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Soldati di Francia e torbiere di Franciacorta 
di Gianni Bergamaschi

 24 giugno 1859  

A questo punto, come è possibile procedere nel senso di quegli “andirivieni”  

a)      tra la storia locale e quella generale,

b)      tra la storia delle variabili soggettive (valori, mentalità, cultura materiale, ecc.) e quella strutturale,

c)      tra la storia politica (rivalutata da non pochi storici contemporanei) e quella sociale,

d)      tra l’histoire bataille/évenémentielle e la longue durée,  

essendo attraverso questo processo dinamico che va progressivamente “costruito”, soprattutto in fase didattica, il discorso/racconto storico? 

Innanzitutto, contro-zoomando dalla storia locale verso quella più generale, dai microeventi agli avvenimenti di più ampio coinvolgimento spazio-temporale.

In tal senso, può essere utile consultare una “storia” di interesse provinciale (F. Nardini, Brescia e provincia. Storia per date dalla preistoria al 1980, Editoriale Ramperto, 1982, pp.178-9), dove l’evento (la battaglia di San Martino e Solferino) risulta ovviamente collocato all’interno di un più vasto contesto risorgimentale, tra locale e nazionale.

Cercando nell’environ cronologico immediatamente prossimo alla data del 24 giugno 1859, si apprende che il giorno 17 di quello stesso mese re Vittorio Emanuele II entrò acclamato in Brescia e a Travagliato fu impegnato in un consiglio di guerra con Napoleone III.

Intanto, il giorno successivo Garibaldi occupava Salò.

Il 23 giugno i franco-piemontesi varcarono il Chiese, mentre gli austriaci avanzarono dalla linea del Mincio.

All’alba del 24 giugno, tra le sei e le sette, gli eserciti avversari presero contatto. Sulle alture di San Martino e Solferino si fronteggiarono 111.271 austriaci e 82.935 francesi, alleati a 21.842 piemontesi.

Si combatté dal primo mattino fino alla notte, tra furiosi temporali.

Alla sera, le truppe austriache furono costrette a ritirarsi oltre il Mincio, lasciando sul campo, fra morti, feriti e dispersi, 21.730 uomini, contro gli 11.670 francesi e i 5.625 piemontesi.

Castiglione delle Stiviere, Montichiari, Castenedolo, Lonato e Brescia si trasformarono in centri di raccolta dei feriti. Ospedali, chiese e abitazioni private si misero a disposizione.

L’11 luglio, a Villafranca fu firmato l’armistizio: la Lombardia era libera, mentre il Veneto restava in mano austriaca. 

Fin qui, l’histoire bataille.  

Tuttavia, sulle pagine di un’altra opera del medesimo autore (Brescia e i bresciani dalle origini al 1945, Editoriale Ramperto, 1979, pp. 158-9) è possibile imbattersi in alcuni significativi passaggi di storia concreta (quella “culturale”, degli atteggiamenti individuali o di massa, del soggettivo o collettivo reagire alle conseguenze recate dalla storia dei potenti):

- “ è la battaglia più grandiosa e tremenda del nostro Risorgimento: se ne tramanderà a lungo  la storia in senso popolare”;

- “Brescia diventa una città-ospedale: si aprono le chiese, i seminari, le case private per accoglierei feriti a migliaia. Bortolo Gualla dirige il servizio medico di assistenza. La popolazione generosa collabora di sua iniziativa all’opera di umana solidarietà. Si distingue fra tutti una ventenne del quartiere medievale del Carmine, Angela Terinelli, che con quindici amiche raccoglie e assiste un gran numero di feriti dirigendoli in case private”;

- “I liberali aristocratici sono entusiasti, anche perché monarchici; i borghesi pregustano, nel regno costituzionale sabaudo, di poter pesare di più nella vita dello Stato; i medio-borghesi e gli artigiani hanno qualche dubbio sul loro futuro. Qualche timore esprime il clero patriottico, per il fatto che, se vengono applicate le leggi piemontesi sui beni ecclesiastici, lo si priva delle sue proprietà, gli si tolgono insomma altri privilegi, si approssima la fine del potere temporale del papa. Quanto ai contadini, essi considerano il cambiamento politico un affare dei siòri: in concreto non vi scorgono, e a ragione, alcun motivo per rallegrarsi; le loro condizioni di vita rimangono sempre le stesse e perciò si rivelano assenti o indifferenti, e a volte ostili, al nuovo Stato”.

- Come vivevano i contadini sotto gli Austriaci?

- In effetti, che cosa cambiò per loro con il passaggio della Lombardia al Regno di Sardegna? (permanenze)

- In quale misura le masse erano prese in considerazione nel progetto di Cavour?

- Chi Napoleone III mandava a morire in guerra? Chi Cavour?

- Di chi realmente la politica di quest’ultimo faceva il gioco?

- Che cosa rendeva impossibile l’Austria con la sua presenza in Italia?

- Quali erano gli obiettivi perseguiti dalla borghesia liberale?

- A che cosa mirava la borghesia del nord Italia, aspirando all’Unità?

- Quale possibile evoluzione di quest’ultima era caldamente esorcizzata dai “piemontesi”?

- Quali furono gli unici concreti protagonisti e beneficiari di quella progressiva integrazione tra le varie economie nazionali verificatasi tra il 1848 e il 1870?

- Quali conseguenze ebbe per le masse operaie e contadine la “piemontesizzazione”, a Unità conseguita?

- In che misura l’indifferenza contadina agli affari dei “siòri” può ancor oggi essere considerata legittima e straordinariamente attuale? (lunghissime durate)

 
 

  

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