28
Ottobre 1917
Alle due del
mattino, sotto la pioggia dirotta si inizia il ripiegamento. Verso
le sei si giunge a Chiusaforte ove ci si schiera sulla già
preparata linea di resistenza e vi si rimane fin verso le tre del
pomeriggio alla quale ore si riparte. Verso le dieci di notte si
giunge a Chiusaforte; il paese è già abbandonato dalla
popolazione civile. Ci distribuiscono una galletta ed una
scatoletta. La divoro, a mezzanotte si riparte. Sono stanco, piove
sempre a dirotto e sono tutto inzuppato.
29
0ttobre 1917
Verso le cinque
del mattino del 29 si giunge a Storione Carmi. Ci portano in
baracche già magazzini. Alle 5 e mezza cavalleggeri a cavallo ci
cacciano fuori a spintonate ed in disordine si riprende la marcia
verso Tolmezzo ove si giunge a mezzogiorno. Si passa il
Tagliamento e ci si schiera all’aperto sull’opposta riva. Alle
sei viene fatto saltare il ponte. Piove sempre; da Chiusaforte non
abbiamo più avuto rancio e l’appetito è molto. Questi sessanta
km. di marcia forzata sotto l’acqua ed a digiuno mi hanno
stancato terribilmente. Verso le sette per un falso allarme si
apre il fuoco su Tolmezzo; erano stati segnalati movimenti nemici
in città; è al contrario un battaglione del 134° di fanteria
che giunge in ritardo. Il colonnello invia un plotone zappatori
del reggimento a costruire una passerella sul ponte distrutto per
il passaggio di detto battaglione. Alle otto il reparto del 134°
è sulla destra del Tagliamento. Ritorna la calma. Non è
possibile il rifornimento viveri ci si sdraia al riparo di un
albero ove si passa la notte.
30
Ottobre.
Nessuna novità.
Vitto niente. Verso le quattro ci si trasferisce a Gavazzo ove si
giunge verso le cinque. Si consuma un rancio unico, senza pane,
alle sette.
31
Ottobre.
Sono stato di
servizio tutta la notte; ho sonno. Alle otto giunge in ufficio il
colonnello e mi ordina di requisire bovini, suini e granaglie alla
popolazione civile. Mi firma i buoni in bianco e alle dieci inizio
il lavoro che continua l’1 e il 2 Novembre.
3
Novembre.
Tutto il
materiale requisito è agglomerato fuori paese e trasferendosi il
comando a Stretta di Grotta, viene abbandonato, ad eccezione dei
bovini che sono avviati a S. Francisco. Si mangia un maiale,
polenta e vino non mancano. La popolazione ha sgomberato
completamente il paese.
4
Novembre.
Nulla di nuovo.
Alle cinque viene l’ordine di trasferire a S. Francisco. Altri
30 km. di marcia in montagna. Alle sette si inizia il movimento e
verso le due si giunge a destinazione.
5
Novembre.
Dopo aver passato
la notte all’adiaccio verso le dieci ci viene distribuito
scatolette, gallette e formaggio. Verso sera ci viene l’ordine
di spostarci verso Spilimbergo, attaccare gli austriaci che
occupano la sommità dei monti circostanti ad aprirci un passaggio
verso la pianura.
6
Novembre.
Alle 4 del
mattino si prende contatto col nemico. Si attacca a fondo;
guadagniamo qualche km di terreno ma le grandi perdite ed il
giungere di rinforzi freschi all’avversario consigliano il
comando di divisione a desistere dall’impresa. Verso le sei
viene l’ordine di abbandonare la posizione, attraversare i due
monti che abbiamo di fianco senza seguire la mulattiera e cercare
di uscire per Tramonti ove forse i germanici non sono ancora
giunti. Si inizia subito il movimento. Piove a dirotto. Si
attraversano posizioni orribili; burroni e precipizi travolgono
buona parte dei quadrupedi e qualche bersagliere.
7
Novembre.
Verso le 12 si
giunge a Campon. Il colonnello ci ordina di ammazzare alcuni
cavalli abbandonati e confezionare il rancio. Ci mettiamo
all’opera, appena iniziato il lavoro raffiche di mitragliatrici
provenienti da tutti i lati ci investono. Impossibile muoverci e
fare resistenza; siamo circondati. Il colonnello ordina la resa.
Il momento è terribile: si zittisce tutti ed alzando le pezzuole
bianche e buttando le armi, le lacrime malamente trattenute
bagnano le ciglia di quasi tutti i bersaglieri, è la rovina e ci
spaventa l’ignoto verso cui ci dirigiamo più di una pallottola
in fronte. Alcuni soldati germanici si portano al guado del
Livenza ed assistono alla sfilata di tutti noi. Ci dirigono a
Campon ove ci radunano e verso le due del pomeriggio ci fanno
proseguire la marcia verso Tramonti ed oltre.
8
Novembre.
Alle 4 del
mattino si giunge a Medino. Ci mettono in un prato a dormire.
Piove ma la fame e la stanchezza non ci permettono di sentire
l’acqua che ci penetra fin nel midollo delle ossa e si riposa
per modo di dire perché il sonno è interrotto frequentemente da
forti tremiti freddi. Verso le undici ci fanno uscire ed al
passaggio del ponte sul Livenza ci distribuiranno un pugno di
farina gialla a testa; in un prato la polenta. Polenta senza sale
che in altri tempi lo stomaco avrebbe rifiutato! L’ho trovata
squisita. All’una ci si mette in marcia per raggiungere Tarcento.
Tanto per
cambiare piove ancora. Nel tragitto si trovano lunghe colonne di
carreggi austriaci, ora che marciano verso le prime linee ed altre
che cariche di materiali requisiti e saccheggiati nei ridenti e
disgraziati paesetti del Friuli, invaso marciano verso
l’interno. Dopo un’ora circa di cammino, disteso nel fosso
della strada man mano sfilando troviamo il cadavere di un
bersagliere. Ha il cranio spaccato, il fucile ancora stretto tra
le mani rigide, il corpo supino rivolto alle nostre vecchie
trincee. Povero Giovane! Povera mamma tua condannata a sperare
eternamente nel tuo ritorno e destinata a ignorare sempre la tua
misera, eroica certamente, fine. |