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LABORATORIO DI STORIA > materiali didattici > progetti di lavoro > la ricerca sulla storia della scuola > ottobre 2002 |
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La ricerca della rete delle scuole
polo di storia sulla storia della scuola gli interventi del seminario di ottobre 2002 I
libri di testo e le riforme della scuola: una cronologia 1859:
legge Casati regio decreto n.3725 del 13/11/1859 il
testo della legge è innovativo, in via di principio, rispetto al resto
d'Europa = obbligatorietà, gratuità ed unicità del grado elementare di
istruzione ma l'Italia si trova in una condizione di analfabetismo peggiore
rispetto agli altri paesi europei, determinata da arretratezza economica. *
biennio inferiore (obbligatorio e gratuito, a carico di comuni, ma
attivabile in proporzione alle loro facoltà e ai bisogni degli abitanti
[art.137] + stipendi di insegnanti subordinati a distinzione tra urbane e
rurali e ad agiatezza di comune) *
biennio superiore (nei comuni sede di istituti secondari e con popolazione
superiore a 4.000 abitanti) La
formazione dei maestri è assicurata dall'istituzione di 9 scuole normali
per preparazione di maestri, triennali, con accesso a 15 anni (femmine) e 16
(maschi) 1877:
Sinistra al potere Legge
Coppino = norme attuative della Casati e sua estensione a tutto il
territorio nazionale --> già attuata dal 1861 ma in modo insufficiente Art.2.
L'obbligo di cui all'articolo 1 rimane limitato al corso elementare
inferiore, il quale dura di regola fino ai nove anni, e comprende le
prime nozioni dei doveri dell'uomo e del cittadino, la lettura, la
calligrafia, i rudimenti della lingua italiana, dell'aritmetica e del
sistema metrico; può cessare anche prima se il fanciullo sostenga con
buon esito sulle predette materie un esperimento che avrà luogo o nella
scuola o innanzi al delegato scolastico, presenti i genitori od altri
parenti. Se l'esperimento fallisce obbligo è protratto fino ai dieci anni
compiuti. 1888:
redazione dei nuovi programmi La
Legge Coppino guidò la scuola italiana fino al periodo positivista che, in
genere, viene fatto risalire al 1888, cioé a quando vennero pubblicati i
Nuovi Programmi per la scuola elementare. Era quello un periodo molto
delicato sul piano politico per la nostra Nazione: la questione con i
cattolici era ancora aperta ed era fonte di instabilità politica. Le
speranze risorgimentali di una rapida risoluzione dei problemi sociali ed
economici si andavano rivelando illusorie: esse lasciavano il passo alla
difficile realtà di un Paese nel quale il timido avvio dello sviluppo
industriale si scontrava con l'arretratezza di tutto il sistema economico e
con le prime forme di aggregazione operaia e sindacale, con sullo sfondo il
definitivo declino della borghesia nobiliare sette-ottocemtesca. I Programmi
del 1888 dimostravano, con chiarezza, la loro matrice positivista: essi,
infatti, dettero molta importanza al metodo sperimentale, finalizzato alla
formazione dello strumento testa, alla concezione della oggettività della
conoscenza, alla scientifizzazione degli apprendimenti. Si puntò, in
particolare, sull'educazione della volontà, fatto che in seguito avrebbe
prodotto un'eccessiva considerazione per i metodi disciplinari. Una
particolare attenzione venne riservata all'educazione intellettiva, intesa
come forma educativa del pensiero critico, cioé come lotta al dogmatismo.
Le materie di studio furono portate a cinque, la religione divenne materia
facoltativa, alternativa allo studio dei diritti e dei doveri dei cittadini.
Il
maestro deve tener presente che la scuola ha da servire a tre fini: a dar
vigore al corpo, penetrazione all'intelligenza e rettitudine all'animo a
governarsi in ogni cosa per modo, in quanto è fattibile, da
conseguirli. Nel
frattempo, grazie ad una serie di sovvenzioni elargite dallo Stato ai
Comuni, miglioravano le condizioni generali degli insegnanti. In seguito la
Riforma positivista fu completata da altri provvedimenti legislativi. 1894:
programmi Boccelli Essi
introdussero la proposta di una nuova pedagogia del lavoro, la quale,
fondamentalmente, puntava sulla eliminazione dagli studi del troppo e del
vano, per poter dare al popolo quanto bastava. Siamo, d'altronde, in pieno
Stato Liberale e le idee di Voltaire sui pericoli dell'acculturazione di
massa facevano scuola anche in Italia. 1903
approvazione dello stato giuridico degli insegnanti elementari 1904
estensione dell'obbligo a 12 anni,
elementari ridotte a 4 anni per chi continua gli studi con aggiunta
di V e VI per chi non continua e istituzione di scuole serali e festive per
il recupero dei semianalfabeti 1905:
programmi Orestano, di concezione habertiana. Alla scuola elementare,
essi affidarono il compito di preparare gli alunni per gli studi successivi.
