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Patrizia Vayola,
La
generazione di Carosello. Appunti per un percorso didattico sulla
società dei consumi
|
LA
NASCITA DI CAROSELLO Carosello
nasce il 3 febbraio 1957, appena 3 anni dopo la nascita ufficiale della
televisione, i cui programmi, ricordiamolo, coprivano allora la sola
fascia serale e godevano di un'utenza comunque molto limitata[1].
Nasce dopo molte resistenze da parte della dirigenza RAI dell'epoca, a
dominanza democristiana, per l'insistenza dei grandi produttori che vedono
nel mezzo televisivo un potente strumento di diffusione pubblicitaria. Ma
le culture del periodo, sia quella di sinistra sia quella cattolica, pur
con motivazioni diverse, sono fortemente avverse al mezzo e questo produce
una vera anomalia in campo pubblicitario: uno spettacolo di promozione in
cui il prodotto, invece di essere centrale, costituisce quasi un
accessorio la cui menzione è giustificata dal fatto di aver offerto,
appunto, all'utente un piccolo intrattenimento. Sono
fissate regole molto rigide:
Ogni
ciclo di spot costava circa 1 milione e mezzo e il contratto, stipulato
tramite la SIPRA, implicava anche, al traino, un investimento, per lo
stesso prodotto, in pubblicità sui giornali, fatto questo che, nato per
tutelare la pubblicità tradizionale, si rivelò poi un potente strumento
di finanziamento dei giornali di partito. La produzione era affidata
completamente ai privati (fatto questo che, originato dall'impossibilità
per gli studi tv di far fronte alle richieste, porterà allo sviluppo, in
Italia, di una moderna industria pubblicitaria) ma con la supervisione
della SIPRA stessa che poteva decidere sulla messa in onda o meno del
ciclo e che quindi svolgeva vere e proprie funzioni di censura. Per
comprendere lo straordinario successo di questa trasmissione, bisognerebbe
rileggere la programmazione dell'epoca: la concezione pedagogica della tv
allora vigente lasciava poco spazio a programmi di evasione, Carosello
rappresentava pertanto spesso l'unico momento di intrattenimento leggero
su cui gli italiani, i pochi possessori di un televisore (nel 57 gli
abbonati erano tre milioni e mezzo) e i molti che comunque vi si riunivano
intorno nei locali pubblici o in case private, potessero quotidianamente
contare. Carosello
si rivela un programma di straordinaria efficacia per la costruzione della
società dei consumi. Innanzitutto perché afferma una pubblicità unica
su territorio nazionale che, nello stesso tempo, rompe e rende evidente la
frattura con la logica della bottega e della piccola produzione locale: i
cittadini dell'Italia postbellica si trovano pertanto unificati nel
passaggio dal ruolo di clienti a quello di consumatori. Inoltre impone la
rassicurante convinzione che il prodotto pubblicizzato abbia uno standard
stabile di qualità e di prezzo che possa compensare la perdita di
accuratezza e di personalizzazione del prodotto artigianale. Infine
informa sull'esistenza, i caratteri, gli usi e lo status che sono legati
ai prodotti che progressivamente vengono immessi sul mercato e ne
garantisce l'importanza con la sua autorevolezza (l'ha detto la
televisione). La
sua funzione di volano/specchio della società dei consumi risiede in
particolare in questa sua ultima funzione giacché è soprattutto grazie
ad essa che le esigenze degli italiani vengono spostate dal piano dei
bisogni primari a quello delle esigenze che, adesso, il progressivo
aumento delle disponibilità economiche consente di soddisfare. In questo
senso Carosello rappresenta, certo più di qualsiasi altro programma
televisivo, un elemento di forte messa in crisi della cultura contadina:
il modello che propone e che offre come contesto ai suoi spot è quello
della vita della città industrializzata e vicina al mito americano
imperante, il ceto che utilizza come riferimento è quello del ceto medio
urbano; questo modello e i consumi ad esso connesso entrano così
potentemente nell'immaginario collettivo come aspirazione ad una superiore
qualità della vita. Questa identificazione consumo-qualità della vita
scardina completamente alcuni fondamenti della cultura precedente
consentendo il passaggio da una logica del dovere, come parametro di
riferimento per le scelte individuali, ad una logica del piacere che viene
identificato con lo status e, conseguentemente, con il consumo. |
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