UNA VOCE
di Luigi Pirandello
Pochi giorni
prima che morisse, la marchesa Borghi aveva voluto
consultare, piú per scrupolo di coscienza che per altro,
anche il dottor Giunio Falci, per il proprio figlio
Silvio, cieco da circa un anno. Lo aveva fatto visitare
dai piú illustri oculisti d'Italia e dell'estero e tutti
le avevano detto che era afflitto d'un glaucoma,
irrimediabile.
Il dottor Giunio Falci aveva vinto da poco, per
concorso, il posto di direttore della clinica oftalmica;
ma sia per la sua aria stanca e sempre astratta, sia per
la figura sgraziata, per quel suo modo di camminare
tutto rilassato e dinoccolato, con la grossa testa
precocemente calva, buttata indietro, non riusciva a
cattivarsi né la simpatia né la confidenza d'alcuno.
Egli lo sapeva e pareva ne godesse. Rivolgeva agli
scolari, ai clienti domande curiose, penetranti, che
aggelavano e sconcertavano; e troppo chiaramente
lasciava intendere il concetto che s'era formato della
vita, cosí nudo di tutte quelle intime e quasi
necessarie ipocrisie, di quelle spontanee, inevitabili
illusioni che ciascuno, senza volerlo, si crea e si
compone per un bisogno istintivo, quasi di pudor
sociale, che la sua compagnia diveniva a lungo andare
insopportabile.
Invitato dalla marchesa Borghi, aveva esaminato a lungo,
attentamente, gli occhi del giovine senza prestare
ascolto, almeno in apparenza, a tutto ciò che la
marchesa intanto gli diceva intorno alla malattia, ai
giudizi degli altri medici, alle varie cure tentate.
Glaucoma? No. Non aveva creduto di riscontrare in quegli
occhi i segni caratteristici di questa malattia, il
colore azzurrognolo o verdiccio dell'opacità, ecc. ecc.;
gli era parso piuttosto che si trattasse di una rara e
strana manifestazione di quel male che comunemente suol
chiamarsi cateratta. Ma non aveva voluto manifestare
cosí in prima alla madre il suo dubbio, per non farle
nascere di improvviso foss'anche una tenue speranza.
Dissimulando il vivissimo interesse che quel caso strano
gli destava, le aveva invece manifestato il desiderio di
tornare a visitar l'infermo fra qualche mese.
Era infatti ritornato; ma, insolitamente, per quella via
nuova, sempre deserta, in fondo ai Prati di Castello
dove sorgeva il villino della marchesa Borghi, aveva
trovato una frotta di curiosi davanti al cancello
aperto. La marchesa Borghi era morta d'improvviso,
durante la notte.
Che fare? Tornarsene indietro? Aveva pensato che, se
nella prima visita avesse manifestato il dubbio che il
male di quel giovane non fosse, a suo modo di vedere, un
vero e proprio glaucoma, forse quella povera madre non
sarebbe morta con la disperazione di lasciare il figlio
irrimediabilmente cieco. Ebbene, se non gli era piú dato
di consolare con questa speranza la madre, non avrebbe
potuto almeno cercare con essa un gran conforto al
povero superstite, cosí tremendamente colpito da quella
nuova, improvvisa sciagura?
Ed era salito al villino.
Dopo una lunga attesa, fra il trambusto che vi regnava,
gli si era presentata una giovine vestita di nero,
bionda, dall'aria rigida, anzi severa: la dama di
compagnia della defunta marchesa. Il dottor Falci le
aveva esposto il perché di quella visita, che sarebbe
stata altrimenti importuna. A un certo punto, con una
lieve meraviglia che tradiva la diffidenza, quella gli
aveva domandato:
- Ma vanno dunque soggetti anche i giovani alla
cateratta?
Il Falci l'aveva guardata un tratto negli occhi, poi,
con un sorriso ironico, percettibile piú nello sguardo
che sulle labbra, le aveva risposto:
- E perché no? Moralmente, sempre, signorina: quando
s'innamorano. Ma anche fisicamente, pur troppo.
