Il mantello
di Dino Buzzati
Dopo interminabile attesa quando la speranza già
cominciava a morire, Giovanni ritornò alla sua casa. Non
erano ancora suonate le due, sua mamma stava
sparecchiando, era una giornata grigia di marzo e
volavano cornacchie.
Egli comparve improvvisamente sulla soglia e la mamma
gridò: «Oh benedetto!» correndo ad abbracciarlo. Anche
Anna e Pietro, i due fratellini molto più giovani, si
misero a gridare di gioia. Ecco il momento aspettato per
mesi e mesi, così spesso balenato nei dolci sogni
dell'alba, che doveva riportare la felicità.
Egli non disse quasi parola, troppa fatica costandogli
trattenere il pianto. Aveva subito deposto la pesante
sciabola su una sedia, in testa portava ancora il
berretto di pelo. «Lasciati vedere» diceva tra le
lacrime la madre, tirandosi un po' indietro «lascia
vedere quanto sei bello. Però sei pallido, sei.»
Era alquanto pallido infatti e come sfinito. Si tolse il
berretto, avanzò in mezzo alla stanza, si sedette. Che
stanco che stanco, perfino a sorridere sembrava facesse
fatica. «Ma togliti il mantello, creatura» disse la
mamma, e lo guardava come un prodigio, sul punto
d'esserne intimidita; com'era diventato alto, bello
fiero (anche se un po' troppo pallido). «Togliti il
mantello, dammelo qui, non senti che caldo?» Lui ebbe un
brusco movimento di difesa, istintivo, serrandosi
addosso il mantello, per timore forse che glielo
strappassero via.
«No, no lasciami» rispose evasivo «preferisco di no,
tanto tra poco devo uscire...»
«Devi uscire? Torni dopo due anni e vuoi subito uscire?»
fece lei desolata, vedendo subito ricominciare, dopo
tanta gioia. l'eterna pena delle madri. «Devi uscire
subito? E non mangi qualcosa?»
«Ho già mangiato, mamma» rispose il figlio con un
sorriso buono. e si guardava attorno assaporando le
amate penombre. «Ci siamo fermati a un'osteria, qualche
chilometro da qui...»
«Ah, non sei venuto solo? E chi c'era con te? Un tuo
compagno di reggimento? Il figliolo della Mena forse?»
«No, no, era uno incontrato per via. È fuori che aspetta
adesso.-«E lì che aspetta? E perché non l'hai fatto
entrare? L'hai lasciato in mezzo alla strada?»
Andò alla finestra e attraverso l'orto, di là del
cancelletto di legno, scorse sulla via una figura che
camminava su e giù lentamente; era tutta intabarrata e
dava sensazione di nero. Allora nell'animo di lei
nacque, incomprensibile, in mezzo ai turbini della
grandissima gioia, una pena misteriosa ed acuta.
«E meglio di no» rispose lui, reciso. «Per lui sarebbe
una seccatura, è un tipo così.»
«Ma un bicchiere di vino? glielo possiamo portare, no,
un bicchiere di vino?»
«Meglio di no, mamma. È un tipo curioso, è capace di
andar sulle furie.»
«Ma chi è allora? Perché ti ci sei messo insieme? Che
cosa vuole da te?»
«Bene non lo conosco» disse lui lentamente e assai
grave. «L'ho incontrato durante il viaggio. E venuto con
me, ecco.»
Sembrava preferisse altro argomento, sembrava se ne
vergognasse. E la mamma, per non contrariarlo, cambiò
immediatamente discorso, ma già si spegneva nel suo
volto amabile la luce di prima.
«Senti» disse «ti figuri la Marietta quando saprà che
sei tornato? Te l'immagini che salti di gioia? È per lei
che volevi uscire?»
Egli sorrise soltanto, sempre con quell'espressione di
chi vorrebbe essere lieto eppure non può, per qualche
segreto peso.
La mamma non riusciva a capire: perché se ne stava
seduto, quasi triste, come il giorno lontano della
partenza? Ormai era tornato, una vita nuova davanti,
un'infinità di giorni disponibili senza pensieri, tante
belle serate insieme, una fila inesauribile che si
perdeva di là delle montagne, nelle immensità degli anni
futuri. Non più le notti d'angoscia quando all'orizzonte
spuntavano bagliori di fuoco e si poteva pensare che
anche lui fosse là in mezzo, disteso immobile a terra,
il petto trapassato, tra le sanguinose rovine. Era
tornato, finalmente, più grande, più bello, e che gioia
per la Marietta. Tra poco cominciava la primavera, si
sarebbero sposati in chiesa, una domenica mattina, tra
suono di campane e fiori. Perché dunque se ne stava
smorto e distratto, non rideva di più, perché non
raccontava le battaglie? E il mantello? perché se lo
teneva stretto addosso, col caldo che faceva in casa?
Forse perché, sotto, l'uniforme era rotta e infangata?
Ma con la mamma, come poteva vergognarsi di fronte alla
mamma? Le pene sembravano finite, ecco invece subito una
nuova inquietudine.
Il dolce viso piegato un po' da una parte, lo fissava
con ansia, attenta a non contrariarlo, a capire subito
tutti i suoi desideri. O era forse ammalato? O
semplicemente sfinito dai troppi strapazzi? Perché non
parlava, perché non la guardava nemmeno?
In realtà il figlio non la guardava, egli pareva anzi
evitasse di incontrare i suoi sguardi come se ne temesse
qualcosa. E intanto i due piccoli fratelli lo
contemplavano muti, con un curioso imbarazzo.
«Giovanni» mormorò lei non trattenendosi più. «Sei qui
finalmente, sei qui finalmente! Aspetta adesso che ti
faccio il caffè.»
