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Dottrina sociale della Chiesa

Populorum progressio (1967)

Il testo integrale si trova al seguente indirizzo: http://digilander.iol.it/magistero/pa6popul.htm 

3. Oggi, il fatto di maggior rilievo, del quale ognuno deve prendere coscienza, è che la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale. Giovanni XXIII l'ha affermato nettamente, e il Concilio gli ha fatto eco con la sua Costituzione pastorale su La Chiesa nel mondo contemporaneo 7. Si tratta di un insegnamento grave e che esige una applicazione urgente. I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell'opulenza. La Chiesa trasale davanti a questo grido d'angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore all'appello del suo fratello.

4. Prima della nostra chiamata al supremo Pontificato, due viaggi, nell'America Latina (1960) e in Africa (1962), Ci avevano messo a contatto immediato con i lancinanti problemi che attanagliano dei continenti pieni di vita e di speranza. Rivestiti della paternità universale, abbiamo potuto, nel corso di nuovi viaggi in Terra Santa e in India, vedere coi nostri occhi e quasi toccar con- mano le gravissime difficoltà che assalgono dei popoli di antica civiltà alle prese col problema dello sviluppo. Mentre ancora si stava svolgendo a Roma il Concilio Ecumenico Vaticano Secondo, circostanze provvidenziali Ci portarono a rivolgerci direttamente all'Assemblea generale delle Nazioni Unite. E davanti a quel vasto areopago Ci facemmo l'avvocato dei popoli poveri.

PER UNO SVILUPPO INTEGRALE DELL'UOMO

I. I DATI DEL PROBLEMA

Aspirazioni degli uomini

6. Essere affrancati dalla miseria, trovare con più sicurezza la loro sussistenza, la salute, una occupazione stabile; una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori da ogni oppressione, al riparo da situazioni che offendono la loro dignità di uomini; godere di una maggiore istruzione; in una parola, fare, conoscere, e avere di più, per essere di più: ecco l'aspirazione degli uomini di oggi, mentre un gran numero d'essi è condannato a vivere in condizioni che rendono illusorio tale legittimo desiderio. D'altra parte, i popoli da poco approdati all'indipendenza nazionale sperimentano la necessità di far seguire a questa libertà politica una crescita autonoma e degna, sociale non meno che economica, onde assicurare ai propri cittadini la loro piena espansione umana, e prendere il posto che loro spetta nel concerto delle nazioni.

Colonizzazione e colonialismo

7. Di fronte alla vastità e all'urgenza dell'opera da compiere, gli strumenti ereditati dal passato, per quanto inadeguati, non fanno tuttavia difetto. Bisogna certo riconoscere che le potenze colonizzatrici hanno spesso perseguito soltanto il loro interesse, la loro potenza o il loro prestigio, e che il loro ritiro ha lasciato talvolta una situazione economica vulnerabile, legata per esempio al rendimento di un'unica cultura, i cui corsi sono soggetti a brusche e ampie variazioni. Ma, pur riconoscendo i misfatti di un certo colonialismo e le sue conseguenze negative, bisogna nel contempo rendere omaggio alle qualità e alle realizzazioni dei colonizzatori che, in tante regioni abbandonate, hanno portato la loro scienza e la loro tecnica, lasciando testimonianze preziose della loro presenza. Per quanto incomplete, restano tuttavia in piedi certe strutture che hanno avuto una loro funzione, per esempio sul piano della lotta contro l'ignoranza e la malattia, su quello, non meno benefico, delle comunicazioni o del miglioramento delle condizioni di vita.

Squilibrio crescente

8. Fatto questo riconoscimento, resta fin troppo vero che tale attrezzatura è notoriamente insufficiente per affrontare la dura realtà dell'economia moderna. Lasciato a sé stesso, il suo meccanismo è tale da portare il mondo verso un aggravamento, e non una attenuazione della disparità dei livelli di vita: i popoli ricchi godono di una crescita rapida, mentre lento è il ritmo di sviluppo di quelli poveri. Aumenta lo squilibrio: certuni producono in eccedenza beni alimentari di cui altri soffrono crudelmente la mancanza, e questi ultimi vedono rese incerte le loro esportazioni.

Aumentata presa di coscienza

9. Nello stesso tempo, i conflitti sociali si sono dilatati fino a raggiungere le dimensioni del mondo. La viva inquietudine, che si è impadronita delle classi povere nei paesi in fase di industrializzazione, raggiunge ora quelli che hanno un'economia quasi esclusivamente agricola: i contadini prendono coscienza, anch'essi, della loro < miseria immeritata» 9. A ciò s'aggiunga lo scandalo di disuguaglianze clamorose, non solo nel godimento dei beni, ma più ancora nell'esercizio del potere. Mentre un'oligarchia gode, in certe regioni, d'una civiltà raffinata, il resto della popolazione, povera e dispersa, « è privata pressoché di ogni possibilità di iniziativa personale e di responsabilità, e spesso anche costretta a condizioni di vita e di lavoro indegne della persona umana » lo.

