Il farro, assieme ai legumi
e le verdure fu
alla
base della alimentazione dei
Romani sin dalle
origini, mentre i Greci
preferivano l'orzo che, però, era meno nutriente del farro visto
che conteneva meno proteine e più carboitrati. A protezione
di tutti i cereali i Romani
avevano posto la dea Cerere
e seguivano il parere di
un medico, Galeno che raccomandava di lasciare da parte l'orzo,
ottimo solo per i cavalli e adottare il farro che era molto più
nutriente. L'orzo fu
utilizzato solo nei
momenti di carestia. Il farro (triticum
dicoccum) fu per circa
tre secoli il cereale preferito dai Romani.
Era un grano duro la cui spiga non aveva barbe, rivestito di glume
molto aderenti e per queste ragioni non poteva essere trebbiato se
prima non era tostato,seppure leggermente. La tostatura fu
resa obbligatoria da Numa Pompilio secondo re di Roma.
Dal
farro deriva il nome farina e con il farro gli sposi facevano
offerte agli dei al momento del loro matrimonio. Questa unione
veniva appunto chiamata confarreatio.
Inizialmente
il farro veniva macinato
a mano usando due pietre o con il mortaio. La mola ruotante fu
scoperta più tardi ,
fu
azionata prima dagli
schiavi ,
poi da asini e muli e, più raramente,
da cavalli.
Il
pane vero e proprio arrivò
sulla mensa dei Romani
molto tardi
(IV sec a.C.)perchè ,
in origine, con il farro
si preparava solo la notissima puls
la polenta. Plauto afferma
che i Greci
chiamavano i Romani
"polentoni" puliphagonides.
La
puls
era
l'alimento base e, di volta in volta, era arricchita con quel che si
aveva sotto mano: legumi, formaggi, verdure, aromi, pesci sotto sale
e pezzi di carne.
Con
l'arrivo del frumento ,che
si poteva ridurre più facilmente in farina, nacque
il pane;
non solo, ma i soldati, e molti altri con loro,masticavano
anche crudi, durante le
lunghe marce,
"questi
nuovi granellini "
che venivano dalla
Sicilia e dalle coste settentrionali dell'Africa
Man
mano che Roma si arricchì
si cercò
di affinare la farina destinata al pane setacciandola con setacci più
o meno fini di crine di cavallo che fornivano
farina grossa (cibarium)
media (sivigo)
e finissima (flos).Nel
passare dalla puls al pane (nel II sec. a.C.) si attraversò
uno stadio
intermedio
con una specie di focaccia che si cuoceva
sotto la cenere e che si mangiava con companatici diversi.
Quello
che veniva
chiamato pane era
in
origine soltanto una
sorta di galletta dura non lievitata, che diventava
subito cattiva e che era
anche costosa.
Successivamente
si scoprì
che il pane lievitato era
più digeribile, più morbido e persino più gustoso.
Se ne produssero vari
tipi: quello scuro, popolare(cibarius),
quello integrale(prediletto da Augusto il secundarius),
quello quasi bianco(panis),quello
tenero(siligineus),
quello cotto allo spiedo come si faceva ad Alessandria, e il
piceno cotto in vasi di coccio,
il nauticus per i marinai, il militaris per il soldati
combattenti,
il
pane al burro ad uso gallico, il
pane con frutta, il
pane rotondo.
Quello rotondo era
il più comune e la pagnotta era
divisa in quattro porzioni per via di due tagli praticati in
superficie prima di essere cotto.
Ovviamente
il pane più raffinato non entrava in quelle distribuzioni gratuite
alla plebe di cui abbiamo notizia.
I soldati avevano le loro gallette, i Romani
imprigionati per debiti avevano diritto a 327 grammi al giorno di
pane di farro, un schiavo nel sec. I a.C.a
due pagnotte. Ma se uno schiavo era incatenato ai lavori forzati
riceveva l'equivalente di 1600 grammi giornalieri. I soldati in zona
di guerra durante l'impero ricevevano quasi 1200 grammi al giorno,
però non mangiavano mai carne si nutrivano di agli, cipolle,
formaggio e lardo conservato.
