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IL NOVECENTO, SECOLO
NON INSEGNABILE ?
Da tutto questo
proviene la concezione del Novecento come un magma non insegnabile , perché
non sta dentro il modello di storia generale che prima dicevamo. Tutto il
resto, tutto quanto viene prima ci sta invece perfettamente, tant'è vero
che qualunque insegnante può fare ad occhi chiusi l'indice del corso di
storia, con tutti gli argomenti al loro posto. Invece questo elenco di
argomenti, così limpido fino all'Ottocento, diventa improvvisamente
complicato per il Novecento, dove non si sa cosa scegliere, cosa tagliare.
Ecco appunto il problema della griglia delle rilevanze. Per tutti questi
motivi il Novecento non si insegna, non certo perché non c'è tempo, come
comunemente si dice. Se si volesse, il tempo per farlo ci sarebbe, il
problema è che non si sa governare questo secolo con gli strumenti
abituali su cui si basa la storia insegnata, e che fanno parte del
bagaglio culturale di ciascuno di noi. C'è poi anche il problema che
nessuno di noi ha studiato il Novecento all'università, dove non lo si
faceva proprio, almeno fino a pochi anni fa. Tutt'ora, gli anni cinquanta
sono una barriera pressochè invalicabile negli insegnamenti di storia
universitaria. Gli insegnanti non sanno studiare la storia contemporanea,
dunque, anche per il semplice motivo che nessuno l'ha mai insegnata loro.
Ora, non c'è dubbio che, nonostante
tutto questo, noi oggi siamo chiamati a uno sforzo, perché il recente
decreto Berlinguer, comunque lo si voglia giudicare, produce una torsione
che, come sempre accade in questi casi, può avere elementi negativi ma
comunque introduce elementi di dinamizzazione. E allora, forse, al di là
delle difficoltà che non siamo riusciti a superare coi vecchi programmi,
ora siamo nella situazione di doverci porre il problema di insegnare il
Novecento, e di trovare delle soluzioni. Dove, queste soluzioni? Beh, su
questo si conferma il paradosso dello stato italiano che da una parte è
il più centralista del mondo ma nel quale, dall'altra parte, tutte le
soluzioni innovative sono affidate al caso, o meglio alla buona volontà
dei singoli: in questo caso, ad agenzie formative come Istituti storici
della Resistenza, Cidi, ecc. Del resto basta pensare a quel che è
accaduto nell'italianistica: i programmi di educazione linguistica in
questi decenni non sono cambiati, eppure non c'è dubbio che oggi questa
materia è insegnata con metodologie radicalmente diverso rispetto a
venti, trent'anni fa, e questo non certo per impulsi venuti dall'alto, ma
dal basso. Anche lo stato francese è molto centralistico, ma là gli
imput dal centro (buoni o cattivi, non è questo il punto) sono forti e
frequentissimi, basta pensare che in Francia i programmi li hanno cambiati
sei volte negli ultimi 12 anni. ovviamente le esperienze innovative fatte
dal basso hanno in qualche modo supplito a questa carenza, e talora con
molta vivacità, ma in modi molto diversi secondo la vivacità del tessuto
culturale locale, per cui oggi in Italia non c'è una scuola, ce ne sono
tante e con disparità enormi nelle diverse aree geografiche. Questo io lo
vedo tenendo corsi di aggiornamento, o lo si vede nelle adozioni dei libri
di testo, rispetto ai quali ci sono due Italie, con case editrici, autori
e titoli diversi. A proposito di manuali, negli ultimi dieci anni si sono
aggiornati moltissimo, se si vuole fare la storia fino a ieri l'altro la
si trova tutta. Insomma, il problema non è la mancanza né del tempo né
degli strumenti didattici. Perché un insegnante non può insegnare la
crisi del comunismo? Per la ragione molto semplice che non ha mai
insegnato quel comunismo poi è andato in crisi, ovvero lo stalinismo, la
guerra fredda, i partiti comunisti in occidente, ecc.: in assenza di tutto
questo, è un vano inseguire l'attualità, un mare di cose che non si può
fare stare insieme.
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Il
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