Si affrettò alla cucina. E Giovanni rimase coi due
fratelli tanto più giovani di lui. Non si sarebbero
neppure riconosciuti se si fossero incontrati per la
strada, che cambiamento nello spazio di due anni. Ora si
guardavano a vicenda in silenzio, senza trovare le
parole, ma ogni tanto sorridevano insieme, tutti e tre,
quasi per un antico patto non dimenticato.
Ed ecco tornare la mamma, ecco il caffè fumante con una
bella fetta di torta. Lui vuotò d'un fiato la tazza,
masticò la torta con fatica. «Perché? Non ti piace più?
Una volta era la tua passione!» avrebbe voluto
domandargli la mamma, ma tacque per non importunarlo.
«Giovanni» gli propose invece «e non vuoi rivedere la
tua camera? C'è il letto nuovo, sai? ho fatto imbiancare
i muri, una lampada nuova, vieni a vedere... ma il
mantello, non te lo levi dunque?... non senti che
caldo?»
Il soldato non le rispose ma si alzò dalla sedia movendo
alla stanza vicina. I suoi gesti avevano una specie di
pesante lentezza, come s'egli non avesse venti anni. La
mamma era corsa avanti a spalancare le imposte (ma entrò
soltanto una luce grigia, priva di qualsiasi
allegrezza).
«Che bello!» fece lui con fioco entusiasmo, come fu
sulla soglia alla vista dei mobili nuovi, delle tendine
immacolate, dei muri bianchi, tutto quanto fresco e
pulito. Ma, chinandosi la mamma ad aggiustare la coperta
del letto, anch'essa nuova fiammante, egli posò lo
sguardo sulle sue gracili spalle, sguardo di
inesprimibile tristezza e che nessuno poteva vedere.
Anna e Pietro infatti stavano dietro di lui, i faccini
raggianti, aspettandosi una grande scena di letizia e
sorpresa.
Invece niente. «Com'è bello! Grazie, sai? mamma» ripeté
lui, e fu tutto. Muoveva gli occhi con inquietudine,
come chi ha desiderio di conchiudere un colloquio
penoso. Ma soprattutto, ogni tanto, guardava, con
evidente preoccupazione, attraverso la finestra, il
cancelletto di legno verde dietro il quale una figura
andava su e giù lentamente.
«Sei contento, Giovanni? sei contento?» chiese lei
impaziente di vederlo felice. «Oh, sì, è proprio bello»
rispose il figlio (ma perché si ostinava a non levarsi
il mantello?) e continuava a sorridere con grandissimo
sforzo.
«Giovanni» supplicò lei. «Che cos'hai? che cos'hai,
Giovanni? Tu mi tieni nascosta una cosa, perché non vuoi
dire?»
Egli si morse un labbro, sembrava che qualcosa gli
ingorgasse la gola. «Mamma» rispose dopo un po' con voce
opaca «mamma, adesso io devo andare.»
«Devi andare? Ma torni subito, no? Vai dalla Marietta,
vero? dimmi la verità, vai dalla Marietta?» e cercava di
scherzare, pur sentendo la pena.
«Non so, mamma» rispose lui sempre con quel tono
contenuto ed amaro; si avviava intanto alla porta, aveva
già ripreso il berretto di pelo «non so, ma adesso devo
andare, c'è quello là che mi aspetta.»
«Ma torni più tardi? torni? Tra due ore sei qui, vero?
Farò venire anche zio Giulio e la zia, figurati che
festa anche per loro, cerca di arrivare un po' prima di
pranzo...»
«Mamma» ripeté il figlio, come se la scongiurasse di non
dire di più, di tacere, per carità, di non aumentare la
pena. «Devo andare, adesso, c'è quello là che mi
aspetta, è stato fin troppo paziente.» Poi la fissò con
sguardo da cavar l'anima.
Si avvicinò alla porta, i fratellini, ancora festosi,
gli si strinsero adso e Pietro sollevò un lembo del
mantello per sapere come il fratello fosse vestito di
sotto. «Pietro, Pietro! su, che cosa fai? lascia stare.
Pietro!» gridò la mamma, temendo che Giovanni si
arrabbiasse.
«No, no!» esclamò pure il soldato, accortosi del gesto
del ragazzo. Ma ormai troppo tardi. I due lembi di panno
azzurro si erano dischiusi un istante.
«Oh, Giovanni, creatura mia, che cosa ti han fatto?»
balbettò la madre, prendendosi il volto tra le mani.
«Giovanni, ma questo è sangue!»
«Devo andare, mamma» ripeté lui per la seconda volta,
con disperata fermezza. «L'ho già fatto aspettare
abbastanza. Ciao Anna, ciao Pietro, addio mamma.»
Era già alla porta. Uscì come portato dal vento.
Attraversò l'orto quasi di corsa, aprì il cancelletto,
due cavalli partirono al galoppo, sotto il cielo grigio,
non già verso il paese, no, ma attraverso le praterie,
su verso il nord, in direzione delle montagne.
Galoppavano, galoppavano.
E allora la mamma finalmente capì, un vuoto immenso, che
mai e poi mai nei secoli sarebbero bastati a colmare, si
aprì nel suo cuore. Capì la storia del mantello, la
tristezza del figlio e soprattutto chi fosse il
misterioso individuo che passeggiava su e giù per la
strada. in attesa, chi fosse quel sinistro personaggio
fin troppo paziente. Così misericordioso e paziente da
accompagnare Giovanni alla vecchia casa (prima di
condurselo via per sempre), affinché potesse salutare la
madre; da aspettare parecchi minuti fuori del cancello,
in piedi, lui signore del mondo, in mezzo alla polvere,
come pezzente affamato.
(da D. Buzzati, Sessanta racconti, Mondadori, Milano
1994)
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