La signorina, irrigidendosi di piú, aveva allora
troncato il discorso, dicendo che, nelle condizioni in
cui il marchese si trovava in quel momento, non era
proprio possibile parlargli di nulla; ma che, quando si
fosse un po' quietato, ella gli avrebbe detto di quella
visita e certo egli lo avrebbe fatto chiamare.
Erano trascorsi piú di tre mesi: il dottor Giunio Falci
non era stato richiamato.
Veramente, la prima visita aveva lasciato alla marchesa
defunta una pessima impressione del dottore. La
signorina Lydia Venturi, rimasta come governante e
lettrice del giovane marchese, lo ricordava bene. Per
istintivo malanimo contro quell'antipaticissimo dottore
non considerava, intanto, se per avventura non sarebbe
stata diversa quella impressione della marchesa, ove il
Falci fin da principio le avesse fatto sperare non
improbabile la guarigione del figlio. Per conto suo,
stimò da ciarlatano e peggio la seconda visita, quel
venire proprio nel giorno che la marchesa era morta a
manifestare un dubbio, ad accendere una speranza di
quella sorta. Tanto piú che il giovane marchese pareva
ormai rassegnato alla sciagura. Mortagli cosí d'un
tratto la madre, oltre al bujo della sua cecità, un
altro bujo s'era sentito addensare piú dentro che
attorno, terribile, di fronte al quale, è vero, tutti
gli uomini sono ciechi. Ma da questo bujo, chi abbia gli
occhi sani può almeno distrarsi con la vista delle cose
intorno: egli no: cieco per la vita, cieco ora anche per
la morte. E in quest'altro bujo, piú freddo e piú
tenebroso, sua madre era scomparsa, silenziosamente,
lasciandolo solo, in un vuoto orrendo.
A un tratto - non sapeva bene da chi - una voce d'una
dolcezza infinita era venuta a lui, come una luce
soavissima. E a questa voce tutta l'anima sua, sperduta
in quel vuoto orrendo, s'era aggrappata.
Non era altro che una voce per lui la signorina Lydia.
Ma era pur colei che piú di tutti, negli ultimi mesi,
era stata vicina a sua madre. E sua madre - egli lo
ricordava - parlandogli di lei, gli aveva detto ch'era
buona e attenta, di squisite maniere, colta,
intelligente; e tale egli ora la sperimentava nelle cure
che aveva per lui, nei conforti che gli dava.
Lydia, fin dai primi giorni, aveva sospettato che la
marchesa Borghi, prendendola al suo servizio, non
avrebbe veduto male, nel suo egoismo materno, che il
figlio infelice si fosse in qualche modo consolato con
lei: se n'era acerbamente offesa e aveva costretto la
sua naturale dolcezza a irrigidirsi in un contegno
addirittura severo. Ma dopo la sciagura, quand'egli, tra
il pianto disperato, le aveva preso una mano e vi aveva
appoggiato il bel volto pallido, gemendo: «Non mi
lasci!... non mi lasci!», s'era sentita vincere dalla
compassione, dalla tenerezza, e s'era dedicata a lui,
senza piú sospetto.
Presto, con la timida ma ostinata e accorante curiosità
dei ciechi, egli s'era messo a torturarla. Voleva
«vederla» nel suo bujo; voleva che la voce di lei
diventasse immagine dentro di sé.
Furono dapprima domande vaghe, brevi. Egli volle dirle
come se la immaginava, sentendola leggere o parlare.
- Bionda, è vero?
- Sí.
Bionda era; ma i capelli, alquanto ruvidi e non molti,
contrastavano stranamente col colore un po' torbido
della pelle. Come dirglielo? E perché?
- E gli occhi, ceruli?
- Sí.
Ceruli; ma cupi, dolenti, troppo affossati sotto la
fronte grave, triste, prominente. Come dirglielo? E
perché?
Bella non era, di volto; ma di corpo elegantissima.
Belle veramente belle, aveva le mani e la voce. La voce,
segnatamente. D'una ineffabile soavità, in contrasto con
l'aria cupa, altera e dolente del volto.
