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Alberto De Bernardi, Le rilevanze storiografiche del '900

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IL NOVECENTO, SECOLO NON INSEGNABILE ?

Da tutto questo proviene la concezione del Novecento come un magma non insegnabile , perché non sta dentro il modello di storia generale che prima dicevamo. Tutto il resto, tutto quanto viene prima ci sta invece perfettamente, tant'è vero che qualunque insegnante può fare ad occhi chiusi l'indice del corso di storia, con tutti gli argomenti al loro posto. Invece questo elenco di argomenti, così limpido fino all'Ottocento, diventa improvvisamente complicato per il Novecento, dove non si sa cosa scegliere, cosa tagliare. Ecco appunto il problema della griglia delle rilevanze. Per tutti questi motivi il Novecento non si insegna, non certo perché non c'è tempo, come comunemente si dice. Se si volesse, il tempo per farlo ci sarebbe, il problema è che non si sa governare questo secolo con gli strumenti abituali su cui si basa la storia insegnata, e che fanno parte del bagaglio culturale di ciascuno di noi. C'è poi anche il problema che nessuno di noi ha studiato il Novecento all'università, dove non lo si faceva proprio, almeno fino a pochi anni fa. Tutt'ora, gli anni cinquanta sono una barriera pressochè invalicabile negli insegnamenti di storia universitaria. Gli insegnanti non sanno studiare la storia contemporanea, dunque, anche per il semplice motivo che nessuno l'ha mai insegnata loro.
Ora, non c'è dubbio che, nonostante tutto questo, noi oggi siamo chiamati a uno sforzo, perché il recente decreto Berlinguer, comunque lo si voglia giudicare, produce una torsione che, come sempre accade in questi casi, può avere elementi negativi ma comunque introduce elementi di dinamizzazione. E allora, forse, al di là delle difficoltà che non siamo riusciti a superare coi vecchi programmi, ora siamo nella situazione di doverci porre il problema di insegnare il Novecento, e di trovare delle soluzioni. Dove, queste soluzioni? Beh, su questo si conferma il paradosso dello stato italiano che da una parte è il più centralista del mondo ma nel quale, dall'altra parte, tutte le soluzioni innovative sono affidate al caso, o meglio alla buona volontà dei singoli: in questo caso, ad agenzie formative come Istituti storici della Resistenza, Cidi, ecc. Del resto basta pensare a quel che è accaduto nell'italianistica: i programmi di educazione linguistica in questi decenni non sono cambiati, eppure non c'è dubbio che oggi questa materia è insegnata con metodologie radicalmente diverso rispetto a venti, trent'anni fa, e questo non certo per impulsi venuti dall'alto, ma dal basso. Anche lo stato francese è molto centralistico, ma là gli imput dal centro (buoni o cattivi, non è questo il punto) sono forti e frequentissimi, basta pensare che in Francia i programmi li hanno cambiati sei volte negli ultimi 12 anni. ovviamente le esperienze innovative fatte dal basso hanno in qualche modo supplito a questa carenza, e talora con molta vivacità, ma in modi molto diversi secondo la vivacità del tessuto culturale locale, per cui oggi in Italia non c'è una scuola, ce ne sono tante e con disparità enormi nelle diverse aree geografiche. Questo io lo vedo tenendo corsi di aggiornamento, o lo si vede nelle adozioni dei libri di testo, rispetto ai quali ci sono due Italie, con case editrici, autori e titoli diversi. A proposito di manuali, negli ultimi dieci anni si sono aggiornati moltissimo, se si vuole fare la storia fino a ieri l'altro la si trova tutta. Insomma, il problema non è la mancanza né del tempo né degli strumenti didattici. Perché un insegnante non può insegnare la crisi del comunismo? Per la ragione molto semplice che non ha mai insegnato quel comunismo poi è andato in crisi, ovvero lo stalinismo, la guerra fredda, i partiti comunisti in occidente, ecc.: in assenza di tutto questo, è un vano inseguire l'attualità, un mare di cose che non si può fare stare insieme.


 

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