesi?
I primi tre interrogativi saranno affrontati nel quadro di questo paragrafo. Al quarto, molto più complesso e anche molto piú importante perché comporta delle implicazioni contemporanee fondamentali, saranno separatamente dedicati due paragrafi.
La prima di queste domande (dove inizialmente sia avvenuta la rivoluzione industriale) è la più facile. In effetti, non solo l'Inghilterra è senza alcun dubbio il paese culla della rivoluzione industrie ma essa è rimasta per un periodo sufficientemente lungo un fenomeno isolato, limitato alla sola Inghilterra. Per circa mezzo secolo, rare sono le innovazioni inglesi che hanno dato luogo a un processo di imitazione nel resto dell'Europa e dell'America del Nord.
La seconda (quando questa rivoluzione industriale sia avvenuta) pone già un problema più difficile, composto di tre elementi principali.
Anzitutto - ed è il primo elemento - si è di fronte a un periodo che gli esperti definiscono prestatistico, perché la mole delle informazioni di cui si dispone è limitata nonostante le numerose ricerche; un periodo, dunque, in cui a volte mancano le informazioni di primaria importanza. Un esempio fra i molti: non si hanno né per il XVIII secolo né persino per una buona parte del XIX secolo stime, per quanto poco attendibili, sull'evoluzione annuale della produzione dei cereali in Inghilterra.
Il secondo elemento è legato alla difficoltà inerente alla datazione di ogni fenomeno che si sviluppa gradualmente. È certamente facile datare, a volte anche con una precisione estrema, la maggior parte delle invenzioni tecniche della rivoluzione industriale. Tuttavia, ciò che più importa è la diffusione di ciascuna di esse e l'effetto di massa prodotto dalla congiunzione di più innovazioni. E tutto ciò è ugualmente graduale: dove stabilire il limite? A partire da quanti chicchi si ha un mucchietto di grano?
Infine - ed è questo un punto molto importante, sul quale si ritornerà - la rivoluzione industriale è stata preceduta e deriva in parte da una rivoluzione agricola. Infatti, la denominazione più adeguata della rivoluzione industriale sarebbe «rivoluzione agricolo-industriale ». Si possono dunque avere due date iniziali se si raziona il fenomeno, oppure una sola se si considera che l'inizio della rivoluzione agricola fu l'inizio della rivoluzione industriale. La data d'inizio della rivoluzione agricola inglese può essere fissata verso il 1700 e quella della rivoluzione industriale propriamente detta verso il 1760. Ma con due annotazioni restrittive: «verso il 1700» e «verso il 1760» significano, grosso modo, 1680-i720 e 1740-70 e una precisione più accurata sarebbe molto arbitraria. In entrambi i casi non si tratta della data delle prime manifestazioni del fenomeno, ma del periodo approssimativo in cui impatto e diffusione del fenomeno stesso hanno incominciato a essere tra loro conseguenti. Ad esempio, se la rivoluzione industriale è iniziata verso il 1760, ciò non implica affatto che delle innovazioni molto importanti non si siano prodotte nel campo industriale prima del 1740. È il caso, specialmente, dell'uso del carbone per produrre il ferro, una delle tre quattro mutazioni tecnologiche più importanti della rivoluzione industriale. Ora, già verso il 1709 Abraham Darby ottiene sicuri successi nei suoi tentativi in questo campo; il che significa che verso il 1760 l'economia britannica, nel suo insieme, incominciava a sentire gli effetti delle trasformazioni economiche legate a queste mutazioni tecnologiche.
Perché l'Inghilterra? Si tratta di un problema delicato che - a parere di chi scrive - non può avere una risposta del tutto soddisfacente. Tuttavia, poiché esso riveste interesse non sono mancate le risposte. Se si sintetizzano le ricerche in materia, si possono individuare otto fattori più frequentemente invocati - a volte isolatamente, piú spesso per grippi i due o di tre - a spiegazione delle ragioni che hanno condotto all'innesco della rivoluzione industriale in Inghilterra. Alla rinfusa e brevemente questi otto fattori sono: la mentalità e la religione; l'espansione commerciale; l'espansione coloniale; la disponibilità delle materie prime; l'alto livello di sviluppo; la struttura politica; l'incremento demografico; la buona rete di comunicazioni. Quando si procede all'analisi di ciascuno di essi, ci si accorge che nessuno è realmente convincente e, sopratutto che nessuno è specifico dell'Inghilterra.
La mentalità, la religione: vi si ritrova in particolare la tesi del sociologo Max Weber, che connette il protestantesimo all'emergere e soprattutto all'espansione del capitalismo, collegando il protestantesimo allo sforzo e all'iniziativa personale. Senza parlare della riduzione del divieto che colpiva nel cattolicesimo il prestito ad interesse, è probabile, per non dire certo, che il protestantesimo abbia portato a foggiare una mentalità secondo la quale lo sforzo personale è maggiormente valorizzato e la riuscita economica ha una connotazione meno negativa, se non positiva. D'altra parte, l'austerità delle forme più spinte del protestantesimo è doppiamente favorevole alla formazione del risparmio e, di conseguenza, alle possibilità d'investimento. In effetti all'austerità del tempio protestante - contrastante con l'opulenza della chiesa cattolica - fa eco l'austerità del modo di vita della Riforma. Tuttavia, anche ammettendo questi legami, l'Inghilterra non era il solo paese a predominanza protestante; l'anglicanesimo è, d'altronde, una variante del protestantesimo, quella che, tra le altre, è più vicina al cattolicesimo. D'altra parte, la storia del XVI secolo, e soprattutto del XIX, mostra casi di regioni cattoliche più dinamiche di altre protestanti.