Ella sapeva com'egli, per la malía di questa voce e
attraverso alle timide risposte che riceveva alle sue
domande insistenti, la vedeva; e si sforzava davanti
allo specchio di somigliare a quell'immagine fittizia di
lei, si sforzava di vedersi com'egli nel suo bujo la
vedeva. E la sua voce, ormai, per lei stessa non usciva
piú dalle sue proprie labbra, ma da quelle ch'egli le
immaginava; e, se rideva, aveva subito l'impressione di
non aver riso lei, ma di aver piuttosto imitato un
sorriso non suo, il sorriso di quell'altra se stessa che
viveva in lui.
Tutto ciò le cagionava come un sordo tormento, la
sconvolgeva: le pareva di non esser piú lei, di mancare
man mano a se medesima, per la pietà che quel giovane le
ispirava. Pietà soltanto? No: era anche amore, adesso.
Non sapeva piú ritrarre la mano dalla mano di lui,
scostare il volto dal volto di lui, se egli la attirava
troppo a sé.
- No: cosí, no... cosí, no...
Si dové presto, ormai, venire a una deliberazione, che
alla signorina Lydia costò una lunga lotta con se
stessa. Il giovane marchese non aveva parenti, era
padrone di sé e dunque di fare quel che gli pareva e
piaceva. Ma non avrebbe detto la gente che ella
approfittava della sciagura di lui per farsi sposare,
per diventar marchesa e ricca? Oh sí, certamente, questo
e altro avrebbe detto. Ma tuttavia, come rimanere piú
oltre in quella casa, se non a questo patto? E non
sarebbe stata una crudeltà abbandonare quel cieco,
privarlo delle sue cure amorose, per paura dell'altrui
malignità? Era, senza dubbio, per lei una gran fortuna;
ma sentiva, in coscienza, di meritarsela, perché ella lo
amava; anzi, per lei la maggior fortuna era questa, di
poterlo amare apertamente, di potersi dir sua, tutta e
per sempre, di potersi consacrare a lui unicamente,
anima e corpo. Egli non si vedeva: non vedeva altro
entro di sé che la propria infelicità; ma era pur bello,
tanto! e delicato come una fanciulla; e lei,
guardandolo, beandosene, senza che egli se n'accorgesse,
poteva pensare: «Ecco, sei tutto mio, perché non ti vedi
e non ti sai; perché l'anima tua è come prigioniera
della tua sventura e ha bisogno di me per vedere, per
sentire». Ma non bisognava prima, condiscendendo alla
voglia di lui, confessargli ch'ella non era com'egli se
la immaginava? Non sarebbe stato il tacere un inganno da
parte sua? Sí, un inganno. Ma egli era pur cieco, e per
lui, dunque poteva bastare un cuore, come quello di lei,
devoto e ardente, e l'illusione della bellezza. Brutta,
del resto, non era. E poi una bella, veramente bella,
forse, chi sa! avrebbe potuto ingannarlo ben altrimenti,
approfittando della sciagura di lui, se veramente egli,
piú che d'un bel volto che non avrebbe mai potuto
vedere, aveva bisogno d'un cuore innamorato.
Dopo alcuni giorni di angosciosa perplessità, le nozze
furono stabilite. Si sarebbero fatte senz'alcuna pompa,
presto, appena spirato il sesto mese di lutto per la
madre.
Ella aveva dunque davanti a sé circa un mese e mezzo di
tempo per preparar l'occorrente alla meglio. Furono
giorni d'intensa felicità: le ore volavano fra le
lietissime, affrettate cure del nido e le carezze, da
cui ella si scioglieva un po' ebbra, con dolce violenza,
per salvare da quella libertà che la convivenza dava al
loro amore, qualche gioja, la piú forte, per il giorno
delle nozze.
Ci mancava ormai poco piú d'una settimana, quando a
Lydia fu annunziata improvvisamente una visita del
dottor Giunio Falci.
Di primo impeto, fu per rispondere:
- Non sono in casa!
Ma il cieco, che aveva udito parlar sottovoce, domandò:
- Chi è?
- Il dottor Falci, - ripeté il servo.
- Sai? - disse Lydia, - quel medico che la tua povera
mamma fece chiamare pochi giorni prima della disgrazia.
- Ah, sí! - esclamò il Borghi, sovvenendosi. - Mi
osservò a lungo... a lungo, ricordo bene, e disse che
voleva ritornare per...