1911
Legge Daneo-Credaro preceduta da un altro provvedimento legislativo per le
scuole elementari del Mezzogiorno, teso a finanziare con fondi statali
l'edilizia scolastica e ad integrare gli stipendi degli insegnanti. Con la
Legge del 1911, questi furono inquadrati in un ruolo provinciale unico e
raccolti in due categorie, maestri di scuole urbane e maestri di scuole
rurali. Sul piano critico, possiamo dire che tutta la riforma positivista fu
progressivamente svuotata di contenuti e di significati, sino a dar vita a
fenomeni di enciclopedismo e pedantismo. 1923:
Riforma Gentile Essa
fu accompagnata dalla promulgazione dei programmi di Giuseppe Lombardo
Radice, elaborati in base all'ispirazione spiritualista di Giovanni
Gentile. I Programmi ponevano al centro del processo educativo l'opera
dell'insegnamento e il suo rapporto con il bambino: compito del maestro
diventava quello di accrescere e continuamente rinnovare la propria identità
culturale e professionale e di proporre apprendimenti, ispirandosi, da un
lato alla tradizione popolare, dall'altro alla produzione dei grandi ingegni
del passato. la sua idea rimane quella
di collegare i buoni sforzi degli educatori italiani e di far penetrare
nella scuola comune e nelle famiglie un orientamento educativo più
rispettoso della creatività del fanciullo. In tal senso l'educazione non era altro che processo di autoeducazione, nel quale l'insegnante diventava il competente interprete del testo programmatico, impegnato a favorire il naturale e spontaneo processo di sviluppo della creatività infantile: acquistavano così grande importanza gli apprendimenti che potremmo definire di tipo artistico, i quali avrebbero favorito l'ingenua ricerca del vero. Un
Regio Decreto stabilì inoltre che una commissione provinciale, cui
partecipavano anche funzionari ministeriali, valutasse l'ammissibilità dei
libri di testo esistenti. 1923-40
politica dei ritocchi che modifica in senso più totalitario e
propagandistico l'impianto della riforma; 1926
Opera Nazionale Balilla = nata per il controllo dell'educazione
fisica e dal 1929 posta sotto il controllo del Ministero dell'educazione
nazionale 1929:
libro unico di stato = 5 milioni e mezzo di copie da Poligrafico di
Stato 1933
scuole elementari sotto gestione diretta di Stato 1935: aggiunta della cultura militare alle materie di insegnamento per le scuole di ogni ordine e grado:tutti i programmi virano in senso propagandistico e militatista 1938:
leggi sulla difesa della razza via insegnanti e studenti ebrei da
scuola di stato + epurazione di libri di testo e nuove discipline
universitarie (demografia, antropometria, statistica comparata delle razze)
1939:
la Carta dei Servizi della Scuola proposta dal Bottai, documento
programmatico in 29 dichiarazioni, conclude il processo di politicizzazione
attraverso l'introduzione dell'obbligo da parte degli insegnanti di giurare
fedeltà al regime. Molta attenzione viene data ala lavoro e alle attività
manuali. 1945:
emanati i Programmi Omedeo-De Ruggiero, basati sul
rispetto della spontaneità infantile e sulla preparazione del piano delle
attività didattiche. 1955:
Programmi Ermini. Questa
formazione, anteriore a qualunque finalità professionale, fa sì che la
scuola primaria sia elementare non solo in quanto fornisce gli elementi
della cultura, ma soprattutto in quanto educa le capacità fondamentali
dell'uomo; essa ha, per dettato esplicito della legge, come suo
fondamento e coronamento l'insegnamento della dottrina cristiana secondo
la forma ricevuta dalla tradizione cattolica. Sono
evidenziate: la
necessita di muovere dal mondo concreto del fanciullo, tutto intuizione,
fantasia, sentimento; la sollecitudine di fare scaturire dall'alunno
stesso l'interesse all'apprendere; la cura di svolgere gradualmente le
attitudini all'osservazione, alla riflessione, all'espressione; la
costante preoccupazione di aiutare in tutti i modi il processo formativo
dell'alunno senza interventi che ne soffochino o ne forzino la spontanea
fioritura e maturazione; la consapevolezza, finalmente, che scopo
essenziale della scuola non è tanto quello di impartire un complesso
determinato di nozioni, quanto di comunicare al fanciullo la gioia e il
gusto di imparare e di fare da se, perché ne conservi l'abito oltre i
confini della scuola, per tutta la vita. In
pratica, sull'onda dello spiritualismo pedagogico allora imperante, essi
pensarono ad un bambino tutto casa, cuore e conformismo, spostando così il
baricentro educativo dalla sfera intellettuale a quella etico-affettiva.
Già
negli anni '70, però, il legislatore iniziò ad avvertire l'inadeguatezza
di quei Programmi. I tempi, in effetti, stavano cambiando più velocemente
del solito, si stava entrando nell'era massmediale di una società
policentrica e multiforme: il post-moderno si avvicinava. Tutto, o quasi,
era dunque da cambiare. A ciò, in parte, pensarono i Decreti delegati del
'74, ma i veri interpreti del cambiamento furono i Programmi dell'85. |
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