Non v'è dubbio che verso il I760, l'Inghilterra era la principale potenza commerciale dell'Europa e, pertanto, del mondo. Era una posizione comunque che occupava da assai poco tempo. Lo storico Wilson stima, ad esempio, che il monopolio effettivo dei trasporti e dei commerci europei che gli Olandesi stabilirono all'inizio del secolo XVII sia durato intatto fino al 1730. Verso il 1700, il commercio estero per abitante era probabilmente da cinque a dieci volte piú importante in Olanda che Inghilterra. Occorrerà attendere la metà del XIX secolo perché, sempre in termini relativi, l'Inghilterra soppianti l'Olanda. A sua volta l'Olanda aveva soppiantato il Portogallo, che aveva soppiantato la Spagna, la quale aveva soppiantato l'Italia. In effetti, se un commercio estero importante era stata una condizione sufficiente all' innesco della rivoluzione industriale, questa avrebbe avuto più motivi per verificarsi altrove piuttosto che in Inghilterra. Infatti, prima dell'inizio della rivoluzione industriale (verso il 1660-1680), l'importanza commerciale dell'Inghilterra era non solo molto più debole di quella dell'Olanda, ma anche piú debole di quanto non lo sia stata, ad esempio, quella delle repubbliche italiane del medioevo.
Spiegare la rivoluzione industriale inglese con l'espansione coloniale vuol dire scambiare l'effetto per la causa. L'Inghilterra del XIX secolo é, senza dubbio alcuno, la più grande potenza coloniale non solo di tale periodo ma di tutti i tempi. Verso il 1913, l'impero britannico contava all'incirca quattrocento milioni di sudditi distribuiti su una superficie di trentatré milioni di chilometri quadrati. Se si aggiunge l'impero informale (soprattutto la Cina e gran parte dell'America latina) si arriva a poco più di novecento milioni di abitanti. Ora, verso il 1700, o anche verso il 1750, l'impero inglese comprendeva quasi esclusivamente gli attuali Stati Uniti e qualche isola dell'America centrale, quali Giamaica, Barbados, Bennude, Bahamas. In tutto una popolazione dell'ordine di circa due milioni di unità (e meno di un milione verso il 1700). D'altra parte, gli imperi spagnoli e portoghesi erano, all'epoca, molto più importanti dell'impero britannico.
Nel momento in cui s'incomincia a ricordarsi che le risorse in carbone costituiscono, e di gran lunga, la principale riserva di energia non rinnovabile (oggi le riserve conosciute come ricuperabili rappresentano all'incirca centosettant'anni dell'attuale consumo e il totale delle risorse quasi venti volte di piú), è da sottolineare che anteriormente alla prima guerra mondiale il Regno Unito era il principale esportatore di energia del mondo. Verso il 1911-13, le sue esportazioni di carbone raggiungevano annualmente settantun milioni di tonnellate e rappresentavano il 10 per cento delle sue esportazioni totali. Da solo, verso il 1830 il Regno Unito rappresentava il 79 per cento della produzione europea totale, e ancora il 47 per cento verso il 1910. Il paese era ricco anche in minerali di ferro e di stagno, ricchezze di cui la precocità della rivoluzione industriale aveva consentito l'esplorazione e lo sfruttamento. Ma, in definitiva, in termini di risorse in carbone (per abitante) paesi quali la Germania, il Belgio e la stessa Polonia erano all' inizio altrettanto ben forniti se non meglio. Tuttavia, conviene annotare che all'alba della rivoluzione industriale, l'Inghilterra (con alcune regioni del Belgio e della Germania) era il paese dove il consumo di carbone per uso domestico e «industriale» era piú diffuso. E' dunque a quest'impiego precoce del carbone che si fa indirettamente riferimento quando si attribuisce la precocità della rivoluzione industriale inglese ai progressi già realizzati precedentemente nel campo industriale. Sarà bene riconoscere che l'Inghilterra, prima del XVIII secolo, non era in anticipo negli altri campi dell' industria né quantitativamente (ad eccezione-dei tessuti di lana), nè soprattutto tecnicamente. Cosi, quando Colbert (il celebre controllore generale delle finanze della Francia), alla fine del XVII secolo, decise di ricorrere agli stranieri per «istruire i Francesi», si rivolse agli Olandesi per la tessitura, ai Tedeschi e agli Svedesi per la metallurgia del ferro e del piombo (per il piombo agli Svedesi soprattutto), agli Italiani per la lavorazione del vetro e della seta. Nell'Europa in generale, per la realizzazione dei canali di irrigazione, (insegnamento veniva dai Paesi Bassi (che ne conservarono a lungo il primato) e per l'edilizia l'esempio veniva dall'Italia, dalla Francia e anche dalla Svizzera. Se si contano i fatti tecnici riportati nella tavola cronologica che si trova alla fine della Short History of Technology di Derry e di Williams (analisi condotta da inglesi, I960), si ottengono i seguenti risultati: dal 1600 al 1700 i fatti tecnici registrati per l'Europa continentale sono diciotto, di cui dieci per la Francia e otto per la Gran Bretagna. Molto piú importante è l'argomentazione che accredita (in parte) la precocità della rivoluzione industriale inglese a attori politici e in particolare al fatto che la forma di governo di questo paese consentiva agli interessi economici di esprimersi e i riceverne un sostegno nell' ambito della regolamentazione. Ma ancora una volta, l'Inghilterra non era il solo paese in cui il governo poteva favorire gli interessi economici della borghesia. Analogo favore, e forse piú, si godeva nella maggior parte delle repubbliche italiane come nei Paesi Bassi, senza parlare degli altri casi di monarchie parlamentari e di repubbliche.