- Aspetta, - lo interruppe subito Lydia, agitatissima. -
Vado a sentire.
Il dottor Giunio Falci stava in piedi in mezzo al
salotto, con la grossa testa calva rovesciata indietro,
gli occhi socchiusi, e si stirava distrattamente con una
mano la barbetta ispida sul mento.
- S'accomodi, dottore, - disse la signorina Lydia,
entrata senza ch'egli se n'accorgesse.
Il Falci si scosse, s'inchinò e prese a dire:
- Mi scuserà, se...
Ma ella, turbata, eccitata, volle premettere:
- Lei finora veramente non era stato chiamato, perché...
- Anche quest'altra mia visita è forse inopportuna, -
disse il Falci, col lieve sorriso sarcastico su le
labbra. - Ma lei mi perdonerà, signorina.
- No... perché? anzi... - fece Lydia arrossendo.
- Lei non sa, - riprese il Falci, - l'interesse che a un
pover'uomo che si occupa di scienza possono destare
certi casi di malattia... Ma io voglio dirle la verità,
signorina: mi ero dimenticato di questo caso, quantunque
a parer mio molto raro e strano. Ieri, però,
chiacchierando del piú e del meno con alcuni amici, ho
saputo del prossimo matrimonio del marchese Borghi con
lei, signorina; è vero?
Lydia impallidí e affermò, alteramente, col capo.
- Permetta ch'io me ne congratuli, - soggiunse il Falci.
- Ma guardi, allora, tutt'a un tratto, mi sono
ricordato. Mi sono ricordato della diagnosi di glaucoma
fatta da tanti illustri miei colleghi, se non m'inganno.
Diagnosi spiegabilissima, in principio, non creda. Io
sono sicuro, in fatti, che se la signora marchesa avesse
fatto visitare il figliuolo da questi miei colleghi nel
tempo che lo visitai io, anch'essi avrebbero detto
facilmente che di glaucoma vero e proprio non era piú il
caso di parlare. Basta. Mi sono ricordato anche della
mia seconda visita disgraziatissima e ho pensato che
lei, signorina, dapprima nello scompiglio cagionato
dall'improvvisa morte della marchesa, poi nella gioja di
questo avvenimento, si era di certo dimenticata, è vero?
dimenticata...
- No! - negò con durezza Lydia a questo punto,
ribellandosi alla tortura che il lungo discorso
avvelenato del dottore le infliggeva.
- Ah, no? - fece il Falci.
- No, - ripeté ella con accigliata fermezza. - Io ho
ricordato piuttosto la poca, per non dir nessuna
fiducia, scusi, che ebbe la marchesa, anche dopo la sua
visita, su la guarigione del figlio.
- Ma io non dissi alla marchesa, - ribatté pronto il
Falci, - che la malattia del figlio, a mio modo di
vedere...
- È vero, lei lo disse a me, - troncò Lydia di nuovo. -
Ma anch'io, come la marchesa...
- Poca, anzi, nessuna fiducia, è vero? Non importa, -
interruppe a sua volta il Falci. - Ma lei non riferí
intanto, al signor marchese la mia venuta e la
ragione...
- Sul momento, no.
- E poi?
- Neppure. Perché...
Il dottor Falci alzò una mano:
- Comprendo. Nato l'amore... Ma lei, signorina, mi
perdoni. Si dice, è vero, che l'amore è cieco; lei però
lo desidera cieco proprio fino a questo punto, l'amore
del signor marchese? Cieco anche materialmente?
Lydia sentí che contro la sicura freddezza mordace di
quell'uomo non bastava il contegno altero, in cui man
mano, per difendere la sua dignità da un sospetto
odioso, s'interiva vieppiú. Tuttavia si sforzò di
contenersi ancora e domandò con apparente calma:
- Lei insiste nel ritenere che il marchese possa, con l'ajuto
di lei, riacquistare la vista?
- Piano, signorina, - rispose il Falci, alzando un'altra
volta la mano. - Non sono, come il Signor Iddio,
onnipossente. Ho esaminato una volta sola gli occhi del
signor marchese, e m'è parso di dovere escludere
assolutamente che si tratti di glaucoma. Ecco: questo,
che può essere un dubbio, che può essere una speranza,
mi pare che dovrebbe bastarle, se veramente, com'io
credo, le sta a cuore il bene del suo fidanzato.
- E se il dubbio, - s'affrettò a replicare Lydia, con
aria di sfida, - dopo la sua visita non potesse piú
sussistere se la speranza restasse delusa? Non avrà lei
inutilmente crudelmente, ora, turbata un'anima che si è
già rassegnata?
- No, signorina - rispose con dura e seria calma il
Falci. - Tanto vero, ch'io ho stimato mio dovere, di
medico, venire senza invito. Perché qua, lo sappia, io
credo di trovarmi non solo di fronte a un caso di
malattia, ma anche di fronte a un caso di coscienza, piú
grave.
- Lei sospetta... - si provò a interromperlo Lydia; ma
il Falci non le diede tempo di proseguire.
- Lei stessa, - seguitò, - ha detto or ora di aver
taciuto al marchese la mia venuta, con una scusa ch'io
non posso accettare, non perché m'offenda, ma perché la
fiducia o la sfiducia verso me non doveva esser sua, se
mai, ma del marchese. Guardi, signorina: sarà anche
puntiglio da parte mia, non nego; le dico anzi che io
non prenderò nulla dal marchese, se egli verrà nella mia
clinica, dove avrà tutte le cure e l'ajuto che la
scienza può prestargli, disinteressatamente. Dopo questa
dichiarazione, sarà troppo chiederle che ella annunzii
al signor marchese la mia visita
Lydia si levò in piedi.
- Aspetti, - disse allora il Falci, levandosi anche lui
e riprendendo la sua aria consueta. - La avverto ch'io
non dirò affatto al marchese d'essere venuto quella
volta. Dirò anzi, se vuole, che lei, premurosamente, mi
ha fatto chiamare, prima delle nozze.
Lydia lo guardò fieramente negli occhi.
- Lei dirà la verità. Anzi, la dirò io.
- Di non aver creduto in me?
- Precisamente.
Il Falci si strinse nelle spalle, sorrise.
- Potrebbe nuocerle. E io non vorrei. Se lei anzi
volesse rimandar la visita a dopo le nozze, guardi, io
sarei anche disposto a ritornare.
- No, - fece, piú col gesto che con la voce, Lydia,
soffocata dall'orgasmo, avvampata in volto dall'onta che
quell'apparente generosità del medico le cagionava; e
con la mano gli fe' cenno di passare.
Silvio Borghi attendeva impaziente nella sua camera.
- Ecco qua il dottor Falci, Silvio - disse Lydia,
entrando convulsa. - Abbiamo chiarito di là un equivoco.
Tu ricordi che il dottore, nella sua prima visita, disse
che voleva ritornare, è vero?
- Sí, - rispose il Borghi. - Ricordo benissimo, dottore!
- Non sai ancora, - riprese Lydia, - ch'egli difatti
ritornò, la stessa mattina che avvenne la disgrazia di
tua madre. E parlò con me e mi disse di ritenere che il
tuo male non fosse propriamente quello che tanti altri
medici avevano dichiarato; e non improbabile perciò,
secondo lui, la tua guarigione. Io non te ne dissi
nulla.
- Perché la signorina, badi, - s'affrettò a soggiungere
il dottor Falci, - trattandosi d'un dubbio espresso da
me in quel momento, in termini molto vaghi, lo considerò
piuttosto come un conforto ch'io volessi apprestare, e
non vi diede molto peso.
- Questo è ciò che ho detto io, non quel che pensa lei,
- rispose Lydia, pronta e fiera. - Il dottor Falci,
Silvio, ha sospettato ciò che, del resto, è vero, ch'io
cioè non ti dissi nulla della sua seconda visita; ed è
voluto venir lui spontaneamente, prima delle nozze, per
prestarti le sue cure, senz'alcun compenso. Ora puoi
credere con lui, Silvio, ch'io volessi lasciarti cieco,
per farmi sposare da te.
- Che dici, Lydia? - scattò il cieco.
- Ma sí, - riprese ella subito, con uno strano riso. - E
può esser vero anche questo, perché, difatti, a questo
solo patto io potrei diventare la tua...