Le
prime panetterie comparvero
a Roma alla fine del III sec. a.C. quando il pane non era
ancora lievitato I
panettieri
man
mano, per soddisfare i gusti di una clientela che diventava sempre
più varia cominciarono a
porre
sui loro banconi pane
per tutti i gusti e tutte le tasche. Produssero:
un pane speciale da mangiare con le ostriche, un pane al latte, un
pane alle uova, un
altro insaporito al
succo di uva disseccata.
Focaccia
e pane divennero
sempre meno duri e meno
acidi e fatti con grano sempre migliore, quello che affluiva dai
cosiddetti granai di Roma ,l'Egitto
e la Libia, macinato e setacciato con sistemi sempre più moderni.
Si arrivò a produrre un tipo di pane più degno di una pasticceria
che di una panetteria. Si chiamava artolaganus
ed era confezionato con farina sceltissima e impastata con miele,
vino, latte, olio, frutta candita a pezzetti e il solito abbondante
pepe nero in grani.
Nella
Roma imperiale le panetterie pubbliche erano 258 e pullulavano di
pasticceri, operai, garzoni, schiavi
che
iniziavano a lavorare molto
prima che spuntasse il sole per
garantire la
sopravvivenza di
tutti i cittadini.
I
prezzi erano amministrati e sul lavoro dei panettieri vigilavano i
funzionari dell'Annona e gli incaricati di fornire il grano
necessario alla panificazione. Gli edili controllavano giornalmente
la qualità di pane che ogni panetteria doveva produrre, il prezzo
praticato alla clientela e la qualità del prodotto.
Il
pane più semplice e meno costoso veniva ritirato dalle autorità
che dovevano poi effettuare materialmente la distribuzione gratuita
ai meno abbienti (
un chilo di pane a testa a tutti coloro che erano muniti dalla
tessera frumentaria).
I fornai che avevano in concessione la preparazione di questo pane
dei poveri se la passavano piuttosto bene, ma chi aveva più
inventiva, chi preparava un pane speciale, per le ricche borse
guadagnava ancora di più.
Il
lavoro nella panetteria iniziava con la pesatura del grano alla
presenza degli ispettori pubblici, poi il frumento era vuotato dagli
operai
nelle pesanti macine azionate da asini o, più frequentemente, da
schiavi. Seguiva la setacciatura regolata a seconda del tipo di
clientela da servire. Setacci a maglia stretta per ottenere farina
molto fine e bianca per i tipi di pane pregiato; setacci a maglia
larga per farina scura e grezza adatta a preparare il pane della
plebe. Solo in epoca tardo repubblicana si era cominciato ad usare
il lievito ottenuto mescolando mosto, miglio o crusca o farina acida
e, in epoca più recente quello derivato dalla birra.
Le
impastatrici con i loro lunghi bracci di legno, erano manovrate da schiavi
e poi la pasta era distribuita
su assi speciali, le si dava la forma richiesta
e si infornava.Alcuni tipi di
pane erano ulteriormente
trattati da pasticceri che li decoravano con anice, semi di papavero
e di sesamo e altre essenze fissate sulla crosta con bianco d'uovo.
Per i ragazzi venivano preparate piccole focacce a forma di animali,
di vari oggetti, di armi, fatti con pasta variamente dolcificata.
I
lavoratori della panetteria se di condizione libera, godevano di una
buona paga e di un orario di lavoro fissato dalle autorità. Ma la
maggior parte degli operai lavorava senza limite di orario e con
paga da fame e non sempre il salario veniva
loro versato. Gli apprendisti accettavano queste condizioni perché
dovevano imparare il mestiere, altri subivano questa sorta di
ricatto nella speranza di potersi riscattare dalla condizione
di schiavo.
Virgilio
Eurisace, un liberto, fornitore di stato, si
arricchì a tal punto da potersi
costruire
un sepolcro monumentale
presso la odierna Porta Maggiore
a Roma. N
Nel
sepolcro
è stato rinvenuto
un bassorilievo in cui sono riportate
tutte le fasi del lavoro in una panetteria con i lavoranti, i
pasticceri, le sale di macinazione, gli
schiavi che lavoravano nei forni a temperature micidiali e il pane
sfornato e posto sui banconi per la vendita.