Il problema dell'impatto della crescita demografica sull'inizio della rivoluzione industriale inglese è piú delicato a motivo del margine di errore dei dati. Tuttavia, si pub essere certi (e le ricerche recenti lo confermano) che, durante il secolo che ha preceduto l'inizio della rivoluzione agricola e anche durante i trenta-quarant'anni che l'hanno seguito (cioè fino al I73o-40), la crescita della popolazione inglese è rimasta molto modesta e non molto diversa da quella di altri paesi europei. Cosí, nel XVII secolo, la popolazione è cresciuta dello 0,2 per cento all'anno, indubbiamente in modo piú rapido che nel resto dell'Europa (all'incirca lo 0,1 per cento); tuttavia rimane sempre un tasso assai moderato e simile a quelli registrati durante lo stesso periodo da alcuni paesi (Svezia, Paesi Bassi). E' inoltre un tasso molto inferiore a quello di diversi paesi in altri secoli. In effetti esistono dei paesi che hanno conosciuto nel quadro dell'economia tradizionale prima della rivoluzione industriale dei tassi annuali di crescita durante un secolo dell'ordine dello 0,4-0,6 per cento (in particolare la Cina nel XII e nel XVIII secolo; la Svezia e forse anche la Russia nel XVIII secolo; l'India e i Paesi Bassi nel XVI secolo). Durante i primi tre-quattro decenni del XVIII secolo si è manifestata, anzi, un'accelerazione assai poco sensibile nel ritmo di crescita della popolazione inglese, mentre molti paesi hanno visto la loro popolazione accrescersi più rapidamente. Infatti, l'accelerazione della crescita demografica è soprattutto una conseguenza dello sviluppo dell'Inghilterra, il che costringerà a ritornarvi piú avanti. L'ultimo fattore, i buoni mezzi di comunicazione, è una carta vincente indiscutibile dell'Inghilterra. Si tratta essénzialmente del ruolo dell'acqua. L'Inghilterra è un'isola (o, piuttosto, una parte di un'isola) stretta, in cui nessun luogo si trova a una distanza superiore ai centodieci chilometri dal mare, e che, inoltre, possiede un gran numero di fiumi navigabili e pochi rilievi (il che spiega ciò che precede). Ora, ancor più che oggi, il trasporto per via d'acqua era considerevolmente piú economico del trasporto per via di terra. Prima dei rivolgimenti arrecati dalle tecniche della rivoluzione industriale, il trasporto dei beni per via d'acqua (sia per mare sia per fiume) costava all'incirca cinque-otto volte meno caro di quello su strada pianeggiante. Ma... ancora una volta (e per l'ultima volta) occorre sottolineare la non-specificità o, piuttosto, la non unicità di questa caratteristica della Gran Bretagna. Altri paesi (e soprattutto i Paesi Bassi) erano altrettanto ben provvisti di vie naturali; altri paesi, quali la Francia, erano meglio dotati di percorsi artificiali (strade). Similmente, il vantaggio peculiare che deriva dalla posizione geografica dell'Inghilterra, più vicina del resto dell'Europa al futuro importante centro economico che stavano per diventare gli Stati Uniti, è del tutto relativo, poiché gli Stati Uniti diventeranno importanti solo dopo il XVIII secolo; così ad esempio l'Italia nel medioevo si trovava in condizioni ancora migliori in rapporto all'Asia, che svolgeva allora, in fatto di commercio internazionale, un ruolo molto più importante. Se ne trae facilmente la seguente conclusione: se non era in modo speciale avanzata per ciascuno dei punti ricordati, l'Inghilterra è certamente il solo paese europeo ad avèr congiunto nello stesso momento tutte queste caratteristiche. E' dunque questa combinazione di fattori che costituisce probabilmente l'elemento esplicativo.
Questo brano è piuttosto lungo ma didatticamente importante. A casa, ciascun alunno potrebbe leggerlo e analizzarlo, con qualche pista di ricerca:
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