- Che dici? - ripeté il Borghi, interrompendola.
- Te ne accorgerai, Silvio, se il dottor Falci riuscirà
a ridarti la vista. Io vi lascio.
- Lydia! Lydia! - chiamò il Borghi.
Ma ella era già uscita, tirando l'uscio a sé con
violenza.
Andò a buttarsi sul letto, morse rabbiosamente il
guanciale e ruppe dapprima in singhiozzi irrefrenabili.
Ceduta la prima furia del pianto, rimase attonita e come
raccapricciata di fronte alla propria coscienza. Le
parve che tutto ciò che il medico le aveva detto, con
quel suo fare freddo e mordace, da molto tempo lei lo
avesse detto a se stessa, o meglio, che qualcuno in lei
lo avesse detto; e lei aveva finto di non udire. Sí,
sempre, sempre si era ricordata del dottor Falci, e ogni
qual volta l'immagine di lui le si era affacciata alla
mente, come il fantasma d'un rimorso, ella l'aveva
respinta con una ingiuria: «Ciarlatano!». Perché - come
negarlo piú, ormai? - ella voleva, voleva proprio che il
suo Silvio rimanesse cieco. La cecità di lui era la
condizione imprescindibile del suo amore. Che se egli,
domani, avesse riacquistato la vista, bello com'era,
giovane, ricco, signore, perché avrebbe sposato lei? Per
gratitudine? Per pietà? Ah, non per altro! E dunque, no,
no! Seppure egli avesse voluto; lei, no; come avrebbe
potuto accettare, lei che lo amava e non lo voleva per
altro? lei, che nella sventura di lui vedeva la ragione
del suo amore e quasi la scusa, di fronte alla malignità
altrui? E si può dunque transigere cosí,
inavvertitamente, con la propria coscienza, fino a
commettere un delitto? fino a fondar la propria felicità
su la sciagura di un altro? Ella, sí, veramente, non
aveva allora creduto che colui, quel suo nemico, potesse
fare il miracolo di ridar la vista al suo Silvio; non lo
credeva neanche adesso; ma perché aveva taciuto? proprio
perché non aveva creduto di prestar fiducia a quel
medico; o non piuttosto perché il dubbio che il medico
aveva espresso e che sarebbe stato per Silvio come una
luce di speranza, sarebbe stato invece per lei la morte,
la morte del suo amore, se poi si fosse affermato? Per
ora ella poteva credere che il suo amore sarebbe bastato
a compensar quel cieco della vista perduta; credere che,
se pure egli, per un miracolo, avesse ora riacquistato
la vista, né questo bene sommo, né tutti i piaceri che
avrebbe potuto pagarsi con la sua ricchezza, né l'amore
d'alcun'altra donna, avrebbero potuto compensarlo della
perdita dell'amore di lei. Ma queste erano ragioni per
sé, non per lui. Se ella fosse andata a dirgli: «Silvio,
tu devi scegliere fra il bene della vista e il mio
amore», «E perché tu vuoi lasciarmi cieco?», avrebbe
egli certamente risposto. Ma perché cosí soltanto, cioè
a patto della sciagura di lui, era possibile la sua
felicità.
Si levò in piedi improvvisamente, come per un subito
richiamo. Durava ancora la visita, di là? Che diceva il
medico? Che pensava egli? Ebbe la tentazione di andare
in punta di piedi a origliare dietro quell'uscio ch'ella
stessa aveva chiuso; ma si trattenne. Ecco: dietro
l'uscio era rimasta. Lei stessa, con le sue mani, se
l'era chiuso, per sempre. Ma poteva forse accettare le
velenose profferte di colui? Era arrivato finanche a
proporle di rimandare la visita a dopo le nozze. - Se
ella avesse accettato... - No! No! Si strinse tutta in
sé, dal ribrezzo, dalla nausea. Che mercato infame
sarebbe stato! il piú laido degli inganni! E poi?
Disprezzo, e non piú amore...
Sentí schiudere l'uscio; ebbe un sussulto; corse
istintivamente al corridojo per cui il Falci doveva
passare.
- Ho rimediato, signorina, alla sua soverchia
franchezza, - diss'egli freddamente. - Io mi sono
raffermato nella mia diagnosi. Il marchese verrà
domattina nella mia clinica. Vada, vada intanto da lui
che la aspetta. A rivederla.
Come annientata, vuota, lo seguí con gli occhi fino
all'uscio, in fondo al corridojo; poi udí la voce di
Silvio che la chiamava, di là: si sentí tutta
rimescolare, ebbe come una vertigine; fu per cadere; si
recò le mani al volto, per frenar le lagrime; accorse.
Egli la attendeva, seduto, con le braccia aperte; la
strinse, forte, forte a sé, gridando la sua felicità e
che per lei soltanto voleva riacquistar la vista, per
vedere la sua cara, la sua bella, la sua dolce sposa.
- Piangi? Perché? Ma piango anch'io, vedi? Ah che gioja!
Ti vedrò... ti vedrò! Io vedrò!
Era ogni parola per lei una morte; tanto che egli, pur
nella gioia, intese che il pianto di lei non era come il
suo e prese allora a dirle che certo, oh! ma certo
neanche lui in un giorno come quello, avrebbe creduto
alle parole del medico, e dunque, via, basta ora! Che
andava piú pensando? Era giorno di festa, quello! Via
tutte le afflizioni! via tutti i pensieri, tranne uno,
questo: che la sua felicità sarebbe stata intera, ormai,
perché egli avrebbe veduto la sua sposa. Ora ella
avrebbe avuto piú agio, piú tempo di preparare il nido;
e doveva esser bello, come un sogno, questo nido,
ch'egli avrebbe veduto per prima cosa. Sí, prometteva
che sarebbe uscito con gli occhi bendati dalla clinica,
e che li avrebbe aperti lí, per la prima volta, lí, nel
suo nido.
- Parlami! Parlami! Non lasciar parlare me solo!
- Ti stanchi?
- No... Chiedimi di nuovo: «Ti stanchi?» con questa tua
voce. Lasciamela baciare, qui, su le tue labbra, questa
tua voce...
- Sí...
- E parla, ora; dimmi come me lo preparerai, il nido.
- Come?
- Sí, io non t'ho domandato nulla, finora. Ma no, non
voglio saper nulla, neanche adesso. Farai tu. Sarà per
me uno stupore, un incanto... Ma io non vedrò nulla,
dapprima: te sola!
Ella, risolutamente, soffocò il pianto disperato, s'ilarò
tutta in volto, e lí, inginocchiata innanzi a lui, con
lui curvo su lei, abbracciato, cominciò a parlargli del
suo amore quasi all'orecchio, con quella sua voce piú
che mai dolce e maliosa. Ma quand'egli, ebbro, la
strinse e minacciò di non lasciarla piú, in quel
momento, ella si sciolse, si rizzò, fiera come d'una
vittoria di fronte a sé stessa. Ecco: avrebbe potuto,
anche ora, legarlo a sé indissolubilmente. Ma no. Perché
ella lo amava.
Tutto quel giorno, fino a tarda notte, lo inebriò della
sua voce, sicura, perché egli era ancora nel bujo, là,
suo nel bujo, in cui già fiammeggiava la speranza, bella
come l'immagine ch'egli s'era finto di lei.
La mattina seguente volle accompagnarlo in vettura fino
alla clinica e, nel lasciarlo, gli disse che si sarebbe
messa subito subito all'opera, come una rondine
frettolosa.
- Vedrai!
Attese due giorni, in un'ansia terribile, l'esito
dell'operazione. Quando lo seppe felice, attese ancora
un po', nella casa vuota; gliela preparò amorosamente,
mandando a dire a lui che, esultante, la voleva lí,
anche per un minuto, che avesse pazienza ancora per
qualche giorno; non accorreva per non agitarlo; il
medico non permetteva...
- Sí? - Ebbene, allora sarebbe venuta...
Raccolse le sue robe, e il giorno prima che egli
lasciasse la casa di salute, se ne partí ignorata, per
rimanere almeno nella memoria di lui una voce, ch'egli
forse, uscito ora dal suo bujo, avrebbe cercata su molte
labbra, invano. |