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Giuseppe Palomba, Morfologia economica, UTET, Torino, 1970, pp. 505-506

Fino, forse, all'epoca in cui Leone XIII scrisse la Rerum novarum - e cioè nel 1891 - la Chiesa cattolica non riteneva che il progresso potesse aver valore dal punto vista religioso ed anzi, visto come avanzamento della conoscenza scientifica pura, come posibilità di applicazione della scienza alla tecnica e come conseguenze sociali che da quell'avanzamento e da queste applicazioni potevano scaturire, la Chiesa aveva considerato spesso il progresso come un elemento addirittura negativo della storia contemporanea. E non aveva torto, anche se non si possono condividere alcuni documenti eccessivi o contraddittori come, ad esempio, il Syllabus. Non aveva torto, dicevamo e, sosteniamo, perché: 

1) il progresso scientifico era presentato (e tuttora in molti ambienti viene - con deplorevole abbarbicamento a posizioni antiquate - ancor presentato) quale sinonimo di lotta alla religione, alla fede, alla spiritualità; 

2) le applicazioni tecniche, principalmente intese come graduali e crescenti meccanizzazioni dei processi di lavorazione, riducevano corrispondentemente l'uomo ad un puro e semplice ingranaggio di un meccanismo sempre più complesso ed intricato; 

3) le conseguenze sociali che ne scaturivano erano da collegarsi al fatto che la valutazione dei nuovi processi tecnici, resi possibili dal progresso scientifico, era eseguita in base ad un giudizio strettamente economico, espresso da una coscienza individuale fuorviata dalle linee fondamentali della morale cristiana e degradata rispetto ai valori più elevati della spiritualità emergente dalla predicazione evangelica (la fede diventava conoscenza laica o profana, la speranza aspettativa o previsione scientifica, la carità elemosina, la prudenza calcolo, la temperanza risparmio, la giustizia formalismo giuridico, la fortezza difesa armata dell'ordine fondato sulla proprietà privata delle terre o degli strumenti produttivi).
Dall'epoca della Rerum novarum le cose si sono andate lentamente modificando, fino a giungere alla visione, che a molti sembra rivoluzionaria, ma che in ultima analisi costituisce soltanto la tappa finale di un graduale processo di elaborazione cosciente e maturata, espressa dalla Populorum progressio. Vediamo, infatti: 

1) che oggi il progresso scientifico, purché definitivamente omologato e non semplicemente fondato su ipotesi arbitrarie o su inutili tautologie, può sempre pensarsi come una costruzione umana che non solo non è in contraddizione col dogma religioso cristiano, ma che addirittura ne chiarisce alcuni aspetti inintelligibili (la creazione biblica, ad esempio, è anch'essa una particolare evoluzione; la terra come centro dell'universo è una visione simbolica che considera il corpo umano come punto di partenza della realizzazione spirituale; ogni scienza anche esatta si fonda su un apparato assiomatico o dogmatico come fa il credo religioso e l'unico giudizio di valore che può esprimersi sull'assiomatizzazione assunta è fornito sia dall'idoneità logica di essa ai fatti da spiegare sia dall'ampiezza dei fatti che riesce effettivamente a spiegare; e così di seguito); 

2) la ribellione contro l'uomo ridotto a puro ingranaggio d'un complesso ed intricato meccanismo è oramai generale e la Chiesa omologa la sua precedente condanna che, all'epoca del paleo-capitalismo industriale, costituì una delle cause della defezione della Chiesa anglicana dalla Chiesa di Roma e, successivamente, venne a sua volta bollata come oscurantistica ed anacronistica; 

3 ) il giudizio economico di tipo individualistico dell'imprenditore ottocentesco è, oggi, riconosciuto insufficiente od inadeguato se non viene suffragato dal suo valore sociale: a tal riguardo non sempre si dispone di una logica precisa ed il giudizio è, spesso, affidato. al gioco d'una dialettica equivoca ed anormalmente intenzionale, ma il fatto che se ne discute o che si parla, in forma rigorosa, di un « controllo sociale » dell'economia costituisce indubbiamente un risultato apprezzabile.