Urti di civiltà

10. Inoltre l'urto tra le civiltà tradizionali e le novità portate dalla civiltà industriale dirompe le strutture che non si adattano alle nuove condizioni. Dentro l'ambito, spesso rigido, di tali strutture s'inquadra la vita personale e familiare, che trovava in esse il suo indispensabile sostegno, e i vecchi vi rimangono attaccati mentre i giovani tendono a liberarsene, come d'un ostacolo inutile, per volgersi avidamente verso nuove forme di vita sociale. Accade così che il conflitto delle generazioni si carica di un tragico dilemma: o conservare istituzioni e credenze ancestrali, ma rinunciare al progresso, o aprirsi alle tecniche e ai modi di vita venuti da fuori, ma rigettare in una con le tradizioni del passato tutta la ricchezza di valori umani che contenevano. Di fatto, avviene troppo spesso che i sostegni morali, spirituali e religiosi del passato vengono meno, senza che l'inserzione nel mondo nuovo sia per altro assicurata.

Conclusione

11. In questo stato di marasma si fa più violenta la tentazione di lasciarsi pericolosamente trascinare verso messianismi carichi di promesse, ma fabbricatori di illusioni. Chi non vede i pericoli che ne derivano, di reazioni popolari violente, di agitazioni insurrezionali, e di scivolamenti verso le ideologie totalitarie? Questi sono i dati del problema, la cui gravità non può sfuggire a nessuno.

Visione cristiana dello sviluppo

14. Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo; deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l'uomo. Com'è stato giustamente sottolineato da un eminente, esperto: «noi non accettiamo di separare l'economico dall'umano, lo sviluppo dalla civiltà dove si inserisce. Ciò che conta per noi è l'uomo, ogni uomo, ogni gruppo d'uomini, fino a comprendere l'umanità tutta intera».

Scala dei valori

18. Siffatta crescita personale e comunitaria verrebbe compromessa ove si deteriorasse la vera scala dei valori. Legittimo è il desiderio del necessario, e il lavoro per arrivarci è un dovere: « se qualcuno si rifiuta di lavorare non deve neanche mangiare » 16. Ma l'acquisizione dei beni temporali può condurre alla cupidigia, al desiderio di avere sempre di più e alla tentazione di accrescere la propria potenza. L'avarizia delle persone, delle famiglie e delle nazioni può contagiare i meno abbienti come i più ricchi, e suscitare negli uni e negli altri un materialismo soffocante.

Crescita ambivalente

19. Avere di più, per i popoli come per le persone, non è dunque lo scopo ultimo. Ogni crescita è ambivalente. Necessaria onde permettere all'uomo di essere più uomo, essa lo rinserra come in una prigione, quando diventa il bene supremo che impedisce di guardare oltre. Allora i cuori s'induriscono e gli spiriti si chiudono, gli uomini non s'incontrano più per amicizia, ma spinti dall'interesse, il quale ha buon giunco nel metterli gli uni contro gli altri e nel disunirli. La ricerca esclusiva dell'avere diventa così un ostacolo alla crescita dell'essere e si oppone alla sua vera grandezza: per le nazioni come per le persone, l'avarizia è la forma più evidente del sottosviluppo morale.

Capitalismo liberale

26. Ma su queste condizioni nuove della società si è malauguratamente instaurato un sistema, che considerava il profitto come motivo essenziale del progresso economico, la concorrenza come legge suprema dell'economia, la proprietà privata dei mezzi di produzione come un diritto assoluto, senza limiti né obblighi sociali corrispondenti. Tale liberalismo senza freno conduceva alla dittatura a buon diritto denunciata da Pio XI come generatrice dell'«imperialismo internazionale del denaro ».

Non si condanneranno mai abbastanza simili abusi, ricordando ancora una volta solennemente Che l'economia è al servizio dell'uomo . Ma se è vero che un certo capitalismo è stato la fonte di tante sofferenze, di tante ingiustizie e lotte fratricide, di cui perdurano gli effetti, errato sarebbe attribuire alla industrializzazione stessa dei mali che sono dovuti al nefasto sistema che l'accompagnava. Bisogna, al contrario, e per debito di giustizia, riconoscere l'apporto insostituibile dell'organizzazione del lavoro e del progresso industriale all'opera dello